L’affamato licaone volgeva con l’attenta consuetudine il suo sguardo all’indirizzo della fattoria dell’uomo. E quella costruzione in filo di metallo, colma di magnifiche creature del tutto incapaci di volare. Ah, galline! Cosa non farei per quel… Sapore. Persino penetrare nel pertugio sotto l’elettrificata recinzione, insinuarsi dentro il territorio reclamato in quel Zimbabwe ed aggirare l’oltraggiata superbia del suo antico avversario, il Cane. L’eterno servitore, imponente assalitore di ogni cosa che viene da fuori. Ora questo Cane, un mastino di Boerboel del peso di almeno 70 Kg si trovava in prossimità di una struttura costruita sulla sua misura, intento a rosicchiare un osso lasciatogli dal suo signore. Al che il licaone, su un piano del tutto istintivo, comprese in modo transitorio un qualcosa di assolutamente fondamentale: non importa quanto ben nutrito, comodo e protetto fosse quel temibile nemico. Il suo cervello in perenne cortocircuito gli avrebbe ripetuto in ogni attimo quel familiare impulso: mangia, mangia, DIVORA! Qualcosa di non sempre conduttivo, in base alle diverse circostanze, a gradevoli conseguenze finali. Ora il quadrupede zimbabwese, in qualche modo fondamentalmente imprevedibile, vide prospettarsi innanzi al proprio agire lo schema prototipico di un piano. Non del tipo elaborato per le connessioni neuronali nel suo caso assenti, bensì prospettato dal verificarsi di fortuite concatenazioni tra causa ed effetto. Allorché avanzando, tra i rami più bassi di una siepe di asclepiadacee dai fiori di cera, vide una scintilla rossa e nera profilarsi ai più remoti confini del suo campo visivo. Ora la diabolica creatura, roboante cavalletta, si spostò all’indirizzo del confine invalicabile, e poi oltre sotto l’occhio incredulo del vigile Boerboel. Che in un solo, agile balzo, la ghermì con le sue zampe muscolose e strinse in bocca tra labbra e acuminate zanne d’avorio. Crudelmente soddisfatto fu in questo frangente il licaone, che sapeva ciò che avrebbe avuto luogo nei pochi momenti successivi. Un sibilo leggero, appena udibile dalle sue orecchie amplificate. E schiuma bianca che fuoriesce dall’insetto, rendendo idrofobo d’aspetto il suo malcapitato torturatore. Finché il mordace non fu preso da tremori e nel giro di pochi secondi, cadde rovinosamente a lato della gabbia del pollame. Adesso soddisfatto, l’irsuto ladro maculato riprese laboriosamente lo scavo. Gli animali selvatici sanno che ci sono circostanze e situazioni dove, ispirati da ragioni di contesto, conviene coltivare sempre i meriti dell’astinenza. Ma quella saggezza e implicita pazienza, adesso, era stata accantonata…
Aritmia subito seguita da crisi cardiaca e nei casi più gravi, arresto cardiaco pressoché immediato. Avreste mai pensato di poter subire conseguenze simili, soltanto per aver introdotto nel vostro sistema digerente il corpo variopinto di un insetto? Probabilmente no, perché probabilmente non siete abitanti dell’Africa al di sotto della linea equatoriale e… Probabilmente, non avete mai osservato con i vostri occhi una riconoscibile esponente della specie Dictyophorus spumans o cavalletta schiumosa delle koppie (n.d.t: koppie significa “collinetta”) in merito alla quale i giovani vengono educati nelle scuole, poiché rappresenta il caso raro di una creatura del Vecchio Mondo, nociva e terribile a tal punto che potrebbe appartenere ai biomi più temuti d’Australia…
Cavalletta così splendida a vedersi, tra l’altro, da sembrare una letterale scultura di cera o un giocattolo di gomma colorata, tanto che in via del tutto aneddotica si riporta non soltanto di cani, bensì anche bambini del villaggio che in particolari circostanze hanno cercato di familiarizzare eccessivamente con questa creatura, finendo conseguentemente al pronto soccorso. Questo causa la capacità perduta, per noi ed i nostri animali domestici, di riconoscere uno dei più chiari segnali offerti dalla natura, ovvero la colorazione aposematica della D. spumans, le cui tonalità variano rosso, al marrone, al nero per la sottospecie sudafricana e zimbabwese, al giallo-arancio nel sud-est del Mozambico, fino al verde striato nelle zone costiere circostanti Città del Capo. Repertorio coadiuvato da un’ulteriore strategia evolutiva dell’aumento esponenziale di dimensioni, fino ai 6-8 cm di lunghezza, così da presentare un comparto estetico ancor più chiaramente dedicato a esplicitare quel terribile messaggio: chi tocca, muore. Una prerogativa di cui la cavalletta è necessariamente consapevole, data la grandezza ridotta delle sue due ali anteriori una volta raggiunta l’età adulta, nonché la totale assenza di quelle posteriori. Rendendola poco propensa a saltare via per mettersi in salvo, anche per in ogni caso, nella maggior parte dei casi, non ne ha bisogno. Il che ci porta al perché, e come tale insetto possa risultare tanto straordinariamente letale. Una capacità che trova origine, nello specifico, dalla notevole tipologia della sua dieta, consistente in larga parte nella consumazione pressoché esclusiva di piante tossiche della già citata famiglia delle asclepiadacee, famose per il loro alto contenuto di cardenolidi. Questi glicosidi spesso impiegati in medicina per curare irregolarità del battito ma che una volta metabolizzati e sequestrati dall’organismo della cavalletta grazie ad una versione modificata dello stesso enzima che dovrebbe in teoria subire le conseguenze dell’avvelenamento (Na⁺/K⁺-ATPasi) raggiungono concentrazioni tali da poter risultare immediatamente letali. In modo tale che una volta minacciata la cavalletta possa letteralmente emettere un flusso d’aria dai propri spiracoli infuso della stessa emolinfa che costituisce il suo sangue, formando la schiuma altamente tossica da cui prende per l’appunto il suo nome. Una prerogativa, è importante specificarlo, estremamente dispendiosa in termini biologici e per questo presente soltanto in alcune specie della stessa famiglia dei Pyrgomorphidae, tra cui Poekilocerus pictus e Zonocerus variegatus, che in altre zone della Terra come il Messico costituiscono piuttosto una pietanza utilizzata in cucina nell’accezione del piatto locale chapulín. Apprezzabile soltanto a patto, va da se, che ci si trovi disposti a superare la possente barriera psicologica tra gustosi artropodi di terra e i loro cugini appartenenti agli abissi dei sette mari.
Creature generalmente solitarie nell’attitudine benché tendano ad infestare zone localizzate dopo un periodo di permanenza durato diverse generazioni, le cavallette schiumose costituiscono una presenza piuttosto comune all’interno dei loro rispettivi areali d’appartenenza. Territori ricchi di piante velenose e per questo irrilevanti dal punto di vista economico, confermando l’idea implicita secondo cui la riproduzione rapida e l’assenza di fastidio per l’uomo costituiscano una combinazione estremamente funzionale alla proliferazione di particolari creature. Il che non toglie il fatto che costituendo nei fatti creature native, esse non siano totalmente prive di predatori: esiste infatti il caso documentato di particolari dronghi e cuculi che riescono tranquillamente a fagocitarle, senza subirne in alcun caso le conseguenze. Poiché la natura, attraverso i secoli, trova sempre il modo di regolarsi. Mentre coloro che conoscono, a forza di abbaiare tendono a guardare altrove. Cadendo nelle stesse trappole, e facendo quegli errori nella ricerca di apporto calorico, dei loro sfortunati benché orecchiuti predecessori.


