Il panino fantasioso del cenciaio

PES Sandwich Submarine

Uno strano ristorante. Se così si può chiamare: sugli scaffali, dietro la vetrina, campeggiano prosciutti variegati. Ma l’unico odore che si può percepire, tutto attorno, è quello del cuoio lavorato, un po’ di polvere, i calzini usati. Totalmente delizioso! Alla vista, per lo meno e poi c’è scritto: “City’s Finest” (products) COOKED MEAT, SLICED BACON. Quindi chi saremmo noi, per mettere in dubbio una tale eloquente dicitura? Così è, se ci credi. E lui, il creatore di cortometraggi in stop-motion dal nome d’arte di PES, non solo ne è totalmente convinto, ma riesce ad operare un’illusione che trascina pure noi. Come se fosse realmente possibile, camminando per New York, ritrovarsi all’angolo tra un boulevard e un’avenue. Dinnanzi ad una Porta; laddove un tempo, in bilico tra due diverse guerre, approdarono i nostri quasi-nonni italiani, per fondare nuove tradizioni. Dimostrando che si, il sogno americano si poteva veramente palesare, almeno a chi avesse un bel cappello bianco, la valigia di cartone e un’ottima visione alimentare. Il prodotto, quando è buono, vende. Ed il prodotto più buono di tutti è certamente questo…
Si comincia, per l’appunto, dallo sport. La ricca salumeria del luogo in questione, con parecchia voglia di giocare, può vantare un’ampia gamma di “cibarie”: tutti quei palloni, curiosamente già tagliati a metà (non è certo questo, il primo panino di giornata!) Nonché qualche paio d’implementi utili a colpire, ad afferrare: i guantoni. Subito portati fino alla sapiente affettatrice, quelli tipici da boxe, di un rosso scuro che conduce a bei ricordi. Le arene gremite, i vasti stadi, le luci splendide dei riflettori; uno, due, tre passaggi – Flies like a butterfly, stings like a bee. Ed ecco palesarsi, all’altro lato della macchina…Centrini rosa? Possibile? Vallo a capire! Poi ricordati che sei soltanto al primo strato. Ti aspettano molte sorprese.
Submarine Sandwich: il panino sommergibile. C’è almeno una leggenda, sull’origine di questo nome che costituisce una chiara metafora, in uso multi-generazionale da una costa all’altra degli Stati Uniti. Si dice che Dominic Conti (1874–1954) fosse sbarcato, come tanti suoi connazionali, presso l’isolotto di Ellis Island, e poi da lì nella famosa Grande Mela. Dove, operando ed investendo, come sapevano ben fare gli emigranti della nostra terra (e non soltanto loro) lui apriva un grocery store (negozio di alimentari) proprio nel New Jersey. Presso cui metteva in vendita, quotidianamente, i suoi panini ancora senza nome. Finché un giorno del 1925 fu fondato il Paterson Museum di 2 Market Street, dove c’era in mostra, tra gli altri reperti bellici e industriali, un vecchio sommergibile del 1901, il Fenian Ram, con la tipica forma a siluro dei cartoon. Lui lo vide e subito lo riconobbe: era proprio come un ottimo panino, quella cosa lì. E viceversa, mamma mia!

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Una tenzone di pupazzi battaglieri

Saber stop-motion

Strano campo di battaglia: la scena si svolge nella sala hobby di Counter656, in Cina, tra le numerose scatole variopinte e i residui di altrettanti modellini di aeroplani, carri armati e piccoli robot. C’è King Arthur, redivivo/a. Come pure Ex-caliburn, estratta dalla pietra e immersa nelle fiamme della guerra. Il re dei probi e dei sapienti e la regina delle spade, la cui lama risplendeva come una meteora tra le tenebre delle barbarie, forgiata e riforgiata nell’ardore dei cavalieri, temprata nel cocente sangue dei nemici. L’arma tecnologica di colui che fu invincibile nella memoria. Anche dopo la sua morte. Trasfigurato cento volte, ricreato tra le pieghe delle epoche diverse, fino a questa bionda ed attraente (re)incarnazione, fatta con la plastica, però animata. Saber, ovvero la Sciabola, come scelse di chiamarsi la fanciulla, vista la tendenza tipica dei giapponesi all’approssimazione conveniente. Soprattutto nell’impiego di stilemi provenienti da lontano, guarda caso! Approccio tanto pervasivo, questo, da poter portare a confondere, almeno a parole, la più diritta e celebre delle spade lunghe europee con quella curva, ovvero l’arma simbolo di una cavalleria di tempi molto successivi. E da decidere, se ci sta bene anche solo un minimo, che il Re per eccellenza, principio della massima virilità, possa e debba cambiar sesso. E si è trattato di un’idea magnifica nel suo contesto specifico, in realtà. Davvero! Che proviene, per inciso, dalla serie di romanzi digitali e manga Fate/Stay Night della Type Moon, successivamente riadattata per i media ludico interattivo e dei cartoni animati, ciascuno valido, a suo modo, per indurre verso la creazione di copioso merchandising. Tra cui figurine come queste, perfettamente articolate. Le action figures, numi tutelari dei nostri giorni. Guardiane delle mensole, abitatrici delle vetrinette, eroine di vaste battaglie immaginarie, lunghe ed ardue cerche, duelli fra gli appartenenti a mondi differenti. Questa, soprattutto, è la natura dei nostri giochi e passatempi; mescolare, ricombinare i presupposti. Finché non si apparecchiano, sui nostri tavoli, diversi modi di vedere il mondo. Ed a quel punto, non può esserci più pace alcuna.

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La verità nascosta dietro la corteccia

Wood Grain

Chissà come mai non ho tagliato un fusto d’albero, né l’ho fatto poi a dadini. Per prendere ciascuno dei frammenti risultanti, metterlo sul tavolo e passarci su la pialla con un gesto ripetuto, al fine di ottenere…Fogli, anzi, figli, di un’idea. La prova inconfutabile che l’universo ha un ordine preciso. Chiamatela, se volete, la forza del metodo scientifico. Distruggere per studiare. Il problema delle cose è che guardandole dall’esterno, senza troppo approfondire, paiono caotiche, disordinate. Una foresta, in quanto tale, è il sovrapporsi senza senso di duemila teste vegetali, l’una a ridosso dell’altro, tutte intrecciate con i rami nel rigoglio di una grande confusione. Pini e querce e faggi e abeti, attentamente alternati, affinché soltanto gli uccelli silvani potessero capire il nesso basilare di mescolamento. Ci hanno provato in molti, a sbrogliare questo enigma e l’ultimo, per certi versi, ci è riuscito. Guardate. Keith Skretch, artista visuale, ha avuto la trovata davvero interessante di ridurre in molte fette un legno precedentemente vivo, fotografando quindi ciascuna delle risultanti lamine, per montarle in sequenza, l’una dopo l’altra, attraverso la tecnica dello stop-motion. Il risultato è molto bello. Il risultato è sconvolgente. In un vortice di linee, la tempesta ordinata dei cosiddetti cerchi d’albero (provate un po’ a contarli!) Compaiono fulmini trasversali e crepe longitudinali, nere come nebulose. I nodi, prolungamenti interni di perduti rami, migrano, con il procedere del video, verso i margini dell’inquadratura. Se abbastanza grandi, sembrano pianeti, che si rincorrono per spazi cosmici dimenticati. Dal centro di essi, irradiandosi al ritmo incalzante di una colonna sonora attentamente selezionata, lampi frastagliati si separano e scappano via. Sono, questi ultimi, le astronavi esplorative spedite contro l’aloclino, o linea di demarcazione, tra il durame e l’alburno, parti rispettivamente interna (dura) ed esterna (morbida) del tronco. Mezzi immaginifici, di spiriti invisibili. Meccanismi proprio come i nostri. In alternativa, tutto questo turbinare è invero affine ai vortici che si rincorrono sulla rossastra superficie del pianeta Giove, antichi e grandi quanto la nostra azzurra Terra. Via Lattea > Sistema Solare > pianeta > tronco e poi?
Viene voglia di caderci dentro. Per comprendere, da un tale microcosmo, la ragione primigenia in base a cui il piccolo riprende il grande, comunque, in un rincorrersi di proporzioni e aspetti sempre uguali. Già questo, senza considerare le altre nascoste corrispondenze, tra loro, le piante e noi, umani. Rese manifeste da questa seconda testimonianza video…

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L’astrusa visione dei muppet smarriti nel tempo

m Scared II

Due anni e mezzo fa, seduti al tavolo transdimensionale dell’inquietudine psichica, in una cucina tristemente gioiosa, l’uccello verde, l’omino col ciuffo blu ed un serafico mostro peloso ebbero a dire, sul finire del giorno: “Basta, noi non saremo mai più creativi”. Il portale dell’altro-mondo si chiuse, allora, per un tempo indeterminato. Giusto quest’oggi tuttavia, per un singolo attimo di distrazione, tale promessa è finita in frantumi. Lo stesso abisso dell’incongruenza era lì ad aspettarli, sconfinato. E come nel primo documentario animato Don’t Hug Me I’m Scared, se li è divorati. Eppure! Ne sarà valsa la pena? Vediamoli un po’. Sono cambiati, ma restano uguali.
C’è sempre dell’assurdismo di fondo o una sottile vena surreale, per varie ragioni, nel tipico show didattico per bambini. I Teletubbies, con le loro TV cybernetiche, neuralmente connesse per vie craniche/occulte, erano la totale personificazione del concetto di immagine didascalica. Il violaceo dinosauro Barney, quel vivido ma troppo allegro fossile ballerino, amava la metrica, solo perché insegnava la matematica. Per non parlare di Sesame Street, l’interminabile, inesauribile crogiolo d’ogni possibile creatura fantastica o d’illusione. Vampiri che raccontano l’alfabeto; lepri eloquenti; maiali canterini; cavernicoli divoratori bluastri di biscotti cioccolatosi; Kermit e la sua cricca, ovvero: la rana, gli altri pazzoidi pupazzi. Visti da piccoli, simili mostriciattolini, catturano l’attenzione e i lunghi minuti, stimolando (in)utilmente la fantasia. Oggi invece risultano… Strani. Senza casa, né madre, né padre. L’assenza di contesto è un concetto impossibile, a ben pensarci, un generatore di cupa inquietudine. Nessuno sa cosa fanno, i buffi personaggi della TV dell’infanzia, tra una puntata e l’altra, se hanno una vita, interessi ulteriori. Direi pure, meno male.
A far da contrappunto, i quasi leggendari Becky & Joe, gli artisti dello stop-motion un tempo noti come This Is It, già premiati presso il Sundance Award festival, ci mostrano che cosa potrebbe accadere altrimenti. Con tre protagonisti, davvero sfortunati, che da sempre hanno un difetto, su tutti: pensano troppo.

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