La maledizione geotermica del paese spezzato a metà

Situato nella parte meridionale dello stato confederato tedesco del Baden-Württemberg, poco fuori la grande Foresta Nera, l’antico comune di Staufen im Breisgau non sembra avere, da lontano, alcun tipo di problema. Ma le apparenze spesso ingannano e questo luogo, legato indissolubilmente al nome del Dr. Faust, l’alchimista che aveva fatto uno sfortunato patto col diavolo, ha continuato a suo modo la tradizione d’iniziative contrarie al senso comune e al concetto stesso di prudenza; con al centro dell’intera vicenda, stavolta, la figura del borgomastro Michael Benitz, anche detto il sindaco locale, che nel 2007 ebbe l’idea di firmare il progetto per un appalto che sulla carta, sembrava straordinariamente intelligente, conveniente e moderno. Riscaldare il vecchio palazzo del municipio senza spendere un solo euro di gas, legna o altro tipo di carburante? Cos’altro vorresti dalla vita? Grazie alla soluzione della pompa geotermica di calore, ovvero alcuni profondi fori verticali, collegati a una serpentina, pensati per attingere alla temperatura naturalmente più elevata del sottosuolo al di sotto dei 6 metri. Una meccanismo che utilizzabile anche in estate per raffreddare gli ambienti, grazie all’inversione del sistema a induzione e trasferimento della temperatura. Se non che, come nel racconto popolare reso per la prima volta celebre in Europa dal drammaturgo Christopher Marlowe, prendere accordi coi signori del sottosuolo non è semplice, ed è proprio quando le cose sembrano volgere per il meglio, che le scritte in piccolo svelano il cavillo nascosto, mentre le circostanze prendono una piega oggettivamente nefasta. Tutto iniziò, come spesso càpita, con una crepa: un semplice taglio longitudinale, su una delle pareti del palazzo coinvolto, liquidato dai portavoce del sindaco come un danno “soltanto estetico” e chiaramente di poco conto. Se non che, gradualmente, lo spacco continuò ad allargarsi, iniziando a propagarsi fino ai palazzi vicini. Se avete presente il tipico paese in collina dell’epoca tardo-medievale, come ne abbiamo innumerevoli anche qui da noi in Italia, ben conoscete il modo in cui i nostri antenati amassero costruire le case l’una a ridosso dell’altra, al fine di garantirsi un maggior grado di stabilità. Soltanto che, proprio adesso a secoli di distanza, questo stile urbanistico stava rivelando la sua principale debolezza: uno dopo l’altro, gli edifici del centro storico furono raggiunti da questa ragnatela in corso progressivo d’ampliamento, compresa la stessa locanda (gasthaus) Löwen, dove secondo la leggenda Faust si sarebbe fatto accidentalmente saltare in aria, mentre tentava di trasformare il piombo in oro.
Che cosa fosse effettivamente successo in un primo momento non fu chiaro, benché l’origine e le tempistiche del problema avessero permesso di puntare quasi immediatamente il dito contro il progetto del sindaco Benitz, portato avanti con la collaborazione del governo federale e il supporto tecnico di una compagnia austriaca, la Wälderbau GmbH. Il quale, benché condotto attraverso tecnologie “allo stato dell’arte” sembrava aver tralasciato una particolare direttiva vigente nel Baden-Württemberg, che sconsigliava la trivellazione in presenza di condizioni geologiche incerte, almeno prima di aver effettuato adeguate indagini nel sottosuolo. Quando qui, a dire il vero, più che incerte le condizioni erano infide, ovvero poste in opera dal signore infernale Mefistofele in persona. Se guardi una collina da fuori, in effetti, che cosa puoi rilevare? Soltanto la sua forma, giammai il contenuto. Che in questo caso era costituito da un particolare tipo di roccia calcarea noto come anidrite, composta primariamente da solfato di calcio CaSO (4). La quale ha una caratteristica molto pericolosa: la tendenza a trasformarsi, una volta venuta a contatto con sufficienti quantità d’acqua, in comune gesso, aumentando il proprio volume di fino al 60%. Ora persino un elemento di disturbo come il nuovo impianto di riscaldamento del sindaco, in condizioni normali, non avrebbe dovuto innescare la drammatica reazione chimica in questione. Il fluido di trivellazione pompato nel sottosuolo non aveva certamente raggiunto quantità sufficienti a causare danni, mentre nessuno avrebbe certamente collegato alcun tipo di scarico ai nuovi pozzi verticali nascosti sotto il pavimento del municipio. Se non che, combinazione vincente: sotto la stesso strato di anidrite, era già presente da tempo immemore una falda acquifera dimenticata. Compressa dal peso della Terra stessa, e in attesa di null’altro che un pratico foro da cui scaturire ferocemente, in senso contrario rispetto all’orientamento della forza di gravità. Così una volta raggiunta dalla trivella, l’acqua ha iniziato a risalire l’annulus (l’intercapedine attraverso cui viene espulso il materiale di scavo) propagandosi attraverso lo strato superiore. E la città ha iniziato, incredibilmente, a salire…

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La prima regola per l’estrazione dell’uranio

Sotto il suolo del Saskatchewan settentrionale, nella parte gelida del Canada, un tesoro senza tempo né confini: il più grande giacimento mai trovato al mondo del minerale uranio. Un metallo bianco-argenteo, un tempo trasportato dai numerosi affluenti del fiume McArthur, oggi ritornati nelle viscere del mondo. Ma i suoi depositi residui, no. Terreno ben compatto, tutt’altro che friabile, rimasto in pace per generazioni. Finché nel 1988 qualcuno, finalmente, non si è armato di contatore Geiger. E giungendo presso questi luoghi, ha iniziato a udire il suono tic-tic-tic-tic […] subito seguìto dalle ruspe, le trivelle, i mezzi da cantiere della Cameco (Canada Mining and Energy Corporation) usati per costruire una delle miniere più famose, e redditizie, dell’intero panorama estrattivo nordamericano. E adesso…Chi lo sa, come funzione tutto questo? Come può essere acquisito quel segreto di un successo che parrebbe destinato a durare ancora molto a lungo, vista la riserva stimata di 1.037.400 tonnellate di U3Opuro al 15,76%, più che conforme agli standard medi del settore. Quasi nessuno, a quanto pare, fino a poco tempo fa. E adesso tutti, pressapoco, grazie all’episodio dedicatogli dall’ultra-popolare trasmissione canadese “How it’s Made” (Come è Fatto) andato in onde in dozzine di paesi del mondo. Il 360° per essere precisi, dopo due segmenti dedicati rispettivamente agli endoscopi ed ai megafoni, rigorosamente pubblicati con intento divulgativo sul canale YouTube dello show. Ma qui andiamo oltre la semplice curiosità relativa alla produzione dei principali oggetti di uso quotidiano… Qui si sta svelando uno dei processi più importanti dell’energia contemporanea, destinato a diventarlo sempre di più con l’esaurimento dei carburanti fossili e il ritardo nell’adozione delle rinnovabili, mentre la civilizzazione tenta di aggrapparsi disperatamente alle ultime risorse del pianeta Terra. Scegliere di sfruttare un tipo d’energia piuttosto che un altro, in questa chiave d’analisi, diventa futile, semplicemente perché prima del momento finale, tutto dovrà essere trasformato e metabolizzato, pena orribili conflitti per accaparrarsene il controllo. Il ritrovamento dell’uranio, più che una gradevole sorpresa, è un impegno ed un dovere. Che presuppone un’ampia serie di processi ingegneristici più che mai collaudati.
La miniera di McArthur River funziona ha trovato i suoi ritmi grazie all’impiego di un processo di lisciviazione, ovvero separazione chimica, tramite l’impiego di sostanze acide corrosive, della roccia attentamente sminuzzata e trasportata fino ad un impianto di lavorazione non troppo distante. Ciò è conforme ai metodi impiegati in molti altri siti. Ma è l’estrazione in se, a trovarsi connotata da un procedimento assai particolare: l’AGF, o Artificial Ground Freezing, che consiste nell’inserire una serie di tubature nell’area soggetta a trivellazione in una sorta di griglia tridimensionale, collegati ad un impianto refrigerante di superficie. All’interno dei quali, quindi, vengono pompate grosse quantità d’acqua salata (che non può congelarsi) a -25, -35° C con la finalità di compattare e rendere meno cedevole il terreno. Tale approccio, considerato una best practice di qualsiasi miniera sotterranea, ha qui costituito la base degli svariati riconoscimenti ricevuti dalla Cameco per l’attenzione dimostrata nel ridurre l’impatto ambientale. Il raffreddamento del suolo infatti, oltre a renderlo più facile da lavorare, impedisce la circolazione delle falde acquifere filtranti e la loro conseguente contaminazione. Una volta completato tale passaggio per ciascuna nuova zona da trivellare, attraverso una fase che può anche durare svariate settimane di duro lavoro, si trasporta in posizione uno dei trapani più grandi che abbiate mai visto. Il quale, da un passaggio superiore al giacimento, inizia a realizzare quello che viene convenzionalmente definito il “buco pilota” un pertugio destinato a trapassare, come la lancia di un eroe medievale, l’area giudicata sufficientemente radioattiva, prima di sbucare in un’ampia area di lavoro sottostante. Alla colonna di perforamento, quindi, viene attaccata una punta del tutto diversa, definita reamer, molto più larga e con protuberanze metalliche nelle sue parti laterale e superiore. Essa viene quindi trascinata nuovamente verso l’alto, spaccando la pietra e lasciandola cadere fragorosamente verso il basso, dove una serie veicoli comandati a distanza la raccolgono e trasportano fino al segmento successivo della filiera. Nel corso dell’intero processo lavorativo, nessun essere umano viene in contatto con l’uranio radioattivo, garantendo quindi il più alto grado di sicurezza procedurale. Si passa, a questo punto, alla vera e propria fase di sminuzzamento…

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È quasi pronta la nave più grande del mondo

FLNG Prelude

Nel mare a largo della grande città sudcoreana di Busan (oltre tre milioni di abitanti) c’è un arcipelago di isole, tra cui la più grande ha nome di Geoje. Disseminato lungo gli spazi affioranti a disposizione, in una serie di insediamenti relativamente indipendenti, si sviluppa l’omonimo centro abitato, ricco di attrattive turistiche e beni storici attentamente preservati, tra cui diverse fortezze delle vecchie dinastie Silla e Joseon. Nonostante questo, nella mente di chi ha conosciuto tali luoghi, niente li caratterizza maggiormente che una singola ed enorme impresa dell’industria moderna: la costruzione di natanti. Perché qui hanno sede le Samsung Heavy Industries, di proprietà del più grande conglomerato coreano, che noi conosciamo pressoché soltanto per l’elettronica di consumo, ma il quale ha in realtà il potere economico, e la capacità produttiva, di una piccola nazione. Doti certamente necessarie, all’apparenza, per l’impresa di creare una spropositata città galleggiante, su progetto della multinazionale olandese Shell, ma con rilevanti partecipazioni dei gruppi INPEX, (17,5%) CPC (5%) e KOGAS (10%). Il suo nome è FLNG Prelude, e dall’ormai distante 2012 in cui ha preso il via la sua effettiva messa in opera, sta sfidando l’immaginazione. Con una lunghezza di 488 metri, supera di molto quella delle portaerei statunitensi di classe Nimitz (331) e addirittura si estende oltre l’altezza degli iconici grattacieli gemelli delle Petronas Towers di Kuala Lumpur (451). Il suo peso a pieno carico inoltre potrà raggiungere le 600.000 tonnellate, circa sei volte quello della portaerei. Questo perché sopra il suo scafo a doppio compartimento, largo 74 metri, troveranno collocazione l’intera serie di macchinari di un impianto per la liquefazione dei gas naturali, utile a comprimerne l’ingombro per il trasporto su scala globale. Un tipo di struttura che normalmente comporta un impatto ambientale assolutamente impossibile da trascurare, mentre questa soluzione offre flessibilità, riduce le possibili tensioni socio-politiche, permette il reimpiego dei macchinari a seguito dell’esaurirsi di un particolare giacimento. Ma soprattutto, è perfetta per essere spostata in quei luoghi ricchi di risorse chimiche a largo delle terre emerse, che ci sono noti ormai da tempo, ma i quali risultavano troppo lontani e quindi impossibili da sfruttare con i metodi convenzionali. In questo, la nave in questione costituisce l’espressione chiara e lampante dell’imminente esaurimento di tutto ciò che abbiamo sfruttato fino ad ora, con l’industria di settore che deve ricorrere a nuovi metodi per irrorare il mercato. È dunque pur sempre possibile che si palesi, nel corso delle prossime generazioni, il classico quanto temuto scenario che vede l’immediata cessazione dell’attuale stato di grazia, in cui tutti si spostano con mezzi di trasporto personali, le città possono permettersi d’illuminarsi per tutta la notte. Ma non tanto presto, non prima dell’esaurimento delle riserve nascoste sotto al bacino di Browse, a 200 Km dalla costa dell’Australia. In tale luogo dovrà essere posizionato, infatti, questo impressionante gigante dei mari, a partire dal giorno del suo imminente completamento, per andare a risucchiarne il prezioso contenuto per un tempo stimato di 20-25 anni.

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Come allungare una trivella

Drilling Rig

Quella problematica realizzazione che anche se il telecomando, posto sopra il tavolino del salotto, è tanto vicino da poter leggere i numeri che contrassegnano i pulsanti, non c’è modo di raggiungerlo senza lasciare la comodità del mio divano. Che ha portato la persona ad inventare un tipo nuovo di strumento: come una sorta di tubo telescopico, con la pinza sull’estremità, controllato da un sistema di tiranti collegati ad una leva. Sono molte, le diverse situazioni che richiedono l’impiego di quello che si definisce in gergo un lungo-arnese: raccogliere lattine vuote dal selciato. Grattarsi la schiena verso l’ora del risveglio. Rubare le monete dai distributori delle merendine. Scavare quasi due chilometri giù nel profondo della crosta del pianeta, fin quasi ai margini di un ricco giacimento di gas o petrolio, soltanto per scoprire che non è possibile scendere oltre. Totalmente impraticabile, non importa quanto sia potente il meccanismo di cui disponiamo: semplicemente, si è esaurita la lunghezza della somma tra il nostro string (la lunga  colonna che collega l’asta di trivellazione al suo motore, ovvero il rotary table) ed il bottom hole assembly (il macchinario che traduce il movimento rotatorio in un effettivo gesto di perforazione). A questo punto, fin dai primi timidi pozzi scavati durante la dinastia cinese dei Song in cerca del prezioso minerale del sale, esistono due strade contrapposte: 1 – Decidere che si è fatto abbastanza, accontentarsi del guadagno già ottenuto, estrarre il meccanismo e muoversi per ricercare la fortuna altrove. 2 – Allungare la trivella. È inutile specificare come quasi tutti, quando possibile, scelgano la via numero 2.
Il concetto era evidente già nell’aspetto esteriore del meccanismo in questione: ecco una struttura, di quelle che abbondano sui punti d’estrazione controllati dalle grandi potenze nazionali, fatta in travatura reticolare di acciaio e visibilmente rastremata verso la sua sommità. Quest’ultima caratteristica in effetti, pensata per massimizzare la sua stabilità, più che per costruire l’aggraziata approssimazione di una piccola e isolata Tour Eiffel. Con sotto di essa un buco verticale, stretto e scuro, di molte volte più profondo dell’altezza contrapposta del dispositivo. Si chiama derrick, questo edificio tanto insufficiente in linea di principio. Non è naturale che il sistema sia fondato su una serie di prolungamenti? Si, naturalmente ci avevamo già pensato, il petrolio è ben nascosto dagli strati di terra, pietra ed altri materiali che si sono accumulati nei millenni. Ma non è che l’effettiva procedura d’innesto e allungamento, in effetti, possa dirsi particolarmente nota, soprattutto fuori dal settore degli operatori rilevanti.
A meno che non si continuino a divulgare, responsabilmente ed in preparazione di un’eventuale apocalisse energetica omicomprensiva, video come questo di CalculatedRiskFilms. Un canale specializzato in contenuti adrenalinici e spregiudicati, che qui s’impegna a dimostrarci come occorra un bel coraggio, oltre ad un’ottima coordinazione di squadra, per giungere infine a quel succo che sostiene la cittadinanza e i suoi veicoli, fa funzionare in larga parte i nostri “irrinunciabili” dispositivi. Per il resto, tutto ok.

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