Meccanismi complessi, processi affinati da millenni d’evoluzione al fine di raggiungere un perfetto sistema riproduttivo. Sofisticata è la natura ed altrettanto collaudati i suoi attori. Al punto che il miracolo di qualcuno, tanto spesso, tende a diventare l’orrore di qualcun altro. Pensate ai pesci nella pancia della balena. Le gazzelle che inciampano cadendo a terra nella pista-savana. I suini nell’impianto zootecnico costruito dall’uomo; anzi, no. Pensate all’ape catturata nella sua buca… Tomba. Camera di una tortura straordinariamente lenta costruita da un’esperta assassina. Poiché questo è il fato costruito sul sentiero del suo domani, per il tramite di colei che ha raccolto il sinistro mandato: “Fai sempre agli altri ciò che non vorresti mai fosse fatto a te stesso.” Già, gli animali possono essere crudeli. Le vespe, molto più di questo. Non per niente esiste il genere Philanthus, fuori dalle logiche dei calabroni costruttori di nidi comunitari, tanto bistrattati e odiati per il rischio che possono arrecare agli abitanti dei confini domestici costruiti dall’odierna civilizzazione a due zampe. Ma che sulla base di quel remoto grado di parentela, hanno costruito uno stile di vita consistente nella costruzione di tane singole nel sottosuolo fatto di terra e radici. Ove portare a termine gli affari di cui l’evoluzione gli ha concesso un’istintivo programma rivelatore. Essere dunque non più lunghe di 10-12 mm presenta il mondo come un luogo di pericoli. Il che tende a porre le basi di un irrinunciabile bisogno di passare inosservate, soprattutto nel periodo di vulnerabilità in cui si è ancora incapaci di spiccare il volo alla necessaria ricerca di un/una partner riproduttiva. Da qui, il nesso dell’intera vicenda: perché invece di nutrire poco a poco quelle larve vermiformi, non dotarle dal momento della nascita di una ricca dispensa ereditata, già colma di quelle risorse giudicate necessarie alla costruzione del bozzolo e il completamento della metamorfosi finale? Un deposito sotterraneo a tutti gli effetti “vivente”, affinché non possa deperire o essere contaminato da batteri o muffe prima del completamento di quel passaggio. Che idea, mia cara P. triangulum! (Qui è giusto riferirsi alla principale specie europea) Il tipo di sincero affetto materno, che inizia con l’omicidio e finisce con lo smembramento da parte dei piccoli di un’incolpevole vittima designata. In altri casi: verme, bruco, lumaca, scarabeo… Ma le nostre beewolf o “lupi delle api” come vengono chiamate in lingua inglese, si specializzano nell’utilizzo di una particolare, irrinunciabile preda. Quell’essere coperto di peluria che tanto spesso abbiamo amato, per la sua utile abitudine di produrre il miele…
Ragionevole sarebbe chiedersi, a questo capitolo della nostra analisi, come possa esattamente una vespa fecondata dal suo maschio attaccare un alveare composto da centinaia, se non migliaia d’imenotteri eusociali e del tutto solidali l’uno all’altro, come avessero giurato sulla scintillante sacralità dei loro pungiglioni, capaci addirittura di far male ai più imponenti e terribili dominatori della Terra. Il fatto è che la vespa lupo ben conosce ed utilizza lo strumento della furtività, in maniera simile a quanto fatto dal conte vampiro, il canide mannaro, Jack lo Squartatore o la creatura della laguna nera. Colpendo solo e unicamente in quel momento condiviso, in cui anch’ella come l’ape vola verso i fiori per suggere il nettare che costituisce il proprio cibo principale d’adulta. Con la differenza procedurale di mantenere occhi e antenne all’erta, fino alla percezione dell’arrivo dell’ennesima operaia concentrata sul suo lavoro. Ecco allora che il crabronide si sposta lentamente in posizione, prima di piombare come un’assassino sulla schiena dell’inconsapevole collega gialla e nera. Colpendola più volte al ventre, con spietata efferatezza, con l’avvelenato aculeo situato sulla parte retrograda del crudele addome. ll che sortisce, nell’immediato, due effetti: il primo è la paralisi di numerosi muscoli nel corpo dell’ape, che diviene subito incapace di volare o invero, anche semplicemente deambulare lentamente via dal momento esatto del più assoluto annientamento. Mentre la seconda, per quanto tardiva e inutile, sarà un tentativo disperato di colpire di rimando l’assalitrice, generalmente trasformato in gesto meramente formale dalla bravura di quest’ultima nel mettere avanti unicamente le parti corazzate di quel corpo forte ed agile allo stesso tempo. Mentre il veleno continua a far precipitare l’ape, senza pause degne di nota, in un irreversibile stato di morte apparente. Segue la manovra tutt’altro che semplice, con cui l’amorevole madre afferra tra le zampe il condannato, e trasportandolo con cautela l’inserisce all’interno di uno dei suoi buchi che conducono all’oscurità della speranza e ogni auspicabile via di fuga. Come una gallina che conta più e più volte le proprie uova, la vespa lupa effettuerà a quel punto i calcoli necessari, al fine di determinare quante altre api dovrà condurre fino alla soglia del regno dei morti, ben sapendo che saranno i suoi nascituri a spingerla fino all’ora ultima e predestinata dell’incoscienza. In quanto raggiunta l’ora X, procederà a deporre in quel pertugio le uova tanto sospirate. Destinate a schiudersi a partire dal mese di luglio, per dare inizio al solenne rituale dell’orribile cannibalismo tra insetti.
Si tratta di un metodo estremamente funzionale ma cionondimeno colmo di pericoli eminenti. Il primo l’eventuale, e già citata contaminazione ad opera di funghi o muffe, che potrebbero rapidamente uccidere sia l’ape paralizzata che le larve in attesa di venire al mondo. Ragion per cui le madri della vespa lupo mettono in atto una strategia tripartita: in primo luogo tramite la secrezione di un muco protettivo, capace di tenere all’asciutto la camera sepolta, così da scongiurare la proliferazione degli organismi indesiderati. Secondo punto, l’inoculazione ai piccoli di speciali batteri commensali presenti all’interno di cavità nelle antenne dell’adulta, i Candidatus Streptomyces philanthi che saturino e rendano ulteriormente ostile l’ambiente. E vero e proprio pièce de résistance, potendo in seguito contare sulla propensione delle uova stesse a rilasciare per settimane basse quantità di monossido d’azoto, un gas letale per un’ampia varietà di microrganismi ostili. Come sarebbe possibile, a questo punto, immaginare il fallimento di un così ottimizzato processo riproduttivo… Se non che, in effetti, almeno un rischio permane. Quello rappresentato dalla sfavillante vespa dorata (fam. Chrysididae) imenottero specializzato nella predazione e parassitismo di crabronidi malcapitati. L’unica cosa migliore che deporre le uova sopra un’ape paralizzata è in effetti farlo sulle larve che dovevano nutrirsene, una sorta di peggioramento pratico del concetto del nido del cuculo tra i pennuti. E qui, l’unica contromisura diventa l’anonimato, tanto che le vespe lupo americane (P. gibbosus) sono solite costruire la tana con numerosi falsi ingressi, e tentano di ricoprire l’unico reale mediante l’utilizzo di un solido tappo di terra. Nella speranza, spesso vana, che la persecutrice scelga di desistere dirigendosi altrove.
È un’applicazione tanto riconoscibile dell’universale legge del karma. Nonché la prova che tanto spesso s’industria nel farlo, non può esimersi in eventuali circostanze dall’aspettarsi un qualche tipo d’impietosa rivalsa. Pur trattandosi di rischi impliciti del suo mestiere. E nessuno potrà mai realmente affermare, a tal proposito, che il rischio delle api costituito da predatori naturali come questo, possa competere con tutto l’inquinamento e la distruzione di spazi e risorse causati da altri…