Senza le bombole, può stare sott’acqua per ore

Russian rebreather

Un tuffo in piscina non è generalmente un proposito inquietante, a meno di avere una ragione molto particolare per farlo: mettere alla prova un dispositivo per immersioni sovietico IP-5 dell’era della guerra fredda, che funziona grazie ad una doppia cartuccia di calce sodata e perossido di sodio, quest’ultimo, rigorosamente stabilizzato con una salutare dose d’amianto. Necessità tutt’altro che facoltativa, quando si considera l’alta volatilità di una simile sostanza, come del fatto che anche nelle migliori condizioni, l’insinuarsi di una quantità anche minima d’acqua all’interno del sistema potrebbe causare la liberazione di gas velenosi, seguiti dal divampare di un improvviso incendio subacqueo dalle conseguenze potenzialmente letali.
I rebreather sono sistemi chiusi per la respirazione indipendente, usati in tutto il mondo dal 1878, inizialmente per il soccorso in miniera. Il primo a pensare di adattarli per l’uso sott’acqua fu l’inglese Henry Fleuss, impiegato della compagnia per le immersioni Siebe Gorman, che costruì una maschera di gomma collegata ad un sacco a tenuta stagna, con un contenuto di ossigeno concentrato (50/60% di O2) e un filtro di yuta, imbevuta nel cloruro di potassio liquefatto (potash). L’efficienza dell’idea fu chiaramente dimostrata nel 1880, durante la costruzione del tunnel ferroviario sotto il fiume Severn, quando il capo del cantiere indossò uno di questi dispositivi, per avventurarsi lungo 300 metri di oscurità sommersa, allo scopo di chiudere alcune paratie. La missione, fino a quel momento, era sembrata impossibile, per il rischio che i tubi di respirazione dei palombari s’impigliassero nei detriti sommersi, anche a causa delle forti correnti locali. Il che, incidentalmente, è uno dei principali pregi da sempre maggiormente associati a questo particolare metodo per andare sott’acqua: la leggerezza e conseguente agilità, da sempre preferibili in situazioni belliche o d’emergenza. Nel mondo militare, i primi a dimostrare l’utilità dei rebreather fummo proprio noi italiani durante la seconda guerra mondiale, quando se ne equipaggiarono i primi incursori subacquei della storia, gli Uomini Gamma della Xª Flottiglia MAS. Questi erano infatti del tutto “silenziosi” ovvero avevano la caratteristica di non rilasciare alcun tipo di bolla durante le proprie missioni. Celebre fu l’impresa di Luigi Ferraro, l’uomo che nel 1943 fece affondare o danneggiò gravemente ben quattro natanti nel porto di Alessandretta in Turchia, fra piroscafi e motonavi, incaricati di fornire materie prime all’Inghilterra. Il particolare metodo da lui impiegato, perfezionato precedentemente dall’ingegnere ed eroe di guerra Teseo Tesei, era in grado di concedergli un’autonomia sommersa precedentemente considerata inimmaginabile, e fu quindi impiegato con successo in numerose altre operazioni speciali, prima di essere ripreso dagli altri paesi operativi nell’Europa di quegli anni, tra cui appunto, la Russia. Si trattava di un approccio alla questione decisamente più rudimentale dell’apparato mostrato nel video di apertura, eppure per certi versi, più sicuro: l’ASO (autorespiratore ad ossigeno) era costituito da un “sacco polmone” da cui il sub inspirava e quindi all’interno del quale, nuovamente, espirava. Ad esso era collegata una bomboletta di dimensioni ridotte, con 2/3 litri di ossigeno concentrato, per effettuare l’occasionale rifornimento del meccanismo. A questo punto sarà chiaro: chiunque impiegasse dei simili sistemi, sostanzialmente, era chiamato a respirare la stessa aria per buona parte del suo soggiorno sommerso, senza riguardo per le comuni necessità dell’organismo umano. Com’era possibile, dunque, evitare le gravose conseguenze dell’avvelenamento da CO2? Il sistema risulta semplice, ed al tempo stesso geniale: una certa quantità di materiale in grado di legarsi all’anidride carbonica, che varia in base al modello di rebreather ma che in genere è costituito da 2/3 Kg di calce sodata, ne impedisce il ricircolo, eliminando dalla miscela il prodotto indesiderabile della nostra stessa respirazione. Ciò significa, in parole povere, che un malfunzionamento del rebreather, contrariamente a quanto succede con i sistemi ad aria (le bombole) non è immediatamente evidente. Più di un sub così attrezzato, al saturarsi dell’aria presente nel sacco, ha finito per sviluppare sintomi comparabili a quelli dell’avvelenamento da monossido di carbonio: progressiva perdita di sensi e quindi, in assenza di soccorsi, la morte. E questo è forse il principale motivo per cui, oggi, simili sistemi sono relegati ad usi estremamente specifici, benché soluzioni moderne, come sensori chimici e sistemi d’allarme, ne abbiano grandemente aumentato la sicurezza d’impiego.

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Un abbraccio dal tuo amico, il polipo gigante

Enteroctopus

Le cose diventano grandi, se mangiano bene nell’ambiente naturale della loro provenienza. Quanto grandi? Beh dipende, il mare è vasto e pieno di segreti. Vecchi marinai giuravano, in fumose taverne presso il molo, che i tentacoli potessero ghermire facilmente la tua nave; non chiaro il modo e neanche la ragione. Kraken, Lusca, Cthulhu, Akkorokamui, Cetus. Scilla che tentò di ostacolare l’Odissea: Dodici ha piedi, anteriori tutti, / Sei lunghissimi colli e su ciascuno / Spaventosa una testa, e nelle bocche / Di spessi denti un triplicato giro. Una visione piuttosto preoccupante, mentre sopra l’onda si profila la tua fine in carne, zero ossa e plurime propaggini soggette a moto ondulatorio. Va considerato, tuttavia, anche il fatto d’efficienza in proporzione alla biomassa. Non siamo nell’epoca di dei ed eroi, quando le creature si giovavano delle quasi onnipotenti volontà. I tesori nascosti, ormai li abbiam trovati tutti, come ogni possibile via d’uscita dal mistero e l’entusiasmo per il viaggio. Per lo meno, in quanto tale. Perché mai dovrebbe, dunque, il polipo restare nell’idea di far la guardia, e poi comunque a cosa…Come l’erosione abbatte le montagne, l’evoluzione crepa facilmente una leggenda: la trasforma, attraverso i secoli, in qualcosa di più ragionevole, a misura, guarda caso, d’uomo. Il ceppo cambia ma i princìpi sono sempre quelli. Ma se dai del mollusco al tuo vicino, con intento piratesco di recargli offesa, faresti comunque meglio a fare un’ulteriore specificazione. Visto che il più grande e saggio di quegli animali, ancora adesso, è tra i signori indisturbati dei pacati flutti pelagici e sommersi.
Si alzi dunque quel sipario: “Enters the octopus”. Anzi, addirittura: Enteroctopus dofleini, per tornare a quel grecismo delle espressioni che così efficientemente può riassumere la bestia; octo pedes, otto piedi (ne vedessi uno!) Stiamo parlando, in effetti, del polipo gigante del Pacifico, un animale alquanto significativo, il cui peso massimo si aggira quanto meno e supera spesso abbondantemente il mezzo quintale. 70-80 Kg: Grossomodo, quanto una persona ben piazzata? Più di Aaronatevergreen, forse, che qui tanto è ben riuscito a catturarne le movenze placide ed eleganti, la curiosa interazione tra i diversi mondi del sensibile, lucido e sommerso. Giacché il secondo ambiente mai nessuno l’ha meglio personificato, che il polipo stesso vagamente simile a noi, così grande e bello, rosso e appassionato. Una visione d’altri mondi, persino per un naturalista consumato come questo, che da anni pubblica sul suo canale ogni sorta d’incontro con le ambascerie abissali del profondo. Siamo a largo dello stato di Washington, nel nord-est degli Stati Uniti, dove le acque fredde prossime all’Alaska attirano ogni sorta di presenza affascinante. L’esemplare di polipo era assai probabilmente intento nel cercare una compagna, presso il complesso sistema d’estuari e vie fluviali dello stretto di Puget. Si tratta di un momento particolarmente delicato, nella vita di un mollusco, quando lo spingersi verso la superficie e molto al di fuori dai pertugi della sua tranquilla sicurezza può esporlo, assai scomodamente, alla vista famelica dei predatori. Oppure, come in questo caso, a quella entusiasta di un umano di passaggio, solamente un poco meno fastidioso. Ciò nonostante…Non parrebbe arrabbiato, il silenzioso nuotatore articolato, ma piuttosto appena un poco incuriosito, dalla venuta imprevista di questo suo lontano cugino con due occhi, stranamente rivestito da una muta, maschera e con bombole a seguire.
Perché il polipo comprende, grazie alla sua notevole intelligenza, soprattutto fra la media dei suoi coabitanti del piano mesolitorale (circa 2000 metri di profondità) tutti semplici pulsioni e voglie basiche di divertirsi e prosperare, senza mai comprendere le semplici ragioni della fisica e del mondo. Mentre, lui. Gli attendenti degli acquari spesso raccontano del modo in cui questa particolare specie di polipi, piuttosto comuni nelle acque naturali o meno degli Stati Uniti, siano portati per l’arte nobile dell’evasione: smontano valvole, aprono portelli, rompono sigilli. C’è ben poco che quegli otto arti, ricoperti di una doppia fila di ventose, non possano manomettere o disintegrare. Inclusi pesci, orecchie di mare, granchi, vongole, ostriche e aragoste, ciascuna trascinata con fermezza e convinzione fino al duro becco di chitina, che frantuma tutto e ingurgita, con lieta sussistenza. Non si arriva a certe dimensioni ragguardevoli, senza pestare qualche pinna o chela…

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Un tuffo nel buco del Texas

s Well

Questa storia, apparentemente priva di un senso logico, è una ragionevole approssimazione della vicenda verificatesi verso gli anni ’50 dello scorso secolo presso la ridente cittadina di Wimberley, nel Texas centro-meridionale. Un luogo estremamente verdeggiante nonostante la poco elevata latitudine, che si era sempre giovato di una fonte inesauribile di acqua potabile, sita nel letto stesso del fiume Cypress Creek. Un corso destinato a sgorgare, molto più a valle, nell’enorme Golfo del Messico, ma che non si origina soltanto dalle fonti montane site nella Waller County. Bensì dalle viscere del mondo stesso, attraverso una fonte artesiana che porta tutt’ora il nome biblico di Jacob’s Well. Nell’epoca moderna, a causa dell’eccessivo sfruttamento, la falda acquifera di Trinity si è notevolmente ridotta. All’improvviso, quell’alto geyser ha cessato di erogare un vortice verso le inaccessibili regioni del cielo. Al diradarsi della lieve nebbiolina, frutto di molecole scomposte, ciò che restava…
Immaginate di ricevere in dono, da un’entità sovrannaturale non meglio specificata, la più splendida delle piscine. Con tanto di copertura motorizzata, trampolino, scaletta, spogliatoio, sdraio ed ombrelloni. Se non avete un giardino, poco importa. Anche quello vi sarà fornito, grazie a un’imprevista eredità. Immaginate, dunque, di svegliarvi in una splendida mattina di primavera, al suono degli uccelli in festa. Per veder la luce splendida che si riflette sopra l’acqua della vostra vasta vasca, già l’invidia dell’intero vicinato; e di scoprire, con vostro estremo rammarico, che al centro dello spazio c’è un profondo foro, largo esattamente 4 metri e profondo quanto, non si sa. Questa voragine oscura, ad ogni modo, è la fonte stessa della vostra fortuna. Grazie ad essa l’acqua della piscina non è mai troppo fredda, né eccessivamente calda. Da qui sgorga, grazie a una leggera e piacevole corrente, un fluido sempre limpido e trasparente, senza nessun tipo di accumulo o ristagno. Se voi decideste di ostruire il foro, perdereste presto l’uso ideale del meraviglioso dono del destino. Cosa fare, dunque, se non limitarsi ad ignorarlo? Giorno dopo giorno, sempre rinfrescati, gioiosi e corroborati da un sincero senso del relax, andreste a letto soddisfatti della vostra situazione.
Ma poi la notte, nel dormiveglia, poco prima di lasciare il passo al senso dell’oblio, la vostra mente andrebbe in overdrive: “Ma cosa diavolo ci sarà mai, in fondo a quell’orrendo e misterioso BUCO!?” Potrebbero passare settimane. Oppure mesi, se non anni. Magari anche generazioni. Ma un giorno voi, oppure i vostri figli, nipoti o pronipoti, rabbiosi prendereste pinne, bombole ed occhiali. Per andare a perdervi nella profonda tenebra sommersa…

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