L’autobus tra due sportelli ed altri casi di super-trasporto umano

gaz-is-full

Video come questi. Scene che ti aprono la mente, gli occhi, il portafogli. Alla ricerca di un concessionario d’importazione delle rustiche automobili GAZ Volga che purtroppo, qui da noi, risulta assente fin dal primo dei giorni di scuola. Sarebbe facile sottovalutare le doti d’inventiva ed il senso pratico del popolo della Baschiria, in primo luogo perché molti non hanno neppure chiara la posizione, di un simile paese. E non solo. Perché una volta approfondito l’argomento diventa chiaro che si emana, da questo freddo territorio di 143.600 km² ad Ovest degli Urali, un alone di competenze ingegneristiche e di senso pratico che può indubbiamente dirsi rappresentativo dell’intera Federazione Russa, ma in modo particolare di quella fascia di popolazione nazionale che, piuttosto che rinchiudersi tra le incolori mura di un ufficio, si è ritrovata a fare la serie di scelte di vita che in genere ti portano a condurre l’interessante vita del manovale. E chi ha detto che fuori da un contesto lavorativo suddiviso in rigidi dipartimenti, e sottoposto allo scrutinio continuo di un capo dagli occhi di falco, le giornate diventino per forza prive di sorprese? Il senso e il significato della parola “sfida” è infatti soggettivo, e in ogni campo dello scibile si può trovare, nei recessi più profondi, l’intangibile particella di Dio. Che poi sarebbe, in altri termini, l’umana creatività.
“Oh, gli amici di Bashki arrivano finalmente al lavoro.” Esclama la voce fuori campo [trad. di Evanescent_Intention, redditiano] con un tono suggestivo e vagamente canzonatorio: “Ma vengono tutti con una macchina? Ma non dovevano venire con MOLTE macchine? Ooh, sembrano esserci soltanto quattro persone. Così non va per niente bene. Come facciamo adesso? Ma guarda un po’! A quanto pare, invece, c’è una folla. Stanno uscendo tutti, l’uno dopo l’altro, uno, due…Buongiorno! Buongiorno… Dieci, undici, quindi, diciassette, BUONGIORNO GENTE!” Poi qualcuno si mette a suonare la fisarmonica: mi pare giusto.
Mamma mia, quanti sono? Abbastanza. Da essere iscritti nel libro dei record (di arrangiarsi) anche perché in definitiva il numero fondamentale di quante persone riescano ad entrare dentro ad un veicolo è necessariamente molto soggettivo, per la definizione delle specifiche ragioni di contesto. In primo luogo, di che ruote stiamo parlando, esattamente? I risultati variano sulla base della marca e del modello. Nel 1982, l’Associazione delle Giovani Mogli di Davenport, U.K, probabilmente mentre i loro giovani mariti erano a fumar la pipa dentro un club, sono riuscite a riempire una piccola Leyland Metro con 21 affiatate amiche, portando all’attenzione di tutti l’antica arte delle automobili e dei clown. Soltanto l’anno dopo, un’organizzazione analoga ma maschile di Langenlois (Austria) si è impegnata per conseguire la nuova vetta di 30 anime dietro a un motore. Ma in quel caso, il mezzo era la decisamente più grossa VW Golf. È tutta una questione, come dicevamo, di aspettative della gente. Qualcuno forse direbbe che il più significativo di questi traguardi fu quello raggiunto nel 1989 a Leeks in Inghilterra, che vide 354 studenti di una scuola media stipati dentro a un autobus a due piani londinese. Questo resta, dopo tutto, il caso che coinvolge il maggior numero di persone. Altri invece cercherebbero l’auto più piccola, imbattendosi probabilmente nel caso della Smart che nel 2012, grazie agli sforzi del team di cheerleaders della squadra americana di Glendale, arrivò a contenere per un breve storico momento l’intero staff di 20 flessibili fanciulle, pompom esclusi. Ma in ultima analisi, ciascuno di questi casi fu attentamente costruito per lasciare un segno degno di essere commemorato, e in alcun modo si sarebbe potuto dire, neanche volendo, spontaneo. Il che fa tutta la differenza del mondo. Perché un conto è prodigarsi nell’iper-sovrappopolazione veicolare restando ben fermi in un parcheggio, e sfruttando dunque ogni recesso dello spazio a disposizione, anche a discapito della guidabilità del proprio mezzo di trasporto. Tutt’altra cosa, invece, è approntare un simile apparato per l’universale necessità di risparmiarsi un viaggio (e quindi, tempo; e quindi, denaro) verso il conseguimento dell’imprescindibile paga quotidiana. E i russi sono maestri nell’arte di risolvere i problemi su quattro ruote in modo anti-convenzionale, anche se ad un ulteriore analisi delle prove scientifiche diffuse online, ci sono almeno altri due paesi che non scherzano AFFATTO.
La Mongolia, la Cina…

Leggi tutto

Nuovo record: 144 Km/h nell’uovo a pedali

eta-aerovelo

Neanche l’ombra di un finestrino. Il proiettile bianco trionfa di nuovo a Battle Mountain, Nevada: molti sono i soprannomi che potremmo riuscire a dargli. La ghianda, la capsula, la supposta. Ma per comprendere realmente la più pura essenza di Eta, che ha permesso al suo team Aerovelo di superare ampiamente la concorrenza internazionale, occorrerebbe rimuovere la sua intera parte superiore, per scrutare all’interno e vedere… Todd Reichert, PhD canadese in ingegneria aerospaziale dalle doti ciclistiche tutt’altro che indifferenti, intento ad esprimersi attraverso lo strumento dei pedali, in posizione reclinata, alla velocità del fulmine e del tuono. Pilota, ed al tempo stesso motore, dell’oggetto che potremmo definire il primo dei primi rappresentanti veicolari del nostro futuro.
Un mondo in cui l’unico modo per spostarsi da un luogo all’altro è bruciare del carburante, o in alternativa impiegare energia elettrica derivata, nella maggior parte dei casi, dall’aver bruciato del carburante (migliore) altrove. È davvero questo il mondo che vogliamo lasciare in eredità ai nostri discendenti? Possibile che niente possa essere fatto per l’inquinamento, i problemi ambientali e di salute, lo stress ed il costo che derivano da una delle invenzioni che più hanno influenzato gli ultimi secoli, ovvero il veicolo a motore? Perché è questo, che siamo, fondamentalmente: cicale lanciate a velocità supersonica verso il profondo baratro dell’autodistruzione. Esseri viventi che hanno costruito, o che per meglio dire lasciato che nascesse in mancanza di appropriati accorgimenti, un contesto in cui non è soltanto “normale” ma persino considerato indispensabile e necessario, che ogni giorno si salga a bordo di un mezzo in grado di contenere fino a cinque persone, e lo si usi in solitudine per raggiungere il luogo delle nostre tribolazioni lavorative. Certo, esistono le eccezioni. Persone così fortunate (nessuno esiterebbe a definirle tali) che non hanno bisogno di coprire alcuna distanza che sia superiore a quella percorribile mediante l’impiego della sola energia muscolare. E poi, ovviamente, esistono i mezzi pubblici. Ma in ultima analisi, in un domani in cui tutti, fino all’ultima persona, dovessero salire sugli stessi autobus, tram e metropolitane che sono già in nostro possesso, diventerebbe necessario vararne una quantità tripla o doppia, riportandoci a una versione più moderata dello stesso problema. No, l’unica speranza è questa: pedalare, lavorare, pedalare. Come succede, notoriamente, in Olanda. Eppure resta il fatto è che al di fuori di un simile paradiso delle trasmissioni a catena, occorre fare i conti con gli effettivi limiti funzionali associabili al concetto stesso di bicicletta. Totale esposizione agli elementi. Una sicurezza stradale tutt’altro che eccelsa. Soprattutto, prestazioni che realisticamente limitano di molto le distanze copribili in un tempo che possa ragionevolmente far fronte alle esigenze quotidiane. Ed è proprio per far fronte a queste tre esigenze, unite a quelle comparativamente simili di cielo (gasp!) e di mare, che nacque in California nel 1980 la IHPVA: International Human Powered Vehicle Association, finalizzata al raggiungimento delle massime vette dei sistemi di trasporto del tutto privi di un motore. Attraverso uno strumento, tra gli altri, che ha sempre portato alle migliori soluzioni dei più complessi problemi: la sana competizione; il che ci porta, nello specifico, all’annuale gara recentemente conclusosi della World Human Powered Speed Challenge (in breve, WHPSC), dove lo scorso 19 settembre, alla presenza dei giudici di gara, quest’uovo fantastico ha superato di 4,8 Km/h il precedente detentore del record di velocità mondiale, varcando con fragore apocalittico la soglia superiore della classifica, in un campo in cui normalmente si lavora su guadagni di neanche mezzo Km/h l’anno. E la ragione di un simile successo, oltre alla forza fisica del conducente, va ricercato nei meriti dei costruttori…

Leggi tutto

Il carro armato che sfidò Mad Max

ripsaw-peacemaker

200 milioni di dollari. Potevi (quasi) usarli per lanciare un razzo in orbita geostazionaria. Ci sono volte, nel mondo cinematografico, in cui l’alto costo di produzione di una pellicola non è immediatamente palese al pubblico in sala. Ad esempio ogni qualvolta c’è un impiego del computer, non tanto finalizzato alla creazione di esplosioni più grandi o improbabili creature aliene, bensì per trasformare un borgo dei nostri tempi nell’antica capitale di un regno, oppure posizionare le notevoli mura di un castello antico proprio lì sulla collina artificiale, dove ti servono per la determinata scena. Ovvero tutti effetti di quel tipo che “non si deve notare” ma che sono in grado di richiedere comunque un alto grado di perizia, e quindi la partecipazione al progetto di un’intera equipe specializzata. In altri casi, il fenomenale rischio finanziario in cui lo studio ha scelto d’imbarcarsi non potrebbe essere più chiaro, arrivando in effetti a connotare molti dei valori estetici di questa o quella scena. E quando ciò si verifica, generalmente, c’è di mezzo un qualche inseguimento su ruote! Dopo tutto, l’industria dell’entertainment di Hollywood ha una lunga tradizione in materia, con un intero mestiere, quello dello stuntman, dedicato proprio al perfezionamento della guida “da film” nonché un vasto ventaglio di fornitori in grado di realizzare senza indugio qualsiasi mezzo semovente che l’umana fantasia possa riuscire a concepire. Il che ha portato sugli schermi di proiezione, nei anni precedenti all’invenzione del CG, un repertorio talmente vasto di corse spericolate, tamponamenti e slalom tra il traffico e i pedoni cittadini, che ormai persino l’uomo senza patente non avrebbe alcun problema ad individuare eventuali imprecisioni nello svolgersi dell’ennesima carneficina (non)stradale. Il che lascia facilmente intendere come sia stato possibile raggiungere una tale cifra spropositata, nella realizzazione di quel film dell’anno scorso che la cui totale durata fu praticamente un solo lungo, caotico inseguimento.
Fu evidente quasi subito, dal momento dell’uscita, che Mad Max: Fury Road sarebbe presto entrato nella storia dei cult movies. Ecco una creazione appassionata dal ritmo serrato, straordinariamente curata dal punto di vista estetico, e forse quel che è ancora meglio nel suo genere, sostanzialmente priva di uno sviluppo narrativo che rallenti il ritmo, escluse un paio di momenti in cui si espongono i lunghi e travagliati trascorsi dei protagonisti più o meno umani del racconto. Il che non è facile, visto come a rubargli la scena e i primi piani, per ciascun singolo minuto dell’adrenalinica vicenda, ci fossero alcuni dei veicoli più straordinari che siano mai stati guidati innanzi ad una videocamera, come la spropositata Macchina da Guerra di Furiosa, ovvero l’autotreno della Tatra cecoslovacca migliorato per l’occasione con l’applicazione di teschi umani, la pala di uno spazzaneve, pannelli corazzati e due pezzi di Volkswagen Beetle sopra il rimorchio, usati come posizioni di tiro per i cecchini. O le Plymuth Sedan rugginose trasformate in dei mostruosi porcospini, grazie all’applicazione di un numero di aculei simili a spade, del tutto casualmente pari a quelli di un formichiere africano… Ma il pezzo forse più incredibile di questa assurda collezione dovrà rimanere il Pacificatore del capo di Bullet Farm, rabbiosamente interpretato da un Richard Carter incoronato di bossoli trasformati in copricapo, e costituito per la parte superiore di una Chrysler Valiant Charger degli anni ’70, mentre sotto c’era…Un… Qualcosa di cingolato. Ed assolutamente fuori dal comune, forse più di ogni altro singolo aspetto del film.

Leggi tutto

L’invenzione del garage grande come un armadio

Vinod Kumar Garage

“No, no. Non può riuscirci. Cara, prendi la telecamera! C’è un uomo che sta per impegnarsi nel più arduo ed improbabile dei parcheggi. La vedi la Suzuki Maruti Zen rossa? Vuole metterla là dentro. LÀ DENTRO, ahah, ci crederesti?” Aspetta, ed ora cosa sta facendo? Tira fuori…Una specie di carrello su rotaie. Hmmm, la fa salire sopra. Ridicolo, cosa vuole…E adesso, non vedo bene ma…La sta SPINGENDO dentro? A mano?! E come, come se…Ooooh, grandioso. “Moglie mia, il nostro vicino è un genio. Lascia perdere l’attrezzatura di registrazione. Portami un quintale di profilati metallici, il frullino e il saldatore!
Perché a quanto pare in India, soprattutto laggiù presso lo stato meridionale del Karnataka e non troppo distante dalla metropoli di Bangalore, occorre farsi scaltri e concepire soluzioni utili ai problemi quotidiani. O per meglio dire, percepirli nell’aria tersa di un mattino di meditazione. Con gli occhi rivolti avanti ma i neuroni, tutti ordinatamente in fila, che formano un ponte con l’accumulo della sapienza collettiva. Europa, Asia, quale vuoi che sia la differenza? Nell’antichità, la figura dello stalliere era pressoché onnipresente e tutti, in determinate circostanze, venivano a contatto prima o poi con lui. I viaggiatori presso le locande, gli artigiani quando effettuavano consegne ed ovviamente i gran signori, ogni qual volta tornavano nelle magioni a seguito di grandi cacce o di escursioni. Ed erano poi costoro, gli uomini-cavallo per definizione, che sapevano ogni cosa di quell’animale, la maniera più adeguata per nutrirlo, accudirlo e quando necessario addirrittura prestargli cure elementari. Si tratta, sostanzialmente, di specialisti del non utilizzo, in grado di mantenere il più prezioso mezzo di trasporto, nonché amico ed animale, in condizioni di alta freschezza e subitaneità. Poi venne l’automobile e un diverso modo di veder gli spostamenti. Con un veicolo d’acciaio, gomma e vetro, al cui interno batte non più il cuore, ma un’incrocio di sistemi ed ingranaggi, fluidi artificiali e meccanismi. Senza sentimenti, senza testa, senza denti. Nessuno deve dare da mangiare ad una cosa con le ruote: è un semplice assioma di questo universo. Ne del resto, curarsi troppo delle sue necessità? E chi l’ha detto? Certo, un simile mezzo di trasporto può restare facilmente “fuori” tra la pioggia e sotto il vento, senza che la sua salute ne risenta in alcun modo. Per lo meno, entro i limiti di ragionevolezza. Ma resta il problema che il Male è in agguato ad ogni refolo e recesso delle semplici nottate. Si presenta sotto molte forme: furto d’autoradio, vandalismo, ubriaco che transita al volante ed urta le auto parcheggiate… Non c’è ragione, dopo tutto, di dormir sogni tranquilli.
Il che ci porta a un altro tipo di problema: che dire se hai la voglia e l’intenzione, ma ti manca la risorsa dello spazio? Per poter riuscire, intendo, nella fondamentale impresa di rimuovere il destriero dalla strada. Se l’unico modo di trovargli posto comporterebbe, essenzialmente, rimuovere un’intera stanza della casa, ed installarvi una serranda al posto di parete e fulgida porta-finestra a vetri… Nell’evidente opinione di Vinod Kumar, protagonista del video soprastante, c’è una semplice risposta a quel quesito: usa invece, ci puoi credere? Il tuo angusto ripostiglio. Naturalmente, non che sia FACILE. Qui siamo di fronte al sentire di un uomo che ha fatto dell’ingegno la sua massima bandiera. Costruendo, in ultima analisi, quel tipo di risolutivo marchingegno che la società moderna ci ha insegnato a definire gadget, con slittamento di significato di quella parola da “cosa inutile ma bella” a “strumento tecnologico che cambia la tua vita.” Accendiamo dunque anche il nostro motore, ed assistiamo ad una tale subitanea meraviglia…

Leggi tutto