Un verme si agita nel protrarsi della lieve corrente marina, sospeso a mezz’aria, inconsapevole del suo destino. Non uno, ma molti accorrono per ammirarlo! Colori e pesci affamati, le code che si agitano disegnando una placida traiettoria marina. Sopra ed attorno quello che sembrerebbe costituire, senza eccessivi margini di errore, un sasso ricoperto d’alghe, coralli ed altre amenità tipiche dei fondali. Quindi d’un tratto, senza nessuna ragione apparente, l’ultimo dei piccoli nuotatori sparisce: niente bolle, né movimenti, oppur l’attacco di un (visibile) predatore. Bensì la cessazione, inappellabile ed improvvisa, dello stato d’esistenza della materia. Il verme continua a muoversi, indifferente. Trascorrono alcuni istanti, le piccole creature che si guardano attorno smarrite, occhi bulbosi che ricordano caleidoscopi colpiti dai raggi della Luna. Uno, due, tre, scondi. Un altro scompare. Poi un’altro ancora. E se vogliamo, a questo punto, appare possibile ipotizzarne la ragione; poiché il piccolo macigno, con la sua fitta copertura d’alghe, si è spostato di qualche centimetro e poi l’ha fatto di nuovo. Ogni qualvolta un pesciolino perisce, come se vibrazioni geologiche concentrate soltanto in quel punto, per uno scherzo della natura, avessero tentato di modificare le regole degli eventi. Ma è proprio nel mentre in cui l’ipotetico sub, con telecamera o senza, medita sul significato di tale impossibile congiuntura, che l’oggetto appare improvvisamente per ciò che effettivamente, era sempre stato. Al sasso spuntano due piedi, una coda, la sua prospettiva cambia. E con passo deciso, spalanca gli occhi crudeli prima di muoversi alla ricerca di pescosi lidi.
É tanto drammatico, a vedersi! L’espressione distorta, paragonabile a quella delle anime nei gironi danteschi, circondata da una corona fluente d’irsuta magnificenza con strisce a raggiera. E l’alta pinna dorsale, dinnanzi alla quale trova collocazione la prima spina modificata, nei fatti più simile al bastone di una canna da pesca. Con tanto di premio visivamente attraente, l’arma principale dell’Antennarius striatus, anche detto nei molti mari della Terra: “Rana pescatrice pelosa”. Mostriciattolo di appena 20 cm in merito a cui la relatività è certamente una fortuna, per noi umani, data la natura straordinariamente vorace ed aggressiva nella maggior parte dei casi. Fondata sull’eccezionale serrarsi della sua bocca con risucchio simile a quello di un aspirapolvere nel giro di sei millesimi di secondo, largamente sufficiente a superare la capacità sensoriale dell’occhio umano. Ma gli strumenti frutto dell’evoluzione, di cui esso appare dotato, non si fermano certo soltanto a questo punto, con le ottime capacità mimetiche che gli permettono di cambiar gradualmente colore, nel giro di alcuni giorni, ogni qualvolta le cose cambiano nel suo territorio di appartenenza arbitrariamente selezionato. Pesce adattabile per definizione dunque, così come gli altri appartenenti alla sua famiglia cosmopolita degli Antennariidae, con l’unico limite di una temperatura dell’acqua che non vari eccessivamente dai 20 gradi Celsius, il che lo porta ad attestarsi in luoghi distanti tra loro come l’oceano Pacifico, l’Atlantico e l’Indiano. Ma NON il nostro Mar Mediterraneo, e lascerò a voi formar l’opinione sul fatto che questo sia un bene o un male. Ogni creatura del resto, per quanto strana e magnifica, è l’ingranaggio di un particolare sistema ecologico, al di fuori del quale potrebbe costituire, nel giro di poco tempo, un irrisolvibile problema. Specie nel caso di esseri come questo pesce-rana, la cui voracità insaziabile fa parte del carattere “innato” delle sue circostanze…
