Il drone dell’idraulico governativo in pensione Wu Guoyong sorvola rumorosamente il campo di cadaveri dalle molte sfumature intermittenti. Ricordi che svaniscono di un’epoca gloriosa, appena cominciata e già trascorsa sul finire di quell’esperienza breve. Ma intensa. Ruote all’aria, abbandonate, col sellino che s’incastra nel manubrio e in mezzo ai tubi, le catene e le altre parti di un milione (o più) di altri velocipedi dimenticati. Schiacciata, soffocata sotto il peso dei suoi simili: la bicicletta un tempo nuova, ancora utile, si, come concime. Che cosa ha ucciso il sogno e la speranza? Per quale motivo adesso giace, placido metallo deformato, macchia di colore dentro il mare delle avverse circostanze? Siamo in Cina, sotto il cielo di Pechino, Nanchino, Shenzen, Guangzhou, Xiamen, Hefei o Wuhan, scegliete voi. Sette luoghi differenti con la stessa storia. Una vicenda alla ricerca del futuro, sogno evanescente di una splendida rivoluzione, oggi trasformato in letterali monumenti all’arroganza del capitalismo. Che cerca in tutti i modi di costruirsi basi finanziarie solide, talvolta calpestando l’esistenza stessa di una società dell’ottimismo. Bici…Biciclette senza tempo, qui riprese da un’artista narratore per la prima volta celebre, poiché ha dimostrato la verità. Un capitolo tremendo nella storia dei trasporti personali, senza neanche un briciolo di vita o di rivalsa. Le leggende taoiste parlano dei Picchi degli Immortali, luoghi sospesi tra la terra e il cielo, ciascuno abitato da un diverso saggio che ha studiato tanto lungo la natura, da aver superato gli stessi limiti dell’esistenza materiale, non potendo più sperimentare l’esperienza dell’invecchiamento. Ma l’amore quotidiano per la scienza, il senso del ragionamento, le aspettative logiche dell’esistenza umana, oggi, ci hanno allontanato da una simile visione filosofica della questione. Mentre tutto ciò che resta delle antiche mitiche montagne è morte e distruzione, come per i cumuli di teschi di bisonte accumulati dal cacciatore Buffalo Bill, onde farne utile concime a vantaggio dei campi coloniali neo-americani. Il problema, in questo caso, potrebbe tuttavia risultare ancorché peggiore: perché dal ferro e dalla gomma degli pneumatici, ad oggi, non cresce nulla. Ed il riciclo, molto spesso è assai più costoso del semplice abbandono. Specialmente quando si parla di quantità tali di prodotti elaborati, ciascuno composto da una pluralità di elementi ormai così distanti dalle origini dei materiali di partenza.
La bolla del bike sharing, soprattutto nel paese più economicamente forte dell’Asia, è ormai un fatto largamente acclarato, grazie agli innumerevoli articoli allarmisti scritti sui quotidiani di mezzo mondo. Un’idea così apparentemente utile, sulla carta… Prendi una certa quantità di mezzi di trasporto muscolare, quindi abbinagli una serie di dispositivi: un tag NFC, un ricevitore GPS, un chip per la connessione Bluetooth collegato ad una semplice serratura. Affinché chiunque ne abbia il desiderio, possa sbloccare il veicolo ed usarlo per tutto il tempo desiderato, quindi parcheggiarlo in modo (idealmente) responsabile senza l’impiego di alcun parcheggio specifico determinato. E chiuderlo di nuovo, per il prossimo aspirante utilizzatore. Meno inquinamento, maggiore forma fisica, un’occasione di dimostrare la propria coscienza civica e civile. Eppure, niente di tutto questo funziona REALMENTE. Ecco qui una manifestazione chiara di come funziona, veramente, l’odierna società superficiale delle immagini e per questo, l’immaginazione: giovane compagnia irrompe sul mercato con un’idea nuova. È splendida, brillante, non potrà che funzionare. Vecchi uomini e barbuti funzionari, con più soldi che cervello, investono copiose quantità di soldi come partecipazioni finanziari, più che mai sicuri che il successo, in breve tempo, arriverà. Il risultato è che i primi, per soddisfare i secondi, iniziano letteralmente ad inondare i propri spazi operativi di quello strumento che dovrà permettergli di dare un senso all’esistenza. In questo caso, decine di migliaia, centinaia addirittura, di veicoli pronti a trasformare totalmente le aspettative della gente su cosa, davvero, significhi spostarsi facilmente in giro per la città. Ma poiché siamo in Cina, qui, nessuno può fare qualcosa di redditizio senza che altri, nel giro di poche settimane, cerchino di intrappolare lo stesso fulmine nella bottiglia e fargli lo sgambetto, se possibile, verso la vetta di un segmento di mercato innovativo. Così che il moltiplicarsi delle biciclette, in breve tempo, prese a farsi esponenziale…
futuro
Helsinki 2, la città tenuta nascosta dalla luce del sole
Il frastuono dei macchinari mantiene sveglia la gente nel corso del pomeriggio, estendendosi verso le prime ore del crepuscolo autunnale; dozzine di operai, armati di macchine complesse, intenti nel costruire un robusto telaio. Colonne, traversine, piattaforme assieme a ciò che dovrà diventare, entro un paio di settimane, un grattacielo da circa 70 metri nel nuovo centro finanziario di Keski-Pasila: lo strappo alla regola, lungamente imposta, di mantenersi al di sotto di una certa elevazione architettonica, onde preservare il profilo di un’antica città. Ma proprio mentre il gigante continua a crescere, nel contempo, oltre la membrana speculare dell’asfalto cittadino, radici s’insinuano verso il profondo del piedistallo pietroso ove poggiano le sue stesse fondamenta. Una rete di tunnel, antichi saloni, costrutti dal soffitto a volta capaci di rivaleggiare le antiche sale mitologiche dei nani. Alcuni dicono che ad Helsinki, capitale della Finlandia, si ami costruire sotto terra per una mera questione climatica, viste le minime annuali che possono anche aggirarsi tra i -25 e i -35 gradi Celsius; per altri, invece, la ragione è da ricercarsi nel grande bombardamento subito verso la fine della seconda guerra mondiale, quando la Russia, stanca di subire i raid notturni degli aerei tedeschi che avevano qui la loro base, ordinò che nulla restasse in piedi per i vecchi rivali della costosa guerra d’inverno del 1939-40. Ed è certamente un fatto che in questo paese, forse l’unico al mondo, esiste una norma per cui gli appartamenti al di sopra di un certo numero di abitanti prevedano un rifugio interrato capace di ospitarli tutti, affinché le stragi di un tempo non abbiano modo di verificarsi ancora. È ad ogni modo chiaro che a partire dal concilio cittadino del 2010, con l’approvazione dell’UMP (Underground Master Plan) le cose siano cambiate in maniera significativa, fornendo un obiettivo comune all’intera città da perseguire attraverso i lunghi anni a venire. Con i primi risultati che iniziano ad essere apprezzati oggi, tramite alcuni reportage validi a dimostrare il calibro dei risultati fin qui raggiunti. “Una piscina, un campo da hockey, una chiesa. Un data center…” Elenca l’inviata di ABC News Australia, mentre procede verso il punto di fuga prospettico di lunghi e squadrati tunnel, tanto ben illuminati tanto propensi a dissolversi verso le prime propaggini dell’oscurità. “Ma se ci pensate, la vera ragione di tutto questo apparirà estremamente chiara: Guardate queste scaffalature: sono dei letti a castello. L’intero complesso può essere trasformato in un rifugio nel giro di poche ore. Capace di ospitare facilmente le circa 6.000 persone che compongono l’intera popolazione urbana.”
Il cittadino medio di Helsinki conosce fin troppo bene questo “segreto” avendo visto i plotoni militari intenti, nelle ore del proprio addestramento, a scendere presso i punti d’accesso del dedalo, per poi percorrerlo in maniera ordinata. Più di un turista, indotto dalla curiosità a visitare il resort sotterraneo, è rimasto colpito udendo il rumore ritmico dei loro stivali, accompagnato dagli ordini secchi dei sergenti durante la simulazione di varie tipologie d’emergenze. Prima fra tutte, quella particolarmente temuta di un eventuale attacco nucleare, possibilità sempre presente quando si confina con un paese che devolve un’alta percentuale del proprio budget bellico al mantenimento di un arsenale di missili, con testate al plutonio, risalenti a parecchie decadi fa. Lungi dal costituire una mera risorsa del tipo che “speriamo non serva mai” il complesso sotterraneo di Helsinki è anche la sede di numerose importanti infrastrutture cittadine, tra cui le condotte del gas per l’impianto di riscaldamento centralizzato, accessi alternativi alle stazioni della metropolitana (di cui sono presenti, paradossalmente, appena due linee) e i piani sepolti degli uffici pubblici, sedi d’archivio e magazzini deputati a contenere le risorse energetiche della rete cittadina. Primo fra tutti, il colossale silo interrato della centrale di Hanasaari, l’unico impianto a carbone automatizzato del mondo. Presso cui delle potenti macchine costruite ad-hoc estraggono verso la superficie, portandolo direttamente nelle fornaci, il carburante nerastro in quantità sufficiente per produrre i circa 220 MW di energia e 420 di calore necessari a mantenere funzionale la città eternamente presa nella morsa del grande freddo. Ma dotata, questo si, di alcune specifiche qualità nascoste…
Il suono di un sasso che cade nel cuore della montagna
Quindi una volta ultimati i lavori per la costruzione del buco, tutto quello che rimaneva da fare era metterlo alla prova. Un po’ come fece Peregrino Tuc nelle miniere di Moria, quando lo stregone Gandalf, imprecando contro la sua stoltezza nel far precipitare una pietra, si ritrovò d’un tratto a dover gestire un’onda di 10.000 orchetti e persino la frusta di fiamme di un angelo passato alle schiere del male. Ma non c’è un Balrog, nelle profondità della Carinzia e all’interno dei terreni del Kraftwerksgruppe Fragant. Soltanto qualche dozzina di vecchi coboldi malefici e gobbuti, tranquillamente in attesa di divorare un minatore austriaco o turista dall’itinerario particolarmente imprudente. Non che alcunché di questo, d’altra parte, presenti una particolare rilevanza nel caso di questo Agente del fato, che tra le incitazioni generali e come in un solenne rito collettivo, prende una roccia e la scaglia nel buco verso destinazioni ignote. A noi che guardiamo, di certo, ma non a coloro che si trovano lì. Che un simile spazio l’hanno accudito, curato e visto crescere, fino all’attuale stato di circa tre metri di diametro, 457 di profondità. È impossibile non pensare, dunque, al capo cantiere che blocco note alla mano, contando attentamente i secondi, scrive i valori possibili dell’energia generata: 9,573 secondi caduta, per una velocità terminale attraverso l’aria (densità 1.225 Kg per metro cubico) di almeno 60 metri al secondo, presumendo una pietra dalla forma oblunga costituita da materiale granitico o simile. Per un totale, in fin dei conti, di circa 4300 Joules, ovvero 1,194 watt/ora. “Perfetto!” Ecco un possibile piano: la prima centrale elettrica a massi cadenti: “Basterà mettere qui uno scivolo e far venire continuamente dei camion carichi di pietra!” potrebbe esclamare qualcuno. Se non ci fosse un qualcosa di molto, MOLTO più pratico da utilizzare. E quella cosa, noialtri esseri umani, lo beviamo praticamente ogni giorno. Fatta eccezione per chi preferisce birra, vino, cola o sangue di fanciulla vergine transilvana.
Il lago Feldsee, che molti chiamano Brennsee per non confonderlo con l’omonimo bacino idrico tedesco della Foresta Nera, non ha origini, né un aspetto particolarmente naturale. Esso è in larga parte una creazione dell’uomo finalizzata ad uno scopo ben preciso: generare energia elettrica sfruttando la forza di gravità e l’acqua. I più attenti tra gli osservatori, tuttavia, scrutando verso il suo indirizzo non potranno fare a meno di notare l’assenza di tutti gli elementi cardine di un simile tipo d’installazione: non c’è diga, niente cascata, neppure l’ombra di un deposito delle turbine. Eppure, più a valle, è presente comunque una vasta piscina di raccolta dei fluidi, dalla forma grosso modo rettangolare ed il nome altamente programmatico di Wurtenspeicher. Saremmo di fronte quindi, ad un vero mistero. Se non fosse per il video qua sopra riportato! Che si svolge, per l’appunto, sul fondo del lago! Prima che esso tornasse nuovamente sommerso come il regno del dio Nettuno. È una storia di cofferdam, ed altri apparati temporanei per deviare forzosamente l’apporto degli affluenti montani, al fine per l’appunto di scavare uno (stretto) buco. Mentre i propri colleghi, più a valle, curano la costruzione di una galleria orizzontale. Affinché le aperture s’incontrino, creando un utile spazio vuoto. Ecco, dunque il segnale: sarà soltanto allora che, collegandola nel cantiere sovrastante alla trivella proveniente dall’alto, fu portata in scena una particolare macchina di trivellazione, conforme al concetto metallurgico di un alesatore (in terminologia internazionale: reaming drill). Che poi sarebbe una larga testa, in grado di macinare la pietra e farla cadere sul fondo, mentre risale con forza inarrestabile attraverso il pertugio che la porterà, senza falla, a riveder le stelle.
Perché soffrire il traffico, quando si può prendere il dronone?
L’effettiva triangolazione possibile del volo prevede che, nel preciso momento in cui si desideri sollevarsi da terra, il profilo del velivolo selezionato si presenti aerodinamico, elegante, per certi versi addirittura svelto. Tutto ciò in un’ottica orientata all’elaborazione di un sistema che risulti, al tempo stesso, istintivo e potenzialmente”sicuro”. Per un prezzo che difficilmente scende sotto i 100.000 o più. E poi ci sono gli elicotteri. Meccanismi che potremmo definire diabolici nella loro instabilità inerente, ovvero la difficoltà nel compiere manovre elementari e il rischio a cui va incontro, chiunque osi mettersi alla barra di comando, senza un’adeguata carriera di studio alle spalle. “Cercasi totale novellino, con esperienza” è il testo tristemente tipico di un certo tipo di annuncio di lavoro, molto diffuso in quest’epoca dei sogni di carriera infranti. Ma volare non è sempre, o necessariamente, un compito gravoso di per se. Bensì un hobby. Un divertimento. L’occasione spesse volte ripetuta di una vita. Perché mai, dunque, ancora non esistono approcci facili e che siano effettivamente alla portata di chicchessia? La risposta è che una soluzione esiste, senza alcuna ombra di dubbio, ed ha trovato vasta diffusione negli ultimi anni, soprattutto grazie all’opera di aspiranti registi e creatori d’intrattenimento. Ciò a cui mi riferisco, va da se, è il drone. Un oggetto telecomandato nel cui campo nessuno ha mai pensato di evocare il termine “aeromodellismo”, per il semplice fatto che nessuno ha mai pensato di sovradimensionare la tecnologia, al fine di trovargli un metodo d’applicazione sulla scala di utilizzo umana. Fino… Ad ora?
Mi alzo una mattina in California, felice essermi trovato assunto in un’azienda dell’odierna cornucopia del commercio digitale. Ma ahimé, vivo anche un dramma personale che ha cadenza pressoché quotidiana: come compiere il tragitto tra la casa e l’ufficio? Poiché l’area che si trova tra il sobborgo San Jose e la vasta metropoli di San Francisco, come è noto, vanta prezzi immobiliari che da decadi sfiorano l’eccelso ovvero l’ossessivo. E le arterie stradali usate per collegare i tre punti, per quanto vaste e ben tenute, nelle ore di punta si trasformano in dei veri fiumi di metallo, che risplendono insistentemente sotto l’astro solare. Perciò trenta, quaranta chilometri di trasferta giornaliera a passo di muflone, non costituiscono esattamente il modo migliore d’iniziare la giornata. E spostarsi col trasporto pubblico, nei moderni Stai Uniti, è una prospettiva quanto meno desolante. Alternative… Dunque, beh! Qualcosa c’è. O per meglio dire sarà presto disponibile, grazie all’opera di una realtà aziendale che opera, neanche a dirlo, proprio in questo centro di privilegiati alla ricerca di fortune ancor più vaste. Il suo nome è mosca nera (blackfly) il che pare un curioso binomio, quando si considera che tutte le mosche sono nere, fatto salvo per quelle che specificano l’innato candore, spesso dei vettori metaforici di un’individuo, o un concetto fuori dal comune. Un appellativo che sembra gridare al modo “Siamo del tutto normali” dunque, tuttavia attribuito ad un qualcosa che minaccia di scuotere le stesse fondamenta del concetto di trasporto personale. Quanto una simile minaccia sia fondata, in effetti, soltanto il tempo potrà dircelo, però è indubbio che il concetto in se presenti dei validi spunti d’analisi, configurati su un’antico sogno dell’epoca industriale: l’automobile volante. A proporla, questa volta, ci pensa Opener Aero, nella persona di Marcus Leng, canuto e fascinoso imprenditore che sembra aver deciso di lasciare il segno, a patto di fallire nel suo clamoroso tentativo di riuscirci. Ma chi dovesse pensare che questa sia soltanto l’ennesima start-up fondata su aria fritta, rendering tridimensionali e le aspettative sopra le righe della gente, potrebbe immediatamente cambiare idea, una volta saputo chi ha fornito in questi anni la pecunia necessaria a giungere fino alla fase di prototipo: niente meno che Larry Page, co-fondatore di Google assieme all’amico di vecchia data e collega Sergey Brin. E va da se che non si arriva facilmente a un capitale personale stimato di 53 miliardi di dollari, ponendosi a supporto di idee sciocche o prive una loro effettiva utilità. O in altri termini, potremmo dire che una volta che qualcuno si guadagna il supporto dei moderni imperatori finanziari, difficilmente il suo pensiero mancherà di creare anelli nell’incorporeo lago della tecnologia applicata, cambiando sostanzialmente le regole di ciò che sia lecito aspettarsi, o ragionevole pensare di acquistare.
Così all’ora della giornaliera trasferta, finisco di lavarmi i denti dopo aver fatto colazione; esco nel vialetto tipico della villetta a schiera americana. E con breve pressione del telecomando, apro il portellone del garage. Al suo interno, c’è una sorta di motoscafo oblungo, con strutture sporgenti a doppia T davanti, e dietro. Con un lieve sorriso di circostanza, salgo a bordo. Con un ronzio insistente, mi sollevo da terra, procedo lungo l’asse diagonale e in breve tempo sono in rotta, verso il tetto dell’ufficio o centro commerciale presso cui, trionfalmente, lavoro.