Un’arte nobile può accedere ai confini della coscienza collettiva per una serie di ragioni qualche volta distinte: l’idea che tutto nasca da una serie di appropriate circostanze, essendo lo specifico prodotto di un momento storico, una fase culturale, un’incontro di popoli ed usanze distinte. Oppure la sua intrinseca effettiva qualità direttamente percepita, sulla base del valore estetico dovuto alla perizia che contraddistingue i suoi creatori. Fattori che convergono, in maniera rara ed altrettanto affascinante, nell’opera ormai celebre di Jeremy Frey, depositario alla settima generazione di un’antica metodologia profondamente caratterizzante, impiegata già dai suoi antenati per contenere e valorizzare gli oggetti d’uso comune. Una prassi tipicamente diffusa nell’intera nazione dei Wabanaki, confederazione di tribù fondata nell’odierno Maine statunitense a partire dal XVII secolo, ma preziosa in modo particolare per la sua famiglia a Passamaquoddy, che ne aveva fatto in passato un importante mezzo di sostentamento riuscendo nel contempo a trasportarla verso vette precedentemente inesplorate. Mentre con il progredire della modernità, le correnti artistiche locali vedevano l’introduzione dei cosiddetti fancy baskets, cesti (o altri contenitori) realizzati non più col mero intento utilitaristico, bensì creati per stupire, affascinare, coinvolgere lo spettatore. Essendo caratterizzati dalle immagini, essenzialmente “ricamate” di animali o paesaggi, oppure caratterizzati da forme riconoscibili di frutta o altri tipici oggetti della foresta. Quello stesso luogo, ragionevolmente incontaminato, dove oggi l’artista si reca in spedizione più volte l’anno, alla ricerca dei migliori tronchi da abbattere e tagliare trasversalmente, della pianta Fraxinus nigra (let. frassino nero) nota per le sue fibre resistenti e flessibili, fondamentali per la pratica di questa singolare branca della creatività umana. Episodi cui fa seguito l’allestimento in laboratorio di una strategia allo stesso tempo logica e ben collaudata, consistente nell’ulteriore affettatura dei listelli, fino all’ottenimento di piccole fettucce lignee da inserire nella trama nell’ordito dell’odierna idea. Ed è a fronte di tale preparazione ed attimo meditativo di partenza, che inizia puntualmente a materializzarsi il puro oggetto della sua fantasia…
Jeremy Frey non è naturalmente l’unico praticante attivo della forma d’arte modernizzata derivante dall’eredità dei Wabanaki, con un collega stimato individuabile nel suo stesso fratello, Gabriel specializzato nella creazione di borse con motivi naturalistici e notevoli ritratti animali. Per non parlare delle molte altre firme celebri originarie della tribù Passamaquoddy, come la famiglia Neptune, Jennifer e Geo, gli indimenticati Molly Neptune Parker e David Moses Bridges nonché la giovane Emma Soctomah. Non sarebbe del tutto errato affermare tuttavia che proprio lui sia il più famoso depositario di quest’arte per il numero di mostre internazionali, la quantità di premi vinti e la notevole capacità di combinare tecniche tradizionali e contemporanee di sua specifica invenzione, nella creazione di pezzi essenzialmente privi di termini di paragone. Una delle tecniche che ne contraddistinguono la produzione, ad esempio, è l’utilizzo di fettucce molto più piccole e sottili della norma (metodo apsoshokunwe) potendo in questo modo contare su una risoluzione essenzialmente maggiore dei suoi pattern decorativi o immagini create sul coperchio o i lati della cesta. Notevolmente studiato, nel frattempo, l’utilizzo di materie prime addizionali oltre alla classica erba del bisonte (Anthoxanthum nitens) che possono includere ritagli di corteccia, rami, gli aculei del porcospino americano, così da accentuare occasionalmente un sistema d’intreccio con evidenti protrusioni triangolari, chiamate “punte” (qinusqikon). Verso la creazione di un risultato finale tanto curato dal punto cromatico quanto quello delle forme, grazie a colorazioni artificiali che possono formare dei memorabili gradienti con riferimenti all’astrazione naturalistica dei propri ambienti d’appartenenza. Luoghi strettamente interconnessi, è soprattutto importante sottolinearlo, con la pratica e continuativa realizzazione di simili oggetti frutto di uno specifico territorio ecologico al pari di quanto possano beneficiare della loro cultura generatrice.
Notevolmente significativa, a tal proposito, la maniera frequentemente narrata dallo stesso J. Frey che lo vede prelevare sempre un minimo di due tronchi di frassino nero per ciascun sopralluogo di approvvigionamento, avendo cura nel frattempo d’immagazzinare un’appropriata quantità di materiale per le sue future creazioni. Questo per un comprensibile timore in merito alla sopravvivenza di tali alberi, causa l’aggressivo diffondersi attraverso le decadi del coleottero punteruolo smeraldino (Agrilus planipennis) in qualche modo introdotto dall’Asia Orientale, che in assenza dei suoi predatori naturali ha potuto infliggere il suo effetto distruttivo sulla popolazione ogni anno meno numerosa degli alberi alla base delle tradizioni, nonché la leggenda creazionista dei Wabanaki. Giacché l’origine dell’uomo, in base alla religione di costoro, avrebbe avuto luogo proprio nei vasti e misteriosi boschi nordamericani, dopo che una freccia del mitico gigante Glooskap aveva colpito accidentalmente quello che talvolta viene definito in modo molto caratterizzante “l’albero dei cestini”.
Un sentiero creativo ormai andato dunque a pieno titolo ben oltre il campo del semplice artigianato, giungendo a costituire la forma di partenza per una quantità notevole di forme rinnovate ed utili a comprendere fino a che punto possa essere declinato il codice genetico di un singolare simbolo di una cultura ed uno schema di valori estetici massimamente evidenti. La cui sopravvivenza ulteriore, come tanto spesso capita, ci appare oggi in condizioni relativamente instabili. Ancorché l’opera delle figure insignite della sua custodia stiano continuando, nonostante tutto, a preservarne il valore intrinseco fondamentale. Poiché è davvero possibile accantonare un corpus tale di pregiati canoni, soltanto perché i tempi sono transitati verso un nuovo ed ulteriore capitolo della civiltà vigente? L’arte può evolversi riuscendo a sopravvivere, persino, all’irrisolvibile carenza di materia prima causa proliferazione d’insetti perversi. Ogni cosa è intrinsecamente sostituibile. Tranne, sarà opportuno ricordarlo, la conoscenza.