All’epoca dei primi insediamenti umani della Nuova Zelanda, poche risorse avevano un valore superiore al kaimoana, punto di concentrazione dei mitili sfruttati come importante fonte di cibo al punto da costituire un sinonimo di sicurezza ed abbondanza per la popolazione. Così nei punti di raccolta privilegiati, vedi l’alta e frastagliata costa di Otago nell’isola del Sud, già poco dopo il nostro anno Mille sorgevano potenti Pā o villaggi fortificati, luoghi di mana (prestigio) e rohe (territorio del clan) la cui difesa costituiva un punto fermo della società organizzata di entrambe le isole dell’arcipelago meridionale. Ciò che in seguito avrebbe sorpreso i primi esploratori europei di tale zona geografica, tuttavia, non furono tanto i siti archeologici scavati in superficie e neppure le capanne semi-sotterranee per lo stoccaggio delle vettovaglie da usare nei tempi di magra, bensì un vero e proprio dedalo nascosto e non troppo facilmente raggiungibile, se non mediante waka (canoa) ed una certa quantità di coraggio intrinseco per quanto concerne gli oscuri pertugi. Ben poco in merito a queste misteriose aperture, in effetti, risultava allineato con la tipica conformazione delle grotte dei litorali, aperture ad imbuto create dalla sollecitazione delle onde incessanti, coadiuvate dallo strofinìo meccanico di sabbia e detriti. Ciascuna dotata di un carattere ed aspetti distintivi propri, nonché camere spropositate, inclini a rivelarsi dopo il transito di strette gallerie dalle curve imprevedibili ed altezze in alcun modo conformi alle aspettative.
Vengono riconosciute oggi sulle mappe 10 grotte marine indipendenti, tra cui la prima e seconda maggiori al mondo, nell’area della colossale Matainaka o Matanaka nella baia di Waikouaiti, i cui 1.540 metri di lunghezza non hanno eguali. Ciascuna raggiungibile da un’apertura costiera priva di caratteristiche particolari, possibilmente larga appena il giusto da permettere l’ingresso ad un’imbarcazione individuale. Per poi spalancarsi spettacolarmente, nel giro di poche decine di metri, fino al caso estremo della Cattedrale Rosa, così chiamata per la quantità di alghe color corallo che crescono sulle sue mura, prive della clorofilla non avendo mai potuto conoscere, né in alcun modo immaginare la natura della luce solare. Giacché le meraviglie di quest’area geografica non sono unicamente di un tipo geologico, trovando sotto queste volte il proprio mondo un’ampia varietà di creature endemiche. Tra queste, innumerevoli varianti del caratteristico gambero neozelandese Alope spinifrons, con macchie o punti che costellano la sua livrea d’inusitati disegni; letterali milioni di talitridi, anche detti pulci della sabbia, che si moltiplicano e prosperano da incalcolabili generazioni; o ancora l’occasionale isopode segmentato della famiglia Ligiidae, che si arrampica sulle pareti e corre sui soffitti quasi totalmente privi di stalattiti. Il che ci porta ad un’analisi di certo necessaria, al fine di riuscire a contestualizzare le singolari caratteristiche geologiche di questo sito quasi totalmente privo di menzione, persino sulle guide compilate a vantaggio dei turisti più avventurosi…
La costa di Otago mostra, da un punto di vista morfologico, l’effetto di eoni di erosione a carico di uno zoccolo roccioso che da molti secoli assomiglia ai denti di un’antica lama seghettata. Sottoposta all’energia cinetica dell’acqua sospinta dai venti dei mari del Sud, con faraglioni alti fino a 20-40 metri consumati e promontori simili a sculture dal significato nebuloso, costituendo l’opera dell’artista più paziente che la mente umana sia capace d’immaginare. Una situazione nel complesso ideale alla formazione di pertugi esplorabili dunque, sebbene ciò non spieghi necessariamente l’estensione atipica e complessità visitabile delle gallerie circostanti la baia di Waikouaiti. Almeno prima d’entrare nel merito di cosa, esattamente, costituisca la massa del sostrato sottoposto ad una tale forza di scavo, principalmente composta dalla tipica arenaria di Caversham di queste latitudini, benché ciò rappresenti, da un punto di vista pratico, soltanto la metà della storia. Poiché nell’era lontanissima della sua deposizione, in qualche maniera che attende ancora oggi di venire approfondita, uno strato significativo degli antenati di quegli stessi mitili mangiati in epoca storica dei Maori, nonché molte altre creature con scheletro mineralizzato morirono giungendo a costituire un tutt’uno con l’inamovibile concentrazione pietrosa. Giungendo a dar vita, in altri termini, al calcare di Goodwood, compatto materiale incline ad essere disciolto, col trascorrere di sufficienti generazioni, per l’effetto delle sostanze chimiche e la semplice anidride carbonica contenute all’interno di ogni tipo d’acqua, inclusa quella di mare. Il che genera, secondo il piano acclarato della natura, l’interconnessa rete di collegamenti sotterranei nota come carsismo.
Un mondo le cui leggi misteriose portano a circostanze, nonché pericoli non necessariamente familiari a chi volesse intraprenderne l’esplorazione. Dal bruco calo ed aumento del livello dell’acqua, in questi spazi ristretti ed accidentati, a seguito della variazione delle maree, alla compressione improvvisa dell’aria intrappolata all’interno, capace d’indurre il fenomeno dello “schiocco” auricolare, pur non giungendo a richiedere delle manovre di compensazione del tipo usato dai veri e propri sommozzatori. Non è infrequente d’altronde la necessità di sollevare e far passare le canoa in spazi ristretti, prima di tornare a utilizzarla nella galleria a seguire come fosse il fedele compagno di una vera e propria escursione speleologica verso le umide profondità del pianeta.
Sfide meritevoli di essere affrontate, a quanto si racconta, previa acquisizione delle competenze opportune ed una messa in atto delle buone pratiche per chi scelga di lasciarsi indietro il contesto familiare della superficie costiera. Con molte significative meraviglie ad attenderlo, oltre una delle plurime aperture a disposizione: gli strani suoni che riecheggiano per l’effetto del vento nella grotta dei Sussurri, la spiaggia dorata di sabbia fine nascosta nelle più remote profondità della caverna di Gemma, o ancora il geyser in agguato geometricamente imprevedibile, che bagna inaspettatamente i visitatori della spaccatura di Tomo…
Magnifiche proprio perché (ancora) incontaminate, e poco battute dai turisti a causa della loro limitata accessibilità topografica, nonostante la vicinanza delle strade percorribili ai margini di alcune fattorie costiere risalenti al XIX secolo, le grotte di Matainaka costituiscono un patrimonio ancora largamente misterioso di quella che potremmo definire come la memoria intrinseca di un intero continente, le cui stesse caratteristiche a tal punto influenzarono lo stile di vita ed il modus operandi delle persone.
E chi può dire fino a che punto fu influenzata la cultura delle antiche genti di Otago, in epoca antecedente alla venuta degli Europei, dalla potente percezione di quanto profondo e misterioso potesse essere il sottosuolo ai confini dei luoghi noti… Là dove neppure Tāwhirimātea, il supremo dio del Cielo e delle Piogge, era in grado di estendere la propria influenza, lasciando il campo totalmente libero al reiterato incontro tra Tangaroa, signore del Mare e Papatūānuku, la madre Terra che da sempre nutre e custodisce il vasto gregge delle sue disomogenee, ma egualmente beneamate creature.


