La tragica situazione idrica di Città del Capo

Il giorno zero arriverà, secondo la stima dell’amministrazione cittadina, esattamente il 13 maggio 2018. E dovrebbe trattarsi di un calcolo piuttosto preciso, dato che stiamo parlando di un disastro creato e controllato dall’uomo, prevedibile creatura alla base di molti dei suoi stessi guai. Sarà un momento drammatico e del tutto privo di precedenti, semplicemente inimmaginabile per una città appartenente al così detto “mondo occidentale” pur trovandosi al di sotto di un determinato parallelo, e tra i confini di un certo continente, oltre i quali i notiziari internazionali non si sentono in dovere di fare informazione. Eppure, raggiunto l’ormai pressoché inevitabile punto di crisi, questa situazione balzerà improvvisamente al centro dei nostri canali; all’interno, persino, dei nostri pensieri. Riuscite ad immaginarlo? Un’intera città di 3 milioni e mezzo di persone, che d’un tratto rimane senz’acqua. E sia chiaro che non sto parlando, per questa volta, di un blocco temporaneo delle forniture, un razionamento a tappeto o una semplice riduzione della pressione. Quella fase, in effetti, l’abbiamo già superata. Bensì di una straordinaria convergenza di fattori, una sorta di tempesta perfetta della siccità, che ha portato l’intero stato sudafricano, ma in particolare l’agglomerato urbano con il ruolo di sua capitale, ad un susseguirsi senza precedenti di ben tre estati prive di pioggia, con progressivo svuotamento dei principali bacini idrici cittadini: Kwazulu-Natal, Lesotho, Mpumalanga, Capo Orientale… Nomi che per noi potranno significare ben poco, ma che per le genti di questa terra costituiscono uno dei principali pilastri all’urbanizzazione, la sicurezza di poter disporre di quantità spropositate di acqua pulita e potabile, facendo fronte alle inevitabili necessità della vita contemporanea. Fino ad ora ed a quanto sembrerebbe, ancora per poco. Ne parla con tono rassicurante ma enfatico il sindaco Helen Zille, che nei suoi discorsi degli ultimi mesi è diventata allo stesso tempo la profetessa di una nuova, remota ancora di salvezza, ma anche una delle figure più odiate in tutta la storia di questa città. È veramente difficile in effetti, allo stato attuale dei fatti, riuscire ad attribuire le responsabilità. Poiché come ci viene narrato in questo video prodotto dal sito Chronicle Digital, dalla voce di diverse figure responsabili dell’approvvigionamento idrico della città, geologi e scienziati ambientalisti, un piano per contrastare la situazione effettivamente esisteva da mesi. Ma sarebbe stato il governo stesso, per eccessivo ottimismo o una tragica mancanza di zelo, a lasciare che la situazione precipitasse fino al punto irrecuperabile in cui ci troviamo adesso.
È una situazione in cui, purtroppo, le organizzazioni tendono ad agire come gli individui. Chi non ha mai vissuto quell’istinto ad agire con moderazione, mentre si profila un evento all’orizzonte che potrebbe causare problemi, nella convinzione che un suo allontanamento possa bastare ad eliminarlo dal calendario? Si approntano le prime contromisure, in questo caso il razionamento dell’acqua in determinati quartieri e per fasce orarie piuttosto conservative, osservando con soddisfazione l’analisi statistica a nostro favore. Così che, il tempo che ci separa dal disastro raddoppia, più e più volte. Ma nel frattempo la velocità con cui si avvicina aumenta. Finché la curva degli eventi, secondo la previsione originaria, diventa semplicemente troppo ripida perché sia possibile risalirla, e questa entità plurima che potremmo definire noi/voi/loro non può far altro che precipitare nel baratro, trasformando la vita in dura sopravvivenza, costellata di sacrifici e dolore. Ciò detto, è altamente probabile che con l’avvicinarsi del momento fatidico, le autorità si troveranno ad agire per forza di cose, lavorando secondo un grado imprescindibile d’efficienza. I piani, ancora una volta, sono già in posizione: all’alba del 13 (una domenica) la riserva d’acqua cittadina si troverà, per la prima volta nella sua storia, al 13,5% del totale. Sarà allora che i direttori degli impianti di approvvigionamento, di concerto, chiuderanno i rubinetti degli acquedotti principali, assicurando l’approvvigionamento idrico soltanto agli ospedali ed altre zone critiche dal punto di vista sanitario. Come le township, i distretti disagiati di periferia, dove la sovrappopolazione di abitanti dalle condizioni sociali più sfortunate assicurerebbe l’immediato insorgere di condizioni malsane, con possibile espandersi di epidemie. Ma questo è quello che sta rischiando, dopo un primo margine di resistenza, l’intera città.

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I vestiti nuovi dello scorpione imperatore

Ore 21:40, quando le tenebre della notte iniziano a farsi pesanti, e i predatori che le amano maggiormente si svegliano per trascorrere la propria porzione quotidiana di vita. “Eppure, l’ultima volta che avevo guardato in quel terrario ce n’era soltanto uno!” Sotto la luce tenue della lampada ultravioletta sul mobile del salotto, gli scorpioni brillavano di un colore vagamente azzurrino. Il primo era immobile e sembrava, come di consueto, una strana lampadina dotata di zampe e pedipalpi a tenaglia. L’altro, illuminato di un bagliore più tenue, si agitava all’apparente ricerca di cibo. Oppure, era soltanto nervoso? Ancora una volta, Juan pensò che stava acquisendo meriti in Paradiso. Grazie alla sua disponibilità fuori orario, non richiesta ma certamente apprezzata, ad andare a dare da mangiare agli animaletti di suo fratello Carlos, mentre si trovava all’estero in viaggio di nozze. Creature come il millepiedi africano, che ora sgranocchiava ferocemente una foglia d’insalata perfettamente uguale a quella all’iguana che si trovava in cucina. O il pitone reale di 143 cm, con una stanza tutta per se, a cui aveva dovuto fornire un topo surgelato prelevato dall’apposito surgelatore: “Puoi darglielo subito, Flower sa che deve aspettare qualche ora prima di mettersi a sgranocchiarlo” Aveva detto Carlos. Ma non aveva specificato di avere DUE scorpioni. Questo è veramente troppo, pensò stizzito il fratello minore. “Adesso che cosa dovrei fare, prendere un altro grillo vivo?” Parlando, guardava la telecamera collegata al Wi-Fi che lui stesso aveva consigliato di acquistare, dopo averla individuata a un prezzo ridotto su un sito Web. Ma sapeva fin troppo bene che l’interlocutore, come suo solito, non avrebbe risposto. Probabilmente adesso si trovava in visita al grande palazzo reale di Bangkok, nel mercato cittadino o di fronte al Buddha d’oro del tempio di Wat Pho… Con un sospiro, Juan aprì lo sportello del mobile in legno di quercia ereditato dalla zia Lorena la scorsa estate, per tirare fuori la scatola di scarpe vibrante da cui proveniva un roboante e sempre più intenso ronzio, “Meriti…In el Paraìso” Sussurrò di nuovo tra se e se l’incaricato temporaneo e per sua fortuna non-padrone-di-casa. Mentre sollevava il coperchio e infilava la mano, armato di pinzetta, tra la massa brulicante di Acheta domesticus, i cosiddetti grilli del focolare. Quindi, in un solo fluido movimento, rimise il coperchio e trasferì il malcapitato fino all’apertura superiore dell’habitat trasparente di Serket, la femmina di scorpione imperatore (Pandinus imperator) e… Il suo misterioso, precedentemente sconosciuto compagno. “L’avrà comprato di recente…Chissà.” Poi, con un sospiro, aprì le pinzette.
Quasi subito, gli eventi presero una piega inusuale. La femmina dalla coda arcuata, lunghezza all’incirca 22 cm, non stava infatti reagendo come di consueto. Restando, piuttosto, del tutto immobile nel suo angolino. Mentre il nuovo e meno fluorescente arrivato, appena visibile nell’ambiente scuro dell’ampio soggiorno, prese quasi subito ad agitarsi. Inscenando una danza di guerra che pareva finalizzata ad intimorire l’intruso/delicatezza gastronomica, prima di troncarlo a metà con le sue chele. Agendo quindi d’istinto, Juan aprì di nuovo la scatola, ed introdusse un secondo grillo nel terrario. Ora le cose iniziavano a farsi DECISAMENTE interessanti. I grilli si erano radunati al centro dell’area percorribile, flettendo minacciosamente le loro appendici boccali prima di prepararsi all’ultimo strenuo combattimento. Inspiegabilmente lo scorpione ignoto sollevò i pedipalpi, con fare minaccioso, come fosse un gladiatore nel Colosseo di Roma. Normalmente tutto ciò a cui si ha modo di assistere è un rapido assalto e finisce lì. Fu in quel momento che il telefono squillò, improvvisamente, sulle note di “Bang Bang, he shot me down” di Nancy Sinatra, cantato nel 1966. “Ca..Carlos!?” esclamò sorpreso il fratello, mentre appoggiava le pinzette per mettersi a rispondere a due mani. Se chiamava da tanto lontano, doveva trattarsi di una questione davvero importante?
Aracnidi: gli avventurieri del regno della natura. Il ragno con la sua tela e il veleno (talvolta) letale, stregone del processo architettonico, in grado di catturare creature molto più grandi di lui grazie alla furbizia e la preparazione. Gli urypigi dalla coda a frusta, che puntano sulle loro dimensioni e la rapidità nel ghermire la preda, diretti come guerrieri barbari della Cimmeria. E poi ci sono loro…Gli scorpioni. Forti, si. Veloci, se necessario. Ma sopratutto, furtivi. Abituati a muoversi di notte per non attirare l’attenzione, e capaci di giungere alle spalle del bocconcino selezionato, prima di colpirlo in un solo fluido movimento grazie all’impiego del telson, il pigidio specializzato sull’ultimo segmento della coda. Letteralmente inarrestabili, a meno che… Si renda necessario combattere. Nel qual caso, necessitano della giusta armatura…

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Rana toro devia il fiume per salvare 4.000 girini

Se non fosse pressoché impossibile, saremmo pronti a giurare che nello sguardo del mostro bitorzoluto compare un lampo riconoscibile d’umana apprensione. L’ansia di un padre, che ha dato tutto per preservare ciò che di più prezioso ha a questo mondo, risultando ormai pronto a trasformarsi nella versione più viscida di una ruspa, spendendo la propria preziosa energia per cambiare le caratteristiche stesse del territorio. Fiume, torrente, rivolo, ruscelletto. Nella distesa secca e arida della savana sudafricana, la vita è sopratutto una questione di prospettive. La pozza piovana che, per i grandi mammiferi in cerca di acqua da bere, appare poco più che una goccia nel mare di erba tendente al marrone, può costituire per qualcun altro l’intero universo in cui trascorrere la prima stagione della propria vita. E quel qualcuno è il girino della Pyxicephalus adspersus, la seconda rana d’Africa per dimensioni e quinta su questo pianeta (ma sappiatelo: nessun altra ha la sua tenacia e capacità d’adattamento). Il luogo del concepimento e anche la nascita, una piazza liquida da occupare pressoché nella sua interezza grazie alla spropositata quantità dei propri fratelli e sorelle. Questione, anch’essa, di prospettive. Come una versione sovradimensionata del familiare spermatozoo, una testa e una coda che si agita per nuotare, puntando sui grandi numeri, perché soltanto un singolo individuo riuscirà a raggiungere l’obiettivo. Trovandosi, finalmente, nell’agognata occasione di replicare biologicamente se stesso. Per quanto concerne l’anfibio, stessa storia: dico, provate voi ad immaginarvi le probabilità di raggiungere all’età adulta quando si nasce in uno spazio ecologicamente sufficiente a sostenere più di una manciata tra le proprie migliaia di concorrenti e co-nascituri, senza parlare di eventuali predatori e il rischio ambientale di fondo. Che poi sarebbe l’inevitabile prosciugarsi, al termine della stagione delle piogge, di un simile piccolo stagno, rigorosamente non permanente. Inizia quindi così, dal momento stesso in cui si è venuti al mondo, la rapida corsa verso la metamorfosi, nella speranza che ai piccoli spuntino le zampe e siano completi i loro polmoni, poco prima che  si ritrovino a morire soffocati, rimasti a secco sulla sabbia ormai incapace di trattenere l’umidità. Un triste episodio che purtroppo, rischia fin troppo spesso di verificarsi. Il che come spesso càpita, ha creato nei secoli una specifica strategia evolutiva, che può essere riassunta nell’espressione “salvare scavando”. Una volta completato l’accoppiamento e contestuale deposizione, il maschio è infatti abituato a restare sul posto, al fine di assicurarsi che tutto si svolga nella maniera ideale per le sue giovani speranze per il futuro. È questo lo stato in cui gli abitanti del suo areale, che include Angola, Botwswana, Tanzania e Zimbabwe, sono abituati generalmente a vederla, ferocemente pronta a difendersi da qualsiasi predatore, non importa quanto grosso e feroce. Il maschio della rana toro, più grande della femmina, è pur sempre un animale della lunghezza di fino a 26 cm, ed un peso che supera abbondantemente i 2 Kg, armato di due acuminate proiezioni ossee al posto dei denti, chiamate odontoidi. Più che abbastanza per scoraggiare eventuali serpenti, uccelli e altre creature in cerca di una facile merenda, ma completamente inutili contro il procedere inarrestabile delle stagioni. Ed è qui, quindi, che entra in gioco il tubercolo a forma di pala presente sulle sue due zampe posteriori.
È nella natura stessa dell’evaporazione infatti, che l’acqua tenda naturalmente a raffreddare se stessa, ritardando l’effetto spietato dei raggi solari che vi precipitano sopra dall’alto. Con il risultato che in un luogo come le pianure alluvionali del Gauteng o dello Swaziland, il processo tenda a creare una matrice di singoli casi, ciascuno più o meno capace di resistere al completo prosciugamento. Non è così per nulla insolito, il caso raffigurato qui sopra, del genitore ormai certo che il tempo a disposizione è finito, ed agisce per dare ai suoi figli e figlie il tempo di trasformarsi in dei veri e propri anfibi, in grado di sopravvivere fino alla prossima stagione delle piogge. Egli ha del resto, un piano ben preciso. Mentre osserva con gratitudine il grande lavoro che è riuscito a svolgere, apre la bocca e lascia srotolare l’appiccicosa lingua. Con un tonfo sordo, quella ricade ai margini dello stagno nuovamente riempito. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, lui si riporta in bocca una mezza dozzina dei suoi stessi girini, ed inizia pensierosamente a masticare.

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Il veleno che ferma lo scorrimento del sangue umano

Nel celebre racconto di Edgar Allan Poe “Il pozzo e il pendolo”, un prigioniero dal crimine misterioso viene sottoposto a una particolare forma di tortura dall’Inquisizione Spagnola: chiuso in una stanza completamente buia, legato ad un tavolo di legno, si ritrova a percepire il movimento di una lama oscillante, affilata come un rasoio, che ad ogni passaggio si avvicina al suo corpo, finché ad un certo punto, giungerà per ucciderlo molto, molto lentamente. Quando per una casistica inaspettata, alcuni ratti non rosicchiano le corde che lo tenevano intrappolato, permettendogli di cercare rifugio verso i margini della sua cella. Ma è allora che le pareti diventano incandescenti, ed iniziano a stringersi, costringendolo verso un buco profondissimo nel pavimento che all’interno della sua mente, finirà per corrispondere al più profondo abisso dell’animo umano. L’evoluzione di determinati animali velenosi, in un certo senso, è come la cella orribile immaginata dallo scrittore americano: gradualmente, la selezione naturale dona al serpente uno strumento d’offesa che gli permetta di cacciare, pur essendo un animale relativamente piccolo e privo di zampe, che dispone di un singolo attacco per catturare la sua preda. È questo il momento in cui il pendolo tagliente raggiunge l’estremità di Levante, caricandosi per effettuare la sua prima oscillazione. Dopo che un numero sufficiente di esemplari/preda viene quindi avvelenato e fagocitato, attraverso le generazioni viene tra loro selezionato un gene che permette alle vittime, gradualmente, di sviluppare l’immunità. In questo momento il pendolo si trova a Ponente. Ma è allora che, senza falla, di nuovo i serpenti trovano un modo per rendere il loro veleno ancor più letale, dando inizio ad un ulteriore, e più basso passaggio della lama torturatrice. E così via… Il pozzo all’interno del quale cadere, nel frattempo, rappresenta l’occasione in cui un essere umano dovesse venire morso, per autodifesa o una semplice sfortunata coincidenza. Possibile che a quel punto, un angelo giunga a salvarlo?
Per la legge infinita della Natura, è letteralmente impossibile che un qualcosa resti uguale. Così anche i serpenti, secolo dopo millennio, possono soltanto adeguarsi al moto del pendolo, diventando sempre più letali. O sempre meno. Ma nel primo caso, la questione è più complicata che la mera elaborazione di “un veleno peggiore”. Poiché una sostanza creata per uccidere qualsivoglia forma di vita, è inerentemente affine all’attacco di un hacker: per quanto esso aumenti il grado di sofisticazione del suo cavallo di Troia, esso non potrà passare per sempre dalla stessa backdoor. Così avviene la diversificazione, essenzialmente attraverso tre vie distinte. Nel primo caso (citotossine) il serpente attacca le membrane delle cellule stesse, sostanzialmente i mattoni costitutivi della vita stessa, iniziando un qualcosa di affine al processo di digestione ancor prima di fagocitare la preda. Si tratta della forma di veleno più primitiva, creata a partire dalla saliva e generalmente associata a zanne corte ed arretrate nella bocca dell’animale. Più pericolosa è la seconda alternativa (neurotossine) che attacca i nervi causando una paralisi immediata, generalmente seguìta dalla morte per soffocamento del soggetto colpito. Alcuni dei serpenti più pericolosi del mondo sono dotati di questo strumento d’offesa. Oggi siamo qui a parlare, tuttavia, di un’alternativa più rara, e per certi versi ancora più terrificante: l’emotossina, ovvero il veleno che attacca direttamente il sangue. Periodicamente, su Internet, compaiono questi video in cui una figura di esperto preleva una certa quantità del suo stesso sangue, lo versa all’interno di un recipiente e vi aggiunge una singola goccia di veleno, immancabilmente appartenente ad un qualche spietato essere strisciante. E ed è allora, nel giro di meno che un minuto, che la sostanza rossa perde quasi completamente la sua forma liquida, trasformandosi in un ammasso gelatinoso: il sangue, in parole povere, si è coagulato. Ve lo immaginate l’effetto di un simile evento all’interno dell’organismo… Quasi istantaneamente, si formerà un trombo, bloccando il regolare funzionamento della circolazione nell’estremità colpita. Quel che è peggio, tuttavia, è il suo potenziale trasformarsi in embolo, per viaggiare lungo le autostrade venose fino ad un organo importante, come il cuore, il cervello o i polmoni. Ed a quel punto, quanto credete che possa restarvi da vivere, anche ricevendo assistenza medica pressoché immediata?
Ma quel che è peggio è che tra l’altro, un singolo serpente non ha bisogno di scegliere soltanto una delle tossine possibili, a discapito delle altre. È anzi piuttosto diffuso il caso di specie che dispongono di due, o tutti e tre i tipi allo stesso tempo, causando uno shock su più fronti che nel giro di letterali minuti, non lasciano alcuna via di scampo all’organismo colpito…

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