Il complesso ecclesiastico costruito con 32 cupole di legno e neppure l’ombra di un chiodo

Presso il centro del lago Onega nella Repubblica di Karelia, che collega geograficamente il centro della Russia col confine finlandese, sorge un’isola dalla forma stretta ed allungata, la cui parte principale risulta occupata da un vasto prato verde e ben mantenuto. Già osservando tale spazio da oltre la linea dell’orizzonte, tuttavia, una serie di forme particolarmente distintive potrà connotare l’esperienza di una simile località remota: la forma di una gran cipolla con pinnacolo eminente, seguita da 21 altre disposte come una corona dalla pianta stranamente ottagonale. E accanto ad esse, una torre squadrata dotata di tetto a piramide, vagamente simile alla luce di un faro se non fosse per l’ulteriore piccola cipolla sulla cima. E accanto ad essa, un ulteriore edificio cruciforme, anch’esso dotato del suo comparto di ornamenti che puntano decisamente verso il cielo, in un anello fungino in grado di far traslocare gli uomini verso propaggini possibili del regno delle Fate. E sarebbe ragionevolmente perdonabile a tal proposito il turista disinformato, nonché vagamente sacrilego, incline a scambiare i tre edifici come le attrazioni di una sorta di parco a tema, vista la loro impeccabile corrispondenza estetica ai crismi più stereotipati di un’architettura iper-russa, quasi l’estrema sublimazione di tutto ciò che dovesse trovarsi al di là del Caspio e del Mar Nero. Il tutto costruito con finalità specifiche, in effetti, ben lontane dal superfluo e in base a un obiettivo che risale a un’epoca assai remota.
L’arrivo del cristianesimo ortodosso nella terra degli Zar viene generalmente fatto risalire alla conversione e conseguente opera di Vladimiro I di Kiev, principe di Novgorod, che attorno all’anno Mille rifiutò il pantheon delle divinità slave e dei Variaghi (genti scandinave migrate a Oriente) sposando la sorella dell’Imperatore di Costantinopoli Basilio II ed accettando conseguentemente di seguire la sua religione. Una scelta motivata, almeno in parte, dai grandi vantaggi commerciali ed economici derivanti dal nuovo alleato, ma che avrebbe condotto a profondi e radicati cambiamenti nella spiritualità del suo intero popolo, mentre un ampio numero di chiese costruite secondo le nuove esigenze si sostituiva gradualmente agli antichi templi e luoghi di culto nell’intero territorio della Repubblica. Detto questo non si hanno moltissime notizie dell’aspetto dell’isola di Kizhi prima di un’epoca corrispondente grosso modo al medio Rinascimento, sebbene si ritenga che un tale sito, non troppo distante da un grande numero d’insediamenti rurali e terreni fertili, fosse stato un luogo dal significato simbolico impiegato anche precedentemente allo stesso scopo. La prima notazione in merito all’esistenza di chiese può essere per questo fatta risalire al XVI secolo, poco prima che questa intera e difendibile terra emersa diventasse una fortezza de-facto dove stazionare le armate contro i tentativi d’invasione delle nazioni svedese e polacca. Per tornare nuovamente alla ribalta come meta dei pellegrinaggi e polo attivo di venerazione durante il corso del XVIII secolo, causa l’industrializzazione della Karelia e l’avvenuta concentrazione attorno al lago di un certo numero d’impianti minerari ed opifici per la processazione dei metalli, almeno finché attorno al cambio di secolo, l’abbattersi di un fulmine causò un’incendio in grado di raderle al suolo, senza che nessuno fosse in grado di riuscire a ricostruirle. Fu perciò durante il regno dello Zar Pietro il Grande (1682-1725) che gli abitanti locali, ribellandosi alle condizioni gravose con cui venivano sfruttati dalla classe dirigente, si ribellarono più volte, portando a dure repressioni e conseguenti scioperi della forza lavoro.
Il che ci porta senza ulteriori divagazioni all’attuale aspetto di quello che oggi viene definito il Kizhi Pogost (complesso di K.) dal nome tradizionale del piccolo gruppo d’edifici, tradizionalmente recintato, che fin da tempo immemore trovava posto presso il centro dei villaggi cristianizzati, agendo non soltanto come luogo di venerazione ma anche casa d’accoglienza per viaggiatori, punto di ritrovo per gli abitanti e luogo d’istruzione per il popolo ineducato. Il tutto, naturalmente e come avrete già avuto modo di apprezzare, traferito nella proporzione letteralmente spropositata espressa nella chiesa della Trasfigurazione alta 32 metri, quella dell’Intercessione da 26 e il campanile architettonicamente più semplice di ulteriori 30 metri. Il tutto circondato da un persistente e vago alone di mistero, relativo a chi esattamente, con che risorse e quali metodi sia stato in grado di edificare una delle più incredibili meraviglie in legno dell’intera storia dell’uomo…

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Breve animazione illustra la scienza degli assedi agli albori dell’epoca moderna

Corsi e ricorsi, attraverso le arzigogolate anse del fiume ruggente, per conflitti, aspre battaglie e sanguinosi scontri tra le armate civiltà contrapposte. Così attraverso le diverse fasi dell’evoluzione bellica, vi furono momenti in cui l’attacco, fu senz’altro la miglior difesa; in mezzo ai quali, col procedere dei giorni, fu invece la difesa, a trasformarsi nel miglior sentiero verso una felice risoluzione finale. Come in una corsa agli armamenti evolutivi, in cui il serpente diventa progressivamente più velenoso una generazione dopo l’altra, in risposta all’immunità crescente della mangusta, fino all’ottenimento della terribile miscela del mamba nero. Eppur non abbastanza orribile, se confrontata con quella creata dall’uomo: carbone di legno, nitrato di potassio, zolfo. La Nera polvere, sostanza creata per esplodere a comando, risolvendo i nodi più stringenti del conflitto. Ma ci vollero ancora un paio di secoli, perché l’innovazione giunta in territorio europeo verso l’inizio del XV secolo raggiungesse le sue più significative conseguenze. Ovvero quando, grazie alle innovazioni introdotte in campo metallurgico, ingegneristico e logistico, ogni singolo castello costruito fino a quel momento diventasse essenzialmente obsoleto.
Il primo a rendersi conto del mutamento in atto, a tal fondamentale proposito, fu l’artista ed uomo universale del Rinascimento Italiano Leon Battista Alberti (1404-1472) che nel 1485 stampò a Firenze il trattato in latino De re aedificatoria con prefazione di Lorenzo il Magnifico in persona, in cui affrontava il tema della storia e le attuali correnti architettoniche della sua Era. Dedicando un’intero capitolo all’argomento delle fortificazioni militari, giungendo alla conclusione che in futuro esse avrebbero dovuto essere costruite “Lungo linee irregolari, come quelle dei denti di una sega.” Il problema dei bastioni medievali, come concetto immutabile nel tempo, era che essi avevano l’unica qualità dell’altezza, non risultando particolarmente spesse, stabili o resistenti. Questo perché a patto che potessero deviare il colpo di una catapulta, tutto ciò a cui avrebbero dovuto resistere erano i tentativi di scalata del nemico, mediante l’impiego dei sistemi di difesa così detta “piombante”: sassi, laterizi e pentole d’olio bollente. Tanto efficaci contro la fanteria armata di scale o torri d’assedio, quanto inutili contro il bombardamento di un cannone in grado di sparare ininterrottamente per una notte intera. La creazione di una breccia, come narrato anche nell’animazione dell’esperto comunicatore storico di YouTube SandRhoman, diventò un’arte, consistente nel colpire la parte bassa delle fortificazioni ai lati per poi lavorarsi la parte centrale tra due torri, affinché la gravità si occupasse in tempi ragionevolmente brevi del resto. Tutto quello che restava, a quel punto, era marciare come niente fosse oltre le macerie, con raggiungimento estremamente facile dell’obiettivo finale. Con la fine dell’egemonia italiana lasciata in eredità da Lorenzo il Magnifico, e il lungo periodo di guerre che sarebbe scaturito nella penisola italiana per l’intero estendersi del XVI secolo, mentre le diverse potenze europee tentavano di spartirsi questo territorio ricco e diviso, le diverse città stato che avevano consolidato la loro ricchezza durante tutto il corso del Rinascimento fecero il possibile per investire in un approccio difensivo che potesse tornare resistente contro gli sforzi di un inevitabile assalitore nemico. Risalgono quindi a una tale turbolenta fase della storia peninsulare, i trattati scritti in materia dai celebri fratelli Sangallo (Giuliano e Antonio) iniziatori della cosiddetta fortificazione all’italiana o moderna, in cui ogni aspetto dello sforzo difensivo venne approfonditamente sottoposto ad un’analisi spassionata, raggiungendo l’apice della funzionalità contro l’impiego dell’artiglieria contemporanea. Fui tra queste pagine che nacque, in via completa in ogni sua parte e al tempo stesso meramente preliminare, il concetto di quello che sarebbe diventato, entro un paio di generazioni, l’imprendibile fortezza a stella…

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Cercando il grande muro di Alessandro al confine della Russia meridionale

Presso la Kunstkamera di San Pietroburgo, primo museo nella storia del paese più vasto al mondo, è custodito un piatto d’argento proveniente dalla Repubblica del Daghestan, con sopra incise le celebri parole: “Derbent è stata fondata da Alessandro Magno, quindi non c’è niente di più giusto che a governarla sia un altro monarca, non meno grande.” Una dedica concessa dagli amministratori cittadini niente meno che a Pietro I, lo zar che nel 1722, durante la campagna della guerra russo-persiana, soggiornò qui una notte, all’interno della vasta casa che oggi è stata trasformata in un museo. Ma a far da sfondo significativo a quel momento possiamo facilmente individuare, con un occhio di riguardo nei confronti della storia architettonica di un tale luogo, lo svettante complesso fortificato sopra la collina rocciosa che domina il centro abitato di oltre 100.000 abitanti: Naryn-Kala o per i persiani Dagh Bary, due termini significanti, grosso modo, “Fortezza Solare”. Dalle cui mura alte 20 metri e spesse 3 si diramano due barriere, l’una costruito per andare a perdersi nel Mar Caspio, perfettamente visibile dall’alto dei bastioni e l’altra lungo ben 40 Km, fino alle propaggini più inaccessibili dei monti del Caucaso, fortezza naturale in grado di arrestare qualsiasi armata. Poiché si è soliti affermare che i migliori governanti costruiscano dei ponti e non muri, ma è proprio per questo che occorre possedere una personalità estremamente carismatica, e un tenore quasi leggendario, per restare onorato attraverso i secoli dopo aver lasciato in eredità un’invalicabile barriera.
Siamo abituati a considerare il Medio Oriente come il campo di battaglia tra diverse religioni, ma la realtà è che c’è stato un tempo in cui erano gli stili di vita contrapposti delle origini dell’uomo, a costituire l’oggetto della contesa, spesso armata, per il controllo dei territori. L’epoca probabilmente databile attorno al III-IV secolo a.C e di cui parla anche il Corano, riferendosi alla figura prototipica del Bicorne, il misterioso e fortissimo condottiero che in a quei tempi aveva sigillato il territorio dei popoli nomadi Gog e Magog, dietro quella che nel testo viene definita un’invalicabile muraglia di rame. Ragion per cui secondo alcune interpretazioni dei sacri testi, costui altro non potrebbe essere che il gran conquistatore macedone che in Asia aveva il nome Iskandar, il quale secondo fonti coéve ed immediatamente successive aveva costruito, tra le molte altre cose, delle invalicabili Porte presso la regione del Caucaso, bloccando l’accesso dei barbari presso le terre civilizzate a meridione di un’oceano d’erba destinato a rimanere, ancora per molti anni, largamente inesplorato. E non a caso il nome della città in questione, Derbent, significa proprio la Porta (“sbarrata”) un ruolo che essa avrebbe rivestito attraverso i secoli, attraverso una serie di conflitti lunga quasi quanto la storia stessa della sua nazione. Lo stesso luogo in cui ancora lo storico dell’Albania Armena Mkhitar Gosh, vissuto nel XII secolo scriveva di come i re persiani avessero chiamato e reclutato a forza tutti gli architetti e costruttori del regno, affinché le fortificazioni fossero ispessite, migliorate ed allungate per impedire qualsivoglia facile passaggio ai percepiti nemici della nazione. Benché la fortezza di Naryn-Kala propriamente detto, secondo la datazione offerta dagli studiosi locali, risulti assai probabilmente collocato tra i due estremi cronologici fin qui citati, essendo stato costruito durante il regno dell’imperatore sasanide Cosroe I, tra il 531 e il 579 d.C…

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