Tutti volevano vedere la lumaca-coniglio di mare

Hare Nudibranch

Ambigua è la natura, seminata d’innumerevoli presupposti di fraintendimento. Quando poi a questo va ad aggiungersi, come inevitabilmente accade, l’innata tendenza dell’uomo a generalizzare, nascono strane commistioni di concetti, precedentemente totalmente alieni tra di loro. Una lepre, un coniglio, il mangiatore di carote.  Animale quadrupede che vive nei pascoli, nelle foreste, nei deserti ed in palude. Le sue lunghe orecchie non mentono all’evidenza: tale bestia vive sempre sull’attenti. È rapida ma vulnerabile, come qualsiasi preda degna di occupare un luogo scomodo della catena alimentare. Mentre la Jorunna parva, buffo gastropode che vive in buona parte dell’Oceano Indiano, dalle Filippine al Giappone, è una vera regina del suo ambiente, divoratrice di ogni cosa piccola che strisci sul fondale, da lei raschiato grazie all’uso di una radula, il nastro chitinoso ricoperto di dentelli. La quale inquietante abitudine non gli ha impedito, ad ogni modo, di acquisire sulle onde del Twitter dell’Estremo Oriente una presa alquanto significativa, tale da portare la sua immagine all’acquisizione di epocali proporzioni. “È…È…TROPPO kawaii” (carina) Semplicemente: “La cosa più ADORABILE del mondo.” Si tratta di un’iperbole? Giudicate voi. È indubbio che la forma tondeggiante di questa lumaca totalmente senza guscio, ricoperta di pelucci candidi a pois neri, sia già sufficiente a creare un aspetto estetico degno di nota. Quando a questo si aggiungono, incredibilmente, quelli che parrebbero a tutti gli effetti due svettanti padiglioni auricolari neri, si chiarisce l’origine della metafora d’apertura. Ma già l’animale si è voltato nel suo vagheggiare, quando le cose iniziano a farsi davvero comiche: sulla parte posteriore spicca infatti un vistoso ponpon a fiorellino, con petali disposti in modo grossomodo circolare. Diciamo pure, senza entrare troppo nei dettagli, che se il classico coniglio dalla coda di cotone (genere Sylvilagus) si fosse evoluto per vivere sott’acqua, un simile ornamento avrebbe preso facilmente il posto dell’eponima appendice vaporosa.
Esiste una tradizionale illusione ottica, attestata per la prima volta in un numero del 1892 della rivista umoristica tedesca Fliegende Blätter (Foglie Volanti) in cui un’illustrazione ambigua viene usata per porre la fondamentale domanda: “È un coniglio o un’anatra?” Ad accompagnare il testo, l’illustrazione oggetto del quesito: un globo grossomodo circolare guarnito da un occhio e sostenuto da quello che parrebbe essere a tutti gli effetti un collo, con due propaggini da un lato con la forma di uno stecco da cremino. L’osservatore, così richiamato a decidere, potrebbe almeno teoricamente interpretarle nel duplice modo di un paio d’orecchie oppure il becco di un uccello, modificando in alternanza nella sua immaginazione anche il resto di quell’ipotetica creatura. Si tratta di un paradosso interessante, basato su un’applicazione altamente specifica di quel processo che comunemente da luogo alla pareidolia, ovvero la tendenza a riconoscere dei volti dove in effetti non ci sono. La mente umana, come è noto, tende a riempire i vuoti e collegare i punti di sua innata iniziativa. E può così succedere che una forma geometrica soltanto vagamente somigliante a un animale, talmente approssimativa che non si capisce neanche quale, può dare luogo a innumerevoli disquisizioni.
Il che trova applicazione, in modo totalmente inaspettato, anche nella classificazione di questa creatura estremamente inusuale. La Jorunna Parva appartiene al genere dei Doridoidea, dal nome della ninfa Doride, figlia dei titani Oceano e Teti, e fa parte del gruppo non filetico degli opistobranchia, ovvero un certo tipo di gastropodi (lumache, per l’appunto di mare) le cui branchie non sono soltanto esposte e ben visibili, ma site in posizione arretrata rispetto al resto dell’organismo, ben lontano dalla bocca e gli organi di senso. Se non fosse ancora chiaro, stiamo nei fatti parlando dell’organo che costituirebbe la coda della lepre, in realtà usata dalla creatura per filtrare l’acqua e respirare. Mentre per quanto concerne le altre due escrescenze a vista, la definizione di apparente sede della percezione uditiva non era poi così lontana dalla verità. Si tratta, in effetti, di una coppia di rinofori, ovvero le caratteristiche appendici sensoriali usate dalle lumache per tastare il suolo e sondare la composizione chimica dell’acqua. Gli occhi di queste creature marine, in effetti, sono in genere estremamente semplici di dimensioni ridotte, risultando in grado di distinguere soltanto tra la luce e l’ombra. Il che potrebbe essere considerato un notevole svantaggio evolutivo, visto che vivono sui fondali di soltanto 1-6 metri di profondità. Mentre probabilmente sono proprio le sue ridotte dimensioni (2-3 cm complessivi) a permettergli di sfuggire ai predatori.

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Lo strano fascino del polpo a ombrello

Octopus Adorabilis

È una vecchia regola non scritta del mondo della scienza il fatto che chiunque descriva per primo/a, in una sua pubblicazione, le caratteristiche di una specie animale o vegetale, riceva l’indubbio onore di scegliere il suo appellativo. Così abbiamo, fin dall’inizio dall’epoca delle prime sperimentazioni, curiose creature con il nome proprio di persone (quale miglior modo di aspirare all’immortalità?) Piuttosto che lievi variazioni lessicali dei termini precedentemente usati per i parenti biologici più prossimi, perché non tutti hanno una grande fantasia, né voglia di mettersi in mostra per il proprio gusto personale. Ma l’approccio più accattivante usato per denominare una creatura, indubbiamente, resta quello che consiste nel cristallizzare l’emozione provata nel momento in cui l’esponente della comunità scientifica se l’è trovata innanzi per la prima volta: così nascono binomi quali “il geco diabolico”, “la scimmia ragno” oppure “la farfalla illusoria” che generalmente riescono a colpire subito la fantasia dell’uomo della strada. E forse proprio a margine di tale considerazione, tanto maggiormente rilevante in quest’epoca di comunicazioni digitali, la scienziata Stephanie Bush, ha deciso di associare la sua occupazione principale di ricerca in questi ultimi mesi a un concetto talmente semplice e diretto che, in effetti, a molti sarebbe sembrato buffo nella sua spontaneità. Così giunge, per la prima volta sotto i nostri occhi, la forma fluttuante dell’Opisthoteuthis Adorabilis, leggera variazione di una vecchia conoscenza di molti pescatori della California, che spesso di simili polipetti a ombrello ne trovavano qualcuno casualmente nelle reti. “Non è adorabile?” Scherza lei, tra un segmento e l’altro del video, mentre mostra l’esemplare sezionato sotto formalina. Si, davvero l’opera dello scienziato si perpetra tramite sentieri differenti. E ciò che per qualcuno appare degno di un’occhiata o poco più, all’interno dei laboratori può essere mostrato al mondo in luce nuova.
Stiamo parlando, per intenderci, di un vicino parente del cosiddetto flapjack devilfish, una creatura della foce del Columbia River talmente bizzarra, nonché invendibile per scopi alimentari nella sua piccolezza (misura circa 20 cm) che colloquialmente era stata sempre associata all’arbitraria categoria dei cosiddetti “pesci del diavolo” concettualmente associata a certe specie di razze, polpi, rane pescatrici e addirittura la balena grigia dai fanoni, astuta filtratrice di Km di plankton galleggiante. Non chiedetemi perché! Mentre la dicitura flapjack proveninva, nel suo caso, da un termine gergale usato per riferirsi al semplicissimo pancake, il dolce statunitense simile a una crepe che tante volte abbiamo visto nelle sit-com degli anni ’90, accompagnato da una generosa dose di sciroppo d’acero d’importazione canadese. Questo perché la delicata creaturina in questione, una volta trascinata a forza via dal fondale, generalmente giungeva in superficie già defunta, spianata come una frittella, striata dai segni della rete e con gli occhi sporgenti, simili ad antenne degli alieni dei pulp magazine. Soltanto in tempi recenti, con il miglioramento e la diffusione delle tecniche legate all’immersione individuale, assieme al fortunato caso di esponenti del Genere che si spingessero in relativa prossimità della riva continentale dai 300 e passa metri sotto la superficie del loro habitat naturale, sono iniziati degli avvistamenti che ci hanno fatto conoscere il vero, grazioso aspetto di queste creature. Così, in modo graduale, hanno iniziato a sovrapporsi i soprannomi: dal polpo di Pac-Man, per la sua vaga somiglianza con i fantasmini del gioco in questione, a “Dumbo” visto l’aspetto delle sue due vistose pinne sopra il pallio (corpo principale) collocate giusto dietro agli occhi, così apparentemente simili ad orecchie da cartone animato. Che per di più, durante gli spostamenti, vengono agitate dall’animale, per bilanciarsi e dirigere la spinta offerta dalla sua membrana principale, in un moto non dissimile da quello di una medusa, con due piccole bandiere sulla testa. Adorabilis, nevvero?

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Un verme velenoso espelle l’appendice aliena

Nemertea

Gli anelli sono fuori, i bracciali, i polsini ricamati, i tatuaggi fatti con l’henné. Che noia, le unghie finte colorate, i mezzi guanti col ricamo di un pupazzo oppure l’astro del mattino…. E non parliamo di Apple Watch! La migliore decorazione per la mano umana, almeno agli occhi di chi ha doti di discernimento: un verme rosso lungo quindici centimetri, la testa gonfia, il corpo piatto ma bitorzoluto. Le migliaia di minuscole ciglia che si agitano sopra l’epidermide, spingendolo a spostarsi sopra un velo di sottile muco appicciccoso. Proprio così. Avvicinati mia cara, che ho un regalo qui, per te. È un piccolo rappresentante del phylum Nemerteail cui appellativo proviene dalla ninfa omonima del mare, figlia di Doris e del principe del Ponto. Quale grazia che ha nel suo strisciare! Che profumo deliziosamente marcescente… E questo non è tutto: il meglio ha ancora da venire. Già la molle mano si alza di sua propria volontà, quasi a porgerti un tal frutto della pesca particolarmente fortunata. Non far caso al modo a cui si gonfiano la bocca e l’ano, scuri estremità agli antipodi dell’animale. Piuttosto aspetta con pazienza che si calmi per un attimo, quindi appoggia delicatamente un dito sulla sua magnifica eminenza. Lo senti, com’è liscio? Questo è veramente il re dei vermi. Pensa che sott’acqua, non necessita di branchie ma respira già dalla sua pelle, che assorbe pure il plankton di passaggio. Semplicemente esiste, mentre filtra l’acqua e vegeta i momenti del suo tempo. Tranne quando ha voglia di un boccone sostanzioso! Ecco, ci siamo. È venuto il suo momento. Si è arrabbiato, non riesce a contenersi…Il verme vibra con veemenza veramente virulenta. Sei pronta allo spettacolo? Ssss-PLAT.
Indurre l’inversione dell’organo proboscidale, detto rincocele, di un verme appartenente a simili genìe non è davvero complicato. Si tratta dopo tutto di una reazione automatica dei quattro gangli nervosi posti a coronamento della bocca, ciò che passa per cervello in questo lato della classificazione tipologica di ogni essere che striscia, si agita o nuota fra le onde. Forse maggiormente nota è la reazione simile dei cosiddetti cetrioli di mare (Holothuroidea) lumache dei fondali che, nell’attimo in cui si sentono minacciate espellono improvvisamente l’intestino, i polmoni e la gonade riproduttiva, affinché l’eventuale predatore se ne nutra, mentre loro fuggono lontane. Per poi rigenerare quasi subito tali importanti componenti, verso nuovi limiti e diversi presupposti d’avventura. Comoda, la vita degli organismi semplici, nevvero? Ma il Nemertea, anche detto verme a nastro, è differente. Innanzi tutto, perché è esso stesso, un predatore. Ed è infatti solito nutrirsi, in aggiunta alla sua dieta di micro-organismi, di altri anellidi o Polychaeta, magari piccoli granchietti di passaggio. Una qualunque, insomma, delle variopinte e diversificate forme di vita che percorrono il fondale di ogni regione terrestre, gradualmente digerite nel suo piccolo ma efficiente sistema di stomaco e intestini, posti proprio dietro il rincocele. Che costituisce, per così dire, il massimo segreto del suo successo: basti guardare, come riferimento, il video misterioso che sta spopolando in questi giorni sui diversi blog e board generaliste, in cui una creatura misteriosa, appoggiata sulla mano di una ancor più ignoto individuo (dove ci troviamo? Qual’è la sua nazionalità?) Dimostra spontaneamente il suo metodo di caccia preferito. E sembra un mostro proveniente da galassie inusitate, per il modo in cui d’un tratto si raddoppia d’estensione, lasciando fuoriuscire le diverse ramificazioni di questa orrenda lingua biancastra, affine al propagarsi di una figura di Lichtenberg attraverso un solido trasparente, il metodo ufficiale per intrappolare una corrente elettrica a vantaggio degli spettatori. Almeno potenzialmente, quasi altrettanto dolorosa.

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Migrazioni marine: la piramide dei granchi e lo sciame pinnuto d’argento

A pyramid of crabs

La vita del subacqueo è piena di sorprese. Un giorno esci di casa, come tuo solito, con le due bombole già saldamente assicurate sulla schiena, raggiungi la spiaggia e poi ti tuffi, lasciando che l’inerzia faccia il resto del lavoro. Veicoli, imbarcazioni, presupposti e circostanze; tutto quanto può contribuire alla creazione di un sentiero ben direzionato, verso la scura essenza del fondale. Ove il mare si concentra, raggiunge i limiti del suo profondo senso di mistero. E tutto può stupirti, se lo vuoi. Pinktank di Melbourne, per gli amici PT, è l’autrice fortunata di queste riprese che stanno facendo il giro dell’ambiente internettiano, in cui si osserva un fenomeno tutt’altro che raro per le specie appartenenti alla tipologia arbitrariamente definita del “Granchio ragno” almeno stando ad una vasta serie di studi scientifici liberamente disponibili online, ma che di certo raramente viene offerta all’occhio degli spettatori umani, ed ancor più nella totale assenza di un commento, tranne quello musicale. Talvolta ci si sveglia la mattina con la voglia di capire; perché gli uccelli migrano, i vulcani espletano la loro furia la ragione e il peso delle nubi. Altre volte, tutto quello che ti serve è un occhi per spaziare, vivere il fenomeno e lasciarsi trasportare dagli eventi che si affollano nel tentativo di attirare l’attenzione. Casi di uccelli/insetti/cani/gatti/topi ben distinti tra di loro, o come in questo caso, un unico flusso indistinguibile, di dozzine sopra le altre, oppure addirittura centinaia d’individui, in grado di formare l’entità transitoria di un vera e propria struttura architettonica, così curiosamente affine al torreggiante mausoleo faraonico di antiche civiltà. E per chi afferma che nulla potrebbe essere piramidale, senza l’intervento di creature interdimensionali o l’influenza degli alieni, ecco la prova certa che simili forme verticali sono un frutto imprescindibile di ciò che è vivo e cerca la sua strada di realizzazione, il metodo sicuro di lasciare un segno proiettato verso il domani, pur se gravido di presupposti di trasformazione.
Siamo per l’appunto a Port Phillip presso il molo di Rye, nello stato dell’Australia del Sud di Victoria. L’esperienza dev’esser stata straordinaria: poter assistere al primo atto della migrazione annuale degli appartenenti alla superfamiglia dei Majidae, granchi decapodi con il carapace più lungo che largo, oltre alle lunghe zampe che gli permettono di camminare verso avanti e li vedono associati, per somiglianza estetica, all’amichevole aracnide del vicinato. Architetto, lui si, di una tela che sott’acqua non avrebbe un senso. Il granchio ragno comune non è più largo di 10 cm, benché la prospettiva del video possa trarre in inganno.  E benché non ci sia un modo per tendere una trappola in tela tra le molecole di H2O, ciò non significa che sussista vita facile, per chi batte il fondale in cerca di cibarie zampettanti o zigzaganti, il dorso bitorzoluto ed aculeato così  esposto ai predatori di passaggio. Dunque la via salvifica di simili semplici spazzini è tale, da lasciar basito chi vi assiste: l’aggregazione dei corposi numeri, la costituzione di una folla d’individui, solida e inarrestabile, dinnanzi cui persino l’uomo può trovarsi scosso dalle circostanze, privo di parole o considerazioni. Allora, tutto è pronto. La memoria evolutiva della specie, ancora questa volta, ha istituito l’ordine militaresco delle schiere. Però prima di partire verso acque dalla composizione salina e la temperatura maggiormente vantaggiosa visto l’incipiente sopraggiungere dell’inverno (qui siamo nell’emisfero sud, baby) come attentamente determinato da esperienze precedenti, viene il giorno ed il momento dell’accoppiamento. Un brulicante formicolìo di bestioline sovrapposte per la spinta del più basilare desiderio, tese a scambiare il proprio patrimonio genetico senza distinzioni tra la casta, il ruolo e l’imponenza. Laddove normalmente, nei rituali dell’accoppiamento tra simili creature, conta soprattutto la regola del più forte, in simili attimi di gloria tutti/e vanno bene per tutte/i. Basta che batta le chele.

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