Demiurgo delle centomila macchinine

Metropolis II

Chi ha detto che l’arte contemporanea debba essere, per sua intrinseca natura, difficile da interpretare? Le opere di Chris Burden sono più dirette della scia di una cometa, forti e corpose quanto l’alba di una torrida mattina nel Sahara. Guardate questa, ad esempio. Un’intera flotta di automobili giocattolo, coloratissime, che percorrono senza posa la più straordinaria delle piste. Praticamente, una città; anzi, Metropolis II, la scultura cinetica su quattro livelli, con 18 superstrade di cui una a sei corsie, alti grattacieli e un’intera ferrovia, attualmente in mostra presso il LACMA di Los Angeles. I piccoli ed agili veicoli si muovono all’equivalente (in scala) di 240 miglia orarie, giù per le ripide discese, compiono maestose parabole e poi si bloccano, impattando rumorosamente contro il posteriore delle loro simili-partite-poco-prima. Quindi, imboccato il difficile sentiero di quel nastro, che lentamente le riporta al punto di partenza, avanzano affannose, riproducendo il traffico di una terribile ora di punta. Non c’è continuità, diversamente dall’autostrada di un lungo viaggio; si va lenti, poi veloci e così via; “È questa la ragione principale dello stress di guida” Spiega lui, mentre manovra i pochi interruttori “Il ritmo diseguale, l’accelerazione a seguito di brusche soste”. Anche la fonte dell’usura delle auto, con conseguente spesa, come ben sanno i precari e i pendolari urbani. Naturalmente, l’opera contiene molte tematiche ulteriori. C’è lo spazio architettonico irreale, fatto di palazzi svettanti, con le travi a doppia T e gli altri elementi dell’urbanistica disumanizzata. Che in un altro frangente lui schiantava nella terra, neanche fossero le fiocine del capitano Achab. Il tutto è mescolato con sapienza estetica davvero navigata. Vista dall’alto, questa pista-scultura potrebbe costituire il sogno di un bambino di qualunque età. E poi ritorna, con essa, il ricorsivo pluralismo delle cose indipendenti, tanto caro a chi l’ha costruita. Vedi ad esempio All the Submarines of the United States of America (1987), in cui l’autore aveva appeso alla rinfusa in una stanza 625 piccoli sottomarini, tutti uguali. La città di Metropolis II ha un che di selvatico, che sfugge all’immediata comprensione. Più che un meccanismo, pare un organismo.
La gente la circonda, osservandola da tutti i lati. Le auto girano vorticose, intorno all’edificio e poi pure dentro, sopra e sotto la scultura. Lo stesso fanno i globuli, gli zuccheri e le altre sostanze, nelle vene di colui che siede in centro. L’artigiano-demiurgo preme il tasto, avvia la giostra: il resto è rubiconda gravità.

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