“Ricordate, soldati, il volto della vostra Regina. Ricordate il gusto del suo nettare, che dona quotidianamente alle solenni ancelle che diffondono il suo Volere. Poiché non importa quanto il nemico possa essere grosso e veloce; su questa corteccia, egli non è forte abbastanza. Le loro pretese non possono violare la giustezza delle nostre brulicanti ambizioni. Quelle armi, per quanto affilate, non riusciranno a penetrare la dura scorza del nostro dovere.” Come un solo mirmidone, le orgogliose guerriere battono a terra tre coppie di piedi ciascuno. All’unisono si voltano, marciando fuori dal pertugio numero 52. La debole luce del sole che filtra oltre la canopia pare tingersi di un rosso lontano. Prima che possa tramontare, molte di loro saranno perite in battaglia, straziate o tagliate a pezzi dalle mandibole dei crudeli giganti. Un giusto sacrificio, affinché il formicaio possa sopravvivere fino al sorgere di una nuova alba…Ma questo non significa che venderanno a poco prezzo la loro “pelle”.
E riferendomi al rigido involucro che racchiude e protegge gli organi di questi insetti, sia chiaro, non sto parlando d’epidermide. Bensì la prototipica chitina, capace di resistere all’umidità come l’assalto di agenti patogeni esterni. Ma soprattutto le possibili ferite, che i difensori del consorzio eusociale subiscono durante l’ostinata difesa del territorio. Una guerra incessante che può essere più o meno cruenta, con il più notevole tra gli esempi rintracciabile per l’appunto nella casistica della foresta tropicale sudamericana, ove la legge del più forte incontra la severa regola dei numeri e la tirannia della maggioranza. Parametri che sotto qualsiasi punto di vista ragionevole, parrebbero porre in svantaggio una particolare specie del genere Acromyrmex, praticanti di una strategia segreta di sopravvivenza. Sto parlando di quella più comunemente detta delle tagliafoglie spinose o A. echinatior, e dei suoi conflitti incessanti contro le Atta cephalotes alias tagliafoglie giganti, strategiche dominatrici dell’industria senza posa della raccolta di ritagli d’alberi, come base ove far crescere preziosi funghi usati per il nutrimento. Un conflitto avversativo durato tanto a lungo e così feroce, nel protrarsi dei secoli trascorsi, da aver portato ciascuna categoria d’artropodi a percorrere la strada evolutiva della corsa agli armamenti, con capacità di movimento, aggressione e resistenza calibrate al fine tattico di soverchiare la controparte. Ancorché nessuno avrebbe mai pensato che costoro, in un imprecisato attimo destinato a modificare i rapporti di forza, potessero iniziare a ricoprirsi di vero e proprio METALLO…
La scoperta scientifica risale al 2020 ed è il prodotto di una fortunata coincidenza, del tipo che tanto spesso ha guidato innanzi l’arzigogolata marcia del progresso e della consapevolezza umana. Circostanza verificatosi all’interno del laboratorio di biologia evolutiva dell’Università del Wiscounsin-Madison, quando il ricercatore Hongjie Li, alle prese con un formicaio allevato nel corso dei suoi studi sulla commensalità delle formiche tagliafoglie coi batteri che proteggono le loro coltivazioni fungine, ebbe modo di notare una strana patina biancastra sopra la corazza esterna dei suoi soggetti. Non trovandone menzione nella letteratura, egli cominciò a pensare dunque come sottoporla ad un’approfondita analisi, cercando un modo per separarla dal corpo delle formiche, finché non gli venne in mente di sfruttare del semplice collutorio per uso orale. Inviando conseguentemente la sostanza al proprio collega Cameron Currie, che in un debriefing parziale dopo qualche ora di lavoro, avrebbe pronunciato le fatidiche parole: “Ci sono dei minerali, dentro. Abbiamo scoperto le formiche di pietra!”
Un’iperbole ma non di molto, visto come il contenuto dominante della sostanza in questione fosse in effetti un tipo di calcite a forte contenuto di magnesio, metallo attestato in natura soltanto in un altro caso: i denti per sgranocchiare il rigido corallo e pietra calcarea di cui è dotato il lento, ma inesorabile riccio di mare. Ragion per cui la presenza di una simile sostanza, evidentemente conservata e metabolizzata nel corso dell’intera vita delle formiche, poteva avere unicamente la funzione di proteggerle, raddoppiando sostanzialmente la resistenza delle loro corazze con appena un decimo dello spessore, nonché peso, del resto di quell’esoscheletro chitinoso. Seguì quindi l’inevitabile, quanto crudele sperimentazione, riportata estensivamente nello studio per la rivista Nature Communications Biomineral armor in leaf-cutter ants, consistente nel porre a diretto contatto le tagliafoglie con i loro implacabili nemici all’interno di circostanze controllate. Raccogliendo dati statistici precisi, nel conflitto gladiatorio, utili a dimostrare come gli esemplari di A. echinatior dotati di uno strato di magnesio più spesso sopravvivessero più spesso allo scontro, o comunque riportassero una minore quantità di danni, talvolta riuscendo addirittura a soverchiare e uccidere le A. cephalotes. Mentre sul fronte della resistenza ai parassiti, esse risultavano altrettanto avvantaggiate rispetto alle compagne dal minore contenuto di metallo, confermando una resistenza microbica potenziata negli esemplari in cui il rilevante fenotipo appariva con maggiore evidenza.
Una scoperta dalle applicazioni non certamente immediate (materiali più leggeri? Manipolazione genetica dei super-soldati umani?) ma senz’altro in grado di cambiare in modo significativo il paradigma della conoscenza, giacché la presenza di metalli nella corazza dei crostacei era una questione lungamente nota, e molto a lungo ci si era interrogati sul perché gli insetti, loro vicini tassonomici dalla maggiore varietà biologica, non avessero mai aggiunto tale caratteristica tra le strategie di sopravvivenza. Tanto che gli autori dello studio, già all’epoca della pubblicazione, hanno ipotizzato la possibilità che il magnesio o altri metalli simili potrebbero aspettare di essere scoperti anche in ragni, scorpioni ed altri membri del piccolo, selvaggio mondo. Ove vige la regola del più forte ma non solo quella; poiché tanto spesso chi primeggia è il possessore di un più alto grado di resilienza. E doni innati ricevuti dalle lunghe tribolazioni della sua minuta, agguerrita stirpe.