Il canto armonico dei mongoli dei nostri tempi

Khusugtun Batzorig

Avete mai sentito di un uomo che riuscisse a tenere due note contemporaneamente? Conoscete quel tipo di musica in cui le vocali vengono così potenziate, fino a dimensioni abnormi, da arrivare a pronunciare una media di 0,3 parole al minuto? In certi casi estremi, vedi il pezzo tradizionale Uvgin shuvuu khoyor (Il vecchio e l’uccellino) nel corso di 3 ore vengono pronunciate esattamente 32 brevi strofe, senza neanche l’ombra di un tranquillo ritornello. Non sono queste che due meraviglie fra le innumerevoli, dell’antica tecnica del canto armonico che comunemente definiamo con il termine Khoomei. In realtà null’altro che il nome in lingua di uno degli innumerevoli stili praticati nella regione siberiana di Tuva, nei secoli associato per antonomasia alla versione trasportata insieme ai venti dalle orde dei loro vicini maggiormente bellicosi. E chissà se il grande Chinggis che si è soliti traslitterare con la G e la E, l’uomo più prolifico e spietato della storia, immaginava ciò che avrebbero ascoltato i suoi lontani discendenti, quando momentaneamente stanco di tante conquiste e peregrinazioni, seguito dalla sua ancestrale carovana, decretò che il popolo sostasse per un tempo medio a Ulan Bator, nella valle del fiume Tuul, dove le yurte gradualmente vennero sostituite da alti templi dedicati a Tengri, il dio del cielo e della terra. Perché se pure lui non perse tempo a ripartire, verso i giorni successivi della sua leggenda e fino all’ultimo passato in sella, molti lì rimasero, a fondar le basi di uno stato successivo al nomadismo. Che costituisce, ai giorni nostri, l’eredita dei mongoli, degli archi a cavallo e delle loro narrazioni musicali.
Una scena rock ed heavy metal molto attiva, diverse boy band, come i Camerton, i Motive e i Nomin Talst, gruppi femminili quali le Kiwi, le Emotion, le 3 ohin e le Lipstick (tutto questo cita Wikipedia) e cantanti solisti di fama anche internazionale, vedi Amarkhuu Borkhuu, giovane star del pop mongolo e russo. È presente inoltre ogni possibile variante dell’hip hop. Generi globalizzati, che anche qui trovano una pletora d’esecutori meritevoli, largamente sconosciuti oltre gli erbosi tratti della steppa senza fine; ma l’opera che può colpirci maggiormente, da occidentali quali siamo, resta senz’altro un certo tipo di trasformazione delle tradizioni, quel tipo di pezzo musicato secondo metodi ancestrali ma con canoni e tempistiche decisamente più moderne. Nel Khoomei dei nostri giorni, in effetti, il ritmo aumenta in modo esponenziale. Nulla resta di quei manierismi tribali delle origini, tramite cui il cantante o menestrello di turno, nell’elogio agli antenati o nella lode a un qualche splendido cavallo, trasportava i suoi spettatori in un mondo senza limiti e confini, ove lo sguardo e poi l’orecchio si perdevano a vagare trasognati. Chi ha tempo, non aspetti. Siamo nell’epoca del digitale! Dei panini col salame! Delle informazioni nette e chiare, dei tremendi cellulari! Molto più adatto, al nostro gusto, potrebbe risultare un artista come questo Khusugtun Batzorig, che qui vediamo in bilico sopra l’affascinante formazione rocciosa tra due fiumi e il deserto del Gobi, mentre suona con trasporto un morin khuur, o violino con la testa di cavallo. Impossibile notare come lo strumento, per una qualche strana causa, sia del tutto privo di detta presenza equina intagliata sulla cima dell’impugnatura, elemento che derivava dall’antica verga sciamanica ed aveva sempre costituito il simbolo di questo genere musicale. Forse c’è un qualche tipo di remoto simbolismo… Ma poco importa: perché costui, anche complice il paesaggio, con la sua veste keel di un verde acceso e i capelli raccolti in un lungo codino, ci appare indubbiamente come: l’uomo più mongolico di tutti i tempi. Mentre nel crescendo della sua canzone, che stando al titolo sarebbe guarda caso dedicata al celeberrimo Genghis/Chinggis, si palesa lo stiléma di un tempo remoto, eppur gradevolmente velocizzato per il gusto di chi visita YouTube.

Ethnic Zoriyoo
Il video per la canzone del genere hip hop del gruppo Altain Orgil (ft. Zaya il tataro) è una curiosa commistione di elementi antichi e post-moderni. Crea una strana giustapposizione vedere questo cantante armonico delle steppe, abbigliato come un vero guerriero medievale, che gesticola con fare tanto simile al classico rapper nero americano.

Esatto. Però sovviene una domanda: fino a dove ci possiamo spingere nella ricerca di valori e metodi contemporanei, vedi rock e hip hop di cui sopra, senza perdere il gusto inconfondibile del canto Khoomei? La risposta è: molto, molto innanzi sulla strada. A differenza della musica classica occidentale, in effetti, lo stilema mongolo si giova di un metodo profondamente tecnico e una sonorità inscindibile nei suoi diversi componenti, un po’ come lo jodel in falsetto delle popolazioni alpine. Basta l’accenno di un Do tenuto per un paio di secondi, appena un lieve segno di richiamo ma inserito al punto giusto, per suggestionar l’immagine dei cavalieri e delle orde, oppure di Heidi con la sua capretta, nell’altro e nostrano caso.
Il canto armonico dell’Asia centrale, conosciuto in senso internazionale soprattutto nella sua versione siberiana, si giova di una particolare risorsa dell’apparato fonatorio umano. Quell’organo che ha il nome di corde vocali, ma tutt’altra forma rispetto a ciò che si sarebbe indotti a pensare fin da bambini, anche scorrendo rapidamente le pagine di un libro di anatomia: ovvero due pliche o barriere muscolari, site sopra la laringe e sotto l’epiglottide, che hanno la capacità di far vibrare l’aria di ritorno dei polmoni. Producendo non soltanto un suono bensì molti, con l’aiuto della bocca, della lingua, dei denti e così via. Ma la realtà, tanto brutalmente messa in evidenza dal lavoro dei discendenti di quei cavalieri, è che noi comuni praticanti del parlare non usiamo che una parte del tesoro nascosto in fondo alla gola. Una piccola percentuale, nulla più, della sua vasta capacità di connotare il suono verso le regioni di frequenza meno comunicative. Ma così tremendamente…riconoscibili e ricche di significato! Quello che puoi fare agli estremi superiore ed inferiore dello spettro, tralasciando le regioni maggiormente battute delle medie armonie canore, può davvero risultare memorabile, pure per l’orecchio di chi ascolta da lontano.

Fish Symbolled Stamp

Più veloce, più potente, sempre più vicino all’imponderabile futuro prossimo e remoto. Chi pensava che il Khoomei fosse ormai destinato, come le simili forme d’arte tibetane, africane, del Kazakhistan o dell’Hokkaido, a restare l’appannaggio di associazioni culturali e rare cerimonie religiose, sarà destinato ad essere sorpreso ancora una volta dall’incedere di questo popolo creativo ed ingegnoso nella sua irriverenza. Ecco qui un esempio, ancora più sfrenato, di musica ritmata con forti influenze armoniche tradizionali. Stiamo parlando, come si può facilmente apprendere dalla descrizione al video, della canzone del 2014 MONGOL della band Fish Symbolled Stamp, realizzata a supporto del recente film “Time of The Middle Emperor” assai probabilmente basato sulle conquiste cinesi di Kublai Khan, il nipote del solito Genghis. Qui il caratteristico ronzio della nota di sottofondo, tenuto dal cantante principale di turno, si trasforma in un’oscillazione continua e spietata, mentre l’iper-velocità dei versi quasi tende a sovrapporsi in un turbinio d’immagini a turno violente, appassionanti o misteriose. Non mancano neanche in questo caso, naturalmente, i siparietti con i musicisti in abiti di scena, che gesticola minaccioso verso l’obiettivo della telecamera. Certi punti d’influenza culturale nostrana, con relativa spettacolarizzazione dei modelli, sono impossibili da cancellare, così come l’avanzare dei conquistatori lo era stato in senso opposto tanto tempo fa.
È indubbio che qualcuno possa chiedersi, a questo punto, quanto dell’originario canone sonoro sia ancora effettivamente parte della musica mongola e in che percentuale invece simili affettazioni armoniche siano dei fittizi ausìlii alla creazione di un’immagine nazionalizzata da esportare, un po’ come le classiche ghirlande floreali delle Hawaii. La realtà, come in ogni altra cosa, è sita assai probabilmente nel mezzo, con alcuni artisti che ricercano lo stile estetico per fare scena, mentre altri risultano maggiormente votati ad uno scopo di divulgazione culturale. Certamente più allineato a questa seconda finalità risultava essere il grande Kongar-ol Ondar, deceduto l’anno scorso all’età purtroppo relativamente giovane di 51 anni, maestro del canto armonico e membro del Gran Khural di Tuva. Le sue molte esibizioni, usate anche a supporto di un programma politico di rinnovamento, seppero lasciare il segno su di un vasto pubblico di molte nazionalità. Qui compare durante una sua partecipazione al celebre programma americano del David Letterman Show, mentre metteva in pratica le pregevoli note della sua arte. Fra tutti i video che ho citato in questo articolo, qui risulta più facile percepire, anche da non esperti, la seconda nota cantata sopra il ronzio di sottofondo, un suono che può facilmente raggiungere anche la ventiquattresima ottava. Purissimo appannaggio del regno dell’uccellino naturale, piuttosto che dell’umano, vecchio o giovane che sia.

Kongar-ol Ondar

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