Il drone da 54 rotori che solleva facilmente una persona

The Swarm

È un mondo, questo, in cui le persone volano senza nemmeno faticare. Nel quale l’energia potenziale di una piccola batteria al litio, se montata in serie con le consorelle, sposterebbe le montagne. E non c’è una vera ragione pratica, dinnanzi ai nostri occhi, per pensare che quello che è venuto “prima” condizioni il passo del nostro domani. Così è nel settore dell’ingegneria applicata, come in quello dell’evoluzione dei linguaggi. Guardate: lo stesso Gasturbine101, il coraggioso inventore che qui vediamo impegnato nel sollevarsi da terra in ciò che lui chiama The Swarm (Lo Sciame) ha fatto molto per condurre ad un progresso parallelo in tutti e due i campi. Il primo, in quanto mai si era vista questa scena, di un essere umano sollevato da terra, per il momento fino ad un’altezza di circa 3 metri, a bordo di una slitta metallica con l’ombrellino trasparente in policarbonato, mentre attorno a lui ronzano selvagge quattro dozzine di eliche taglienti come dei rasoi. Il secondo…
Perché l’impiego corretto di questa parola, drone, almeno stando al senso comune, dovrebbe essere estremamente specifico, e riferirsi ad un particolare tipo di aeromobile rigorosamente telecomandato. Finché recentemente ed in funzione della sua etimologia di origine misteriosa, questo termine, alla maniera di quanto avvenuto in precedenza per “robot” (che fu neologismo cecoslovacco nel 1920) ha attraversato una serie di migrazioni semantiche, finendo ormai per riferirsi alla vasta maggioranza dei dispositivi volanti, forniti di rotori multipli e più piccoli di un elicottero convenzionale. Ma qual’è, in effetti, il tratto distintivo che può e dovrebbe accomunarli tutti quanti? Se l’avessi chiesto attorno al 2009/10, ben pochi avrebbero sperimentato la benché minima esitazione: un drone è una di quelle armi pilotate a distanza che gli Stati Uniti, senza una formale dichiarazione di guerra, impiegano al fine di colpire i bersagli militari in Medio Oriente. Persino la versione online del dizionario enciclopedico Treccani, al momento in cui scrivo, riporta una simile definizione, di fatto ormai piuttosto superata. Ciò in quanto nel frattempo il drone è diventato un prodotto estremamente desiderabile, messo in mostra sui volantini delle catene di elettronica, che domina e scala le classifiche di YouTube, sorvola i luoghi pubblici e inquadra il volto dei presenti. Amato, celebrato, molto spesso messo in luce negativa dalla veemente controcultura dei nostri tempi. Siamo ormai rassegnati all’idea che nell’immediato futuro telecamere private giungeranno a sorvolare i nostri gesti più o meno pubblici, inviandone le immagini ai vicini, il datore di lavoro, Google e il governo. Quello che ancora non sapevamo, perché era in effetti impossibile da prevedere, è che persone fisiche potrebbero trovarsi addirittura a bordo delle piattaforme propriamente dette, senza più bisogno d’impiegare un semplice telecomando. Ma allora non dovremmo dire che si tratta di elicotteri? Ecco…Il cerchio ormai si è chiuso, più e più volte. Diminuendo, per ciascun passaggio dal punto di partenza, la barriera economica da superare per spiccare il volo. E benché possa sembrare incredibile a pensarci, nello Sciame di Gasturbine101 non c’è un singolo elemento, tra propulsione, elettronica e alimentazione, che sia stato acquistato in altro luogo che un fornitore di componentistica per aeromodelli o droni come quello, citato espressamente nella descrizione, del celebre produttore hongkongese Hobby King. Sostanzialmente, l’aeromobile è in grado di alzare il suo pieno carico di 164 Kg, mantenendosi più o meno stabile, grazie all’attivazione contemporanea dei suoi 54 motorini elettrici, di cui 28 ruotano in un senso, 28 nell’altro. Collegati in sequenze di 9 ciascuno e dotati di altrettante batterie indipendenti, ottenendo sostanzialmente la versione ridondante di un comune esacottero, ovvero un qualcosa di facilmente controllabile da uno stabilizzatore con accelerometri di fascia media. Si, avete capito bene: quest’uomo sta affidando la sua stessa vita ad un piccolo computer comprato su Internet, dal costo approssimativo di una ventina di Euro. E in fondo, volando ancora a quote tanto basse, che cosa mai potrebbe andare storto? Mmmmh!

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La grande danza delle goccioline colorate

Dancing Droplets

È una scena così tipica ed al tempo stesso, dannatamente affascinante: il ricercatore dottorato all’Università di Stanford, posto sotto la supervisione di un assistente di bioingegneria, che scruta attentamente dentro a un microscopio nel laboratorio. Alla ricerca di… Correlazioni, punti d’interesse, loci e nessi significativi. Siamo nel 2009. Ma mentre aumenta la concentrazione, ad un tratto, costui si rende conto di qualcosa. Un fatto chiaro e lampante, da tempo immemore sotto gli occhi di ciascuno, ma che tuttavia nessuno, almeno a quanto gli è dato di sapere, si è mai dato la briga di commentare. Né soprattutto studiare e/o pubblicare, fatto ancor più interessante dal suo punto di vista. Così alza gli occhi, si guarda intorno, e mentre aspetta di rimettere a fuoco il mondo delle cose in proporzione, improvvisamente esclama: “Prof, le gocce sembrano vive!” Ed è tutta una questione di contesto. Perché dal punto di vista dell’uomo della strada, una simile affermazione poteva essere soltanto interpretata come la battuta di un’ubriaco, o al limite, l’osservazione di un qualcosa di ovvio e rinomato. Ma basta mettere quattro, cinque lacrime sopra una superficie liscia e non permeabile, per rendersi conto che non è esattamente così. A meno che detto piano di lavoro sia il metallo di una padella, riscaldata al di sopra del punto di ebollizione, un fluido giace nel suo luogo, grosso modo immobile, finché non transita immancabilmente verso un altro stato di materia. Questa è la dura legge della gravità. Mentre in quel caso specifico, meraviglia della meraviglie, sopra un vetrino privo di caratteristiche particolari, una ventina di puntini s’inseguivano e scostavano l’un l’altro, parevano dei microbi in una coltura di Pasteur. Fenomeno, questo, certamente degno di essere studiato, almeno nell’opinione del supervisore, al punto che l’intero laboratorio, negli ultimi anni, ha dedicato una parte del suo tempo alla risoluzione di questo “mistero”. La cui genesi probabilmente, soprattutto per chi ha la chimica nel sangue e nella mente, era già per sommi capi molto chiara. Ma che del resto, una volta dimostrata, approfondita e reso controllabile, poteva trovare un’applicazione nella costruzione di superconduttore o pannelli solari autopulenti. Per non parlare della cosa più importante: creare una simulazione istantaneamente comprensibile, e attraente, dell’origine stessa della vita sulla Terra.
Il nome dell’istigatore accidentale dello studio, il ricercatore ancora fresco dei suoi studi, è Nate Cira, mentre il suo supervisore di ruolo e capo laboratorio è Manu Prakash, il tipo di scienziato che, come afferma nel suo profilo ufficiale presso il sito dell’università, “lascia che sia l’istinto e la curiosità a guidarlo.” I due hanno quindi ottenuto la partecipazione di un terzo elemento, il giovane collega Adrien Benusiglio. Nel corso dei ritagli di tempo ricavati tra quelli che erano sicuramente studi dalle applicazioni più immediate, i tre hanno impugnato quindi altrettante pipette di precisione, iniziando a mettere alla prova i vari fluidi a disposizione in questo strano e nuovo sport. È importante notare che nell’esperimento originario di Cira, come anche nel video di apertura, ciascuna goccia fosse composta essenzialmente di due tipi di molecole distinte: una parte d’acqua, un’altra di glicole propilenico (1,2-propandiolo) componente basilare di molti coloranti per il cibo, medicinali e disinfettanti. Ed andava rintracciata proprio in questa commistione di elementi, essenzialmente, l’origine della questione. Perché come per l’appunto dicevamo, tutti i fluidi sono soggetti ad evaporazione, ma non tutti allo stesso ritmo. Ciò che succede quindi nella goccia “mista” è che il glicole propilenico tende a scappare via per primo trasformandosi in gas, anche a temperatura ambiente, scegliendo come via di fuga la parte bassa della goccia, dove le pareti sono più sottili. Mentre l’acqua, in conseguenza di tale tendenza, pur mantenendo un peso superiore, si ritrova in alto, generando turbolenze non indifferenti. Questo, quindi, causa il movimento. Ma non spiega la questione ancor più affascinante: perché le gocce sembrano, letteralmente, cercarsi tra di loro, o in altri casi paiono respingersi a vicenda?

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