L’inciampo internazionale del “topo” che si lava

Era tutto iniziato in maniera piuttosto innocua: affiorato tra le onde agitate dei social network, l’ennesimo video più o meno simpatico raffigurante un animale. Un grande “topo” o “ratto” che dir si voglia, per una volta ripreso in video in un luogo diverso dalle strade di Roma Capitale, lontano dai soliti cinghiali, gabbiani e ippopotami tiberini. Bensì in posizione eretta su due zampe, all’interno di un lavandino di metallo, completamente ricoperto di sapone, mentre si strofina energicamente lo stomaco, le ascelle e la schiena. “È una scena molto divertente, perché il roditore sembra muovere le sue zampe anteriori esattamente come si trattasse di un umano” Hanno dunque convenuto le insigni menti del web, facendo i soliti commenti del caso, a partire dal profilo originario di nazionalità, a quanto pare, peruviana. Pensate che persino il profilo Facebook del Ministero dell’Energia Cileno, facendosi disegnare la buffa creatura da un’agenzia pubblicitaria, l’ha usata per lanciare un messaggio di utilità sociale: “Non fate i topi, risparmiate l’acqua corrente. Il nostro mondo vi ringrazierà.” Come nel caso di innumerevoli simili spezzoni, tutti sembravano uscirne felici e contenti, incluso il protagonista peloso ed almeno per il momento, piacevolmente profumato.
Nel giro della scorsa settimana, tuttavia,  tra un articolo e l’altro, ha iniziato a serpeggiare un oscuro sospetto. Possibile che il dentone non fosse affatto consenziente? Partendo da questo presupposta, ad una delle testate di più larga fama che hanno pensato di trattare il caso (o per meglio dire, hanno avuto una giornata particolarmente lenta nel flusso delle notizie da pubblicare) è venuto in mente d’interrogare l’esimio Prof. Tuomas Aivelo, ricercatore di biologia dei topi presso l’Università di Helsinki in Finlandia. Il quale ci ha rivelato, senza un attimo di esitazione, la terribile verità: “Il povero topolone non si sta lavando! È stato ricoperto di un sapone per lui irritante, e tenta disperatamente di toglierselo con le sue piccole ed agili mani. A meno che l’animale sia caduto spontaneamente in una vaschetta di shampoo, l’ipotesi possibile è una soltanto: si tratta di un palese  gesto di crudeltà a fine d’intrattenimento” La rabbia del grande pubblico è stata quasi istantanea. Anche questo è un possente e reiterato stereotipo del Web: una sorta di senso di colpa collettivo, a cui segue la carica degli abitanti del villaggio armati di torce e forcone (avete presente Frankestein Jr. di Mel Brooks?) verso gli ignoti che li hanno “ingannati” presentando come buffo un qualcosa che, in realtà, era tutt’altro che questo. In poche ore quindi, il sito del Ministero dell’Energia Cileno è stato inondato di insulti, spesso orribilmente feroci, verso lo sfruttamento istituzionale di un povero animale indifeso. Molti dei partecipanti alla discussione, apparentemente, erano persino convinti che il video originale fosse in effetti stato prodotto dal governo, magari all’interno di qualche orribile laboratorio per il lavaggio-dei-topi. Piuttosto che subire passivamente l’assalto, tuttavia, al community manager governativo venne l’idea di pubblicare un secondo video, per chiarire un po’ l’astrusa questione. Si tratta della scena che potete trovare in apertura a questo post: un “topo” del tutto simile a quello della scena incriminata, si trova sul tavolo di un bar con una borsetta a tracolla, mentre alcune persone lo accarezzano e discutono in lingua spagnola del suo aspetto strano ed in qualche modo grazioso. La prima cosa che colpisce sono le dimensioni: la creatura dall’aria assonnata e pacifica, un esemplare stavolta adulto, non è in effetti per nulla comparabile al comune ratto domestico, vantando una massa decisamente considerevole, pari a quella di un cane di taglia medio-piccola (10-15 Kg). Ma ciò che il Ministero dell’Energia incoraggiava sopratutto a notare, era la sua gestualità: l’animale, anch’esso in posizione assolutamente bipede, muove infatti in maniera continua le sue piccole mani, strofinandosi lo stomaco, le ascelle e la schiena. E non importa quanto si tenti d’osservare approfonditamente il video, in esso non compare la benché minima traccia o lacrima di sapone…

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Il dedalo dei topi che resistono alla vecchiaia

Trentuno milioni e mezzo di anni fa, l’antenato comune di tutti i roditori dell’Africa subsahariana viveva tra le erbose pianure grossomodo corrispondenti alle odierne nazioni di Kenya, Somalia ed Etiopia. Era un’esistenza massimamente esposta all’insorgere d’imprevisti e che per questo, tutti concordavano avesse parecchi lati negativi. In primo luogo, predatori di tutte le dimensioni amavano pasteggiare con questi pacifici masticatori d’insetti e materiali per lo più vegetali, facendone il più delle volte un singolo boccone. C’era poi il problema dei mesi estivi, durante i quali il sole batteva con una furia implacabile, cuocendo letteralmente i piccoli esseri all’interno del loro pelo. Una particolare tribù di questa famiglia iniziò, dunque, a diventare progressivamente sempre più glabra, una generazione dopo l’altra. La loro delicata pelle rosata, tuttavia, tendeva adesso ad ustionarsi, costringendoli a prendere una scelta difficile. Essi iniziarono, qualche millennio dopo, a vivere sottoterra. Senza più luce sufficiente a guardarsi attorno, i loro occhi si atrofizzarono, diventando piccolissimi. Anche le loro orecchie persero d’efficienza. Ma sul corpo comparvero, grazie a una proficua mutazione, una certa quantità di lunghe vibrisse, in grado di percepire in maniera tattile le pareti di un tunnel. Per scavare i quali, incredibilmente, i loro denti incisivi iniziarono a crescere in senso diagonale, completamente fuori dalla bocca. Di certo se l’evoluzione fosse un processo che funziona un poco alla volta, sperimentando prima l’effetto di un singolo tratto, quindi modificandone un altro in sequenza, l’Heterocephalus glaber o ratto-talpa africano sarebbe un prodotto del più remoto futuro. A tal punto esso è diverso, in ogni suo singolo aspetto, dai suoi parenti superstiti di questa Terra. Ma la realtà è che più estremo ed insolito è l’ambiente in cui una creatura si ritrova a vivere, maggiormente questo modificherà l’aspetto e le caratteristiche dei suoi figli. E dei figli dei suoi figli… Attraverso un susseguirsi di generazioni, meno, tuttavia, di quanto si potrebbe essere portati a pensare.
Immaginate un essere umano che vive 600 anni. Un remoto erede del biblico Matusalemme, per cui non soltanto le malattie non hanno nessun significato, ma la rigenerazione continua del DNA cellulare si è svolta con una tale efficienza, che il suo corpo è rimasto perfettamente efficiente fino all’ultimo giorno di vita. E con questo non intendo, che ci vedeva ancora bene o riusciva a camminare senza assistenza, ma che avrebbe potuto correre il Giro d’Italia e di Francia o una qualsiasi maratona, con prestazioni comparabili o persino superiori a quelle di un giovane nel fiore degli anni. Come avviene per i piccoli animali, la cui esistenza in cattività è stata dimostrata fino all’età di 35 anni, che vivono fino a 7 volte tanto il roditore medio, grazie a una serie di processi biologici del tutto unici, nel mondo dei mammiferi o altrove. Secondo alcune teorie tra l’altro, in assenza d’incidenti e con una documentazione più antica, si potrebbe arrivare a dimostrare una longevità potenziale di anche due, o tre volte superiore. Ora capirete perché lo studio di questo bizzarro essere, che nonostante il nome non è un ratto e neppure una talpa, ha occupato una percentuale sensibile delle carriere di molti studiosi del processo d’invecchiamento umano. Rintanato nelle sue gallerie segrete, in affollate colonie di fino a 300 esemplari (ma circa 60-70 in media) l’Heterocephalus ha raggiunto una sorta di stato di grazia, una condizione verso la quale, per quanto ne sappiamo, la biologia non ha alcun interesse ad aspirare. In quale maniera, infatti, una sopravvivenza più prolungata dei singoli individui dovrebbe assistere la sopravvivenza di una specie? Questa è una domanda a cui la logica offre più risposte, a dire il vero, degli studi statistici o la scienza applicata. La realtà dei fatti, tuttavia, è sotto gli occhi di tutti. E c’è anche un’altra dote speciale, nel carnet di costoro, di cui vorremmo impadronirci il prima possibile: l’abilità di resistere all’insorgere di qualsiasi tipo di tumore. Ma un simile approccio alla questione, forse, può trarre in inganno: il ratto-talpa non può guarire dal cancro. Molto più semplicemente, il suo organismo non ha la “capacità” di svilupparlo. Qualcuno potrebbe affermare che alle origini della sua esistenza, gli sia riuscito in qualche modo a sfuggire a una grande maledizione…

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Il morso del topo che avvelena i serpenti

Gli strani casi della vita hanno la tendenza a verificarsi nei momenti e modi più inaspettati, modificando le aspettative e gli esiti di un intero semestre. Così accadde, nell’ottobre del 2016, che nel principale liceo del distretto scolastico di Fort Cherry, nello stato della Pennsylvania, gli studenti e i professori iniziarono a lamentare uno strano odore. Riconoscendolo subito come quello di una muffa o infiltrazione d’acqua, la sovrintendente locale ordinò la chiusura temporanea dell’istituto, per procedere a una perizia che aprisse la strada a seri interventi di manutenzione. Ma l’azienda specializzata, contattata in quell’occasione, non rilevò alcun reale segno del problema. Passando quindi alla seconda causa più probabile, fu chiamato uno sterminatore, che disseminò l’edificio di trappole per roditori. Trascorsi diversi giorni, tuttavia, fu necessario venire a patti con la realtà: nemmeno un infiltrato abusivo era stato preso. A quel punto le aule furono svuotate. Gli scaffali della biblioteca spostati da una parte. Furono esplorati armadi, cantine, condotti di scarico e d’areazione. Finché ad un certo punto, illuminando con la torcia un pertugio particolarmente remoto, non venne scoperta l’effettiva fonte dell’indesiderato aroma: la saliva presente in un nido creato tra la polvere e le sterpaglie. L’inconfondibile casa dell’unico mammifero velenoso del Nord America.
Come un Alien nella nave spaziale, vorace e aggressivo, ma piccolissimo (14 cm max) e molto, molto più prolifico della più temibile creatura della fantascienza cinematografica. Che sembra a tutti gli effetti un topo, benché appartenga piuttosto alla classificazione degli Insectivora e non presenti, in funzione di questo, i caratteristici denti incisivi fatti per sminuzzare. Sostituiti da 32 minuscole zanne quasi perfettamente identiche, ideali per ghermire le prede ed intrise di una tossina, la kallikreina, in quantità sufficiente per uccidere un gatto o un cane. Il toporagno settentrionale dalla coda corta (Blarina brevicauda) è una vera e propria curiosità biologica, poiché si tratta dell’unico appartenente alla sua famiglia che sembra in grado di rendere giustizia alla prima parte del nome italiano, risultando effettivamente in grado di paralizzare e ghermire prede molto più grandi di lui. Nonostante l’aspetto inoffensivo e grazioso, si tratta di un ferocissimo predatore, che pur preferendo inerentemente gli insetti, non disdegna di catturare vermi, talpe, salamandre e topi. Può inoltre stordire con il suo morso le lumache, che quindi intrappola a tempo indeterminato nella sua tana, in qualità di spuntino da consumare nei periodi di magra. Il Brevicauda, nel frattempo, soprattutto in funzione della sua dimensione particolarmente ridotta, costituisce a sua volta una preda d’innumerevoli altre creature, quali canidi, mustelidi, uccelli rapaci, corvi… E ovviamente, serpenti. Per i quali tuttavia, come testimoniato dal breve segmento di documentario riportato qui sopra, non va sempre bene. Saremmo portati a pensare, effettivamente, che il rettile oblungo possieda l’assoluta posizione di predomino nel confronto con una creatura apparentemente inerme come un minuscolo toporagno. Ma la realtà è che il sussurratore del frutto dell’Eden, pur potendo contare sull’attacco fulmineo ed il morso immediatamente letale, qualora dovesse mancare tale assalto, sarà letteralmente inerme contro la furia del suo nemico. Un serpente non è per niente agile ed inoltre, non può strisciare all’indietro. Tutto quello che deve fare Mr. Shrew, dunque, è girargli attorno e mordergli la coda, lasciando che la sua saliva penetri nella ferita. A quel punto, gradualmente, il mostro scaglioso resterà paralizzato. E il toporagno inizierà a mangiarselo vivo.
Per quanto concerne invece la navigazione e ricerca di cibo, un’attività che occupa la maggior parte delle sue ore serali e notturne in funzione del metabolismo iperveloce, Brevicauda sfrutta un altro artificio che lo distingue in maniera significativa dai suoi parenti più prossimi. Si potrebbe effettivamente pensare che esso, in qualità di animale sotterraneo dalla vista molto poco sviluppata, possieda almeno un ottimo olfatto. Mentre in effetti, il suo naso non è particolarmente efficiente. A differenza dell’udito, per non parlare dell’acutezza del suo verso, simile ad un click ripetuto a intervalli regolari. Capite a cosa stiamo arrivando? Questo è un animale che trova la strada grazie allo strumento dell’ecolocazione, in maniera non dissimile dai pipistrelli. Ora iniziate a capire, davvero, la vertiginosa profondità della sua stranezza…

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L’agghiacciante battaglia dei ratti di Hanoi

Sapete qual’è stato il problema fondamentale del colonialismo? Che non ha importanza quanto una potenza occidentale pensasse di stare “aiutando” un popolo tecnologicamente disagiato, o di fornire assistenza nella stabilizzazione di un potenziale conflitto politico all’orizzonte; ogni singolo gesto, ciascuna infrastruttura edificata costituiva essenzialmente un’imposizione, mirata alla manifestazione di un’immagine ideale che non faceva mai parte, e come avrebbe potuto… dell’ordine naturale della Storia. Così a guardarla, la splendente capitale dell’Indocina francese all’inizio del secolo scorso, vi sarebbe sembrata l’immagine della salute: la zona vecchia delle 36 strade risalente all’epoca della dinastia Nguyễn, con i suoi templi e mercati, i grandi palazzi bianchi del quartiere europeo, la scuola di medicina, un sistema di strade ampie e dall’altro grado di razionalità. Ma al di sotto di questa patina d’equilibrio, oltre i petali del grande fiore, dietro lo stelo, e in mezzo alla terra, già germogliavano i semi del più terribile disordine che la mente europea potesse anche soltanto provare ad immaginare. Nessuno dimenticherà l’orrore, alla presa di coscienza della verità… Che per i circa 150.000 abitanti visibili, accorsi dalle campagne per beneficiare dell’opulenza e i servizi edificati dagli stranieri, ce n’erano all’incirca sei volte tanti, appartenenti alla vecchia guardia, ovvero operanti al di fuori dell’ordine costituito. Esseri striscianti oppure volanti, brulicanti, creature dell’ombra e dell’umidità tropicale, che qui abitavano molto prima degli umani. E che milioni di anni dopo la loro inevitabile scomparsa, saranno di nuovo i signori dell’intero Sistema Solare.
Costituisce una pesante verità di ogni epoca, il fatto che al di sotto di determinate latitudini, la convivenza in grandi comunità di tipo urbano tende a diventare più complessa. Questo perché all’equatore sussistono determinate condizioni climatiche ed ambientali, per cui insetti, rettili velenosi, germi e portatori di germi prosperano più che mai, moltiplicandosi molto più di quanto sia possibile farlo per noi presunti padroni del fuoco e degli elementi, i quali a ben poco servono, quando contrai il colera, il tifo o la peste bubbonica, finendo a patire tra le lenzuola mentre già esse iniziano a trasformarsi in sudario. Ecco esattamente cosa aveva in mente il radicale Paul Dormer, funzionario politico e futuro primo ed unico presidente della Francia ad essere assassinato con un colpo d’arma da fuoco (caspita, quale onore!) quando era giunto in questo luogo ameno nel 1897, in qualità di Governatore Generale dell’Indocina, con un preciso progetto di miglioramento: rendere Hanoi, un po’ come Parigi. Non nel senso della cultura e delle dinamiche sociali, proposito in cui chiunque avrebbe fallito, ma per quanto concerneva l’ordine costituito: sotto il suo rigido ma giusto governo, sarebbero stati completati il ponte di Long Bien, la ferrovia, imposte tariffe sull’importazione dell’oppio e sarebbero stati incrementati i commerci con l’Europa. E poi, si sarebbe portato a coronamento il progetto per le moderne fogne cittadine, un vero punto d’orgoglio in quell’epoca, soprattutto nei remoti territori dell’Asia meridionale. Una cosa… Buona, giusto?
Più o meno. Il problema, semmai, era una questione di disparità civile laddove in effetti, sarebbe stato meglio ricercare l’equanimità. Perché nelle zone abitate dall’elite europea, patria operativa di funzionari, commercianti e ricchi industriali, il sistema dell’acqua corrente e dello smaltimento funzionava in entrambi i sensi e secondo i migliori crismi della tecnica disponibili allora. Mentre per quanto concerneva tutto il resto del centro abitato, era stato giudicato sufficiente un semplice sistema di drenaggio che scaricava nel Petit Lac, il lago sacro legata alla leggenda di un antico guerriero (vedi la fine di questo precedente articolo per la storia della sua tartaruga). Il che significava che nei periodi di molta pioggia, il reflusso fuori dai tombini era qualcosa di assolutamente indescrivibile, che riportava tutto quanto era stato inviato a perdersi sotto gli occhi degli abitanti, assieme a qualcosa di nuovo ed ancor peggiore: migliaia di esseri pelosi e squittenti, che correndo per le strade, andavano a nascondersi nelle intercapedini dell’inconsapevole società. Ora, la popolazione degli occidentali era naturalmente propensa ad ignorare questa spiacevole situazione, considerandola un male endemico di questo luogo essenzialmente incivile, associandola alle condizioni “poco salubri” dello stile di vita vietnamita. Se non che proprio i meravigliosi chilometri di fogne, fresche ed umide, giunsero a costituire un’autostrada da sogno per i roditori, dando luogo alla loro comparsa sempre più frequente nella splendente ville européenne, e persino qualche primo timido caso di peste bubbonica, possibile anticipo di un disastro privo di precedenti. Fu così che il governatore Dormer, dopo attenta pianificazione, assunse una quantità imprecisata di sterminatori tra la popolazione locale. Era il 1902, quando ebbe inizio la grande battaglia dei ratti di Hanoi.

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