Quale shampoo? Ci basterà spremere lo zenzero nella foresta equatoriale

Un uomo in India meridionale avanza, con fare indagatorio, nell’angusto sentiero che procede in mezzo agli alti tronchi ricoperti di muschio. Risuona con cadenza ritmica il suono di scimmie distanti. D’un tratto egli si ferma, con lo sguardo concentrato, e volge gli occhi ad un basso cespuglio. In mezzo a quelle fronde, prospetticamente messo in evidenza, figura un lampo di colore stranamente fuori dal suo contesto. Rosso, giallo ed arancione come una bottiglia di una trentina di centimetri d’altezza, ma dotata della forma stranamente suggestiva di un qualche tipo di alveare o altro nido d’imenotteri, insetti socievoli e compatti nella propria missione. Con appena l’ombra di un sorriso sul volto concentrato, l’individuo si avvicina a quello che può essere soltanto: un fiore. Ed anzi a conti fatti ed ora che ha guardato meglio, ce ne saranno, almeno, una dozzina. Egli ne impugna il più vicino tra l’indice e il pollice, come se stesse per staccarlo dalla pianta. Ma invece stringe la sua mano con fugace enfasi, mentre un liquido perfettamente trasparente inizia a colare. Fluido, profumato nettare creato dalla natura. L’abitante di un contesto particolarmente remoto, allora, mette l’altra mano a coppa sotto la cascata. Dunque al trascorrere di qualche attimo saliente, solleva quest’ultima fino alla testa ed al volto. Con una smorfia indecifrabile viste le circostanze, inizia dunque a strofinare.
La pulizia personale, in luoghi caldi, umidi e spesso privi d’acqua corrente che non sia un semplice fiumiciattolo intento a serpeggiare tra le radici, diviene straordinariamente importante. Ma anche l’occhio vuole la sua parte, e non sia mai che gli abitanti della giungla rinuncino completamente a portare i capelli lunghi. Che richiedono inerentemente e nella maggior parte dei casi, un impegno costante. È qui che entrano in gioco, nella maniera conosciuta fin dai tempi ancestrali, determinate piante appartenenti al genere Zingiber, lo stesso da noi ampiamente conosciuto come fonte dello zenzero, la radice utilizzata in tutto il mondo come beneamato e altrettanto riconoscibile condimento. Una pianta il cui processo riproduttivo risulta essere tutt’ora tanto misterioso per la scienza, nell’assenza in molte specie di frutti o semi, da aver lasciato teorizzare che potesse trattarsi di un ibrido sterile capace di propagarsi unicamente mediante un processo di tipo vegetativo. Vedi il caso dello Z. mirabile o (vero) ginger selvatico con la forma di un favo, noto agli antenati di questi popoli per una caratteristica particolarmente distintiva: la capacità di produrre impressionanti quantità di nettare, molto amato da insetti e piccoli uccelli della foresta. Ma anche tutti coloro che, dopo averne consumato le numerose parti commestibili, ancora sentono il bisogno di dedicarsi alla tutela della propria persona…

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Dalla Svezia un’efficace alternativa ai sacchetti sabbia per le alluvioni

Rosso, solido, di plastica, con una riconoscibile struttura angolare. Dotato dell’aspetto pratico di uno strumento conveniente nel quotidiano, come una graffetta, una puntina, una vite per l’intonaco dei muri. Che un individuo in tuta da lavoro pone sul sentiero dell’incombente, imprescindibile devastazione. Andando incontro ad un palese margine di miglioramento.
“L’acqua non può essere fermata” L’avevate mai sentito dire? È uno degli assiomi più frequentemente ripetuti negli ambienti della protezione civile, come presa di coscienza di una delle caratteristiche basilari del secondo elemento più abbondante del pianeta Terra, sempre e in ogni circostanza incline ad essere animato dal potente desiderio di procedere verso il basso. Per cui la sua unica sconfitta a lungo termine può essere individuata nel processo naturale di evaporazione, che richiede spazi idonei per l’accumulo, ed un tempo abbastanza lungo perché il l’astro diurno compia il suo miracolo quotidiano. Ma che dire in tutte quelle situazioni d’incombente disordine o naufragio metaforico, dovute all’occorrenza di una pioggia significativa, possibilmente accompagnata dalla tracimazione dei corsi o bacini idrici pre-esistenti? Quando la propagazione dei torrenti si trasforma, in un risvolto totalmente prevedibile ma non meno tragico per questo, nell’azione invadente degli spazi normalmente occupati dall’uomo e i suoi tesori, i suoi santuari, le sue abitazioni di pregio… Con l’unica possibilità rimasta di “sviare” il grande impulso verso luoghi alternativi, ovvero mettere al servizio collettivo l’essenziale assenza di un intento nel verificarsi dei disastri. Offrendo, per quanto possibile, un sentiero di minore resistenza attraverso la collocazione di barriere temporanee d’incanalamento. Granuli all’interno di contenitori globulari, normalmente, ovvero quegli ammassi di sabbia e stoffa che un tempo erano associati alla necessità di arrestare l’energia cinetica dei proiettili sparati dallo schieramento nemico. Ma i sacchetti non sono leggeri, né maneggevoli, né semplici da stoccare o trasportare presso il luogo del bisogno. Ecco l’idea alla base del sistema Boxwall della NOAQ Flood Protection AB di Näsviken, con sede presso i laghi di Dellen a nord di Stoccolma. Una compagnia che ha fatto della plastica la propria arma, e dello stampaggio di angolari forme geometriche un percorso privilegiato verso la risoluzione di uno dei maggiori problemi dell’umanità in pianura…

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La storia sotterranea del sussidio che portò alla democrazia del formaggio di stato

È abbastanza normale per un’amministrazione presidenziale statunitense trovarsi a risolvere, poco tempo dopo l’insediamento, un qualche tipo di problema ereditato a causa delle scelte politiche ed organizzative del predecessore. Nel caso di Ronald Reagan, tuttavia, tale casistica sembrò assumere proporzioni del tutto nuove, quando gli amministratori dell’erario si trovarono a fare i conti con l’esistenza di circa 1,3 milioni di Kg di formaggio proprietà dello Stato, lentamente avviato ad ammuffirsi in una vasta quantità di siti di stoccaggio segreti. Letterali caverne sotto il suolo del paese, concettualmente non così dissimili da Fort Knox se solo “l’oro” fosse visto, ed allo stesso tempo ridefinito, dalla prospettiva di un roditore. E per capire come si sia giunti a questo, sarà dunque opportuno ritornare indietro di ulteriori 32 anni, quando nell’immediato dopoguerra la produzione agricola statunitense parva risentire di un significativo rallentamento del mercato, causato almeno in parte dall’introduzione di una dieta maggiormente diversificata ai molti dei livelli della società contemporanea. Ragion per cui venne deciso con l’Atto Agricolo del 1949, ultima conseguenza della strategia economica varata da Roosevelt con il suo New Deal, che lo stato avrebbe mantenuto stabili i prezzi di determinati prodotti, non calmierandoli dall’alto bensì acquistandone delle quantità variabili secondo le leggi del libero mercato, nella convinzione di poter in seguito trovargli un qualche tipo di destinazione. Prospettiva valida per molti aspetti, tranne quella del fluido al tempo stesso più prezioso e deperibile proveniente dai copiosi allevamenti dell’America rurale: il latte bovino. Che ben presto venne trasformato in burro, latte in polvere e… Formaggio, per l’appunto, nella ragionevole speranza di riuscire a conservarlo più a lungo. La situazione non sarebbe tuttavia davvero sfuggita di mano fino agli anni ’70, quando un generoso programma di sussidi venne implementato durante il mandato di Jimmy Carter, nella ferma convinzione che l’investimento di circa due miliardi di dollari in un periodo di 4 anni sarebbe stata l’unica maniera per contrastare la crisi economica e dei carburanti. Il risultato, non del tutto prevedibile, sarebbe stata una letterale esplosione di produttività. Ogni ranch, fattoria ed allevamento bovino si trovò a nuotare letteralmente nella preziosa e nutriente bevanda, affrettandosi quindi a rivenderla alle autorità sfruttando i metodi creati svariate decadi prima. Così il surplus di formaggio continuava ad aumentare e nella speranza di riuscire a conservarlo più a lungo, l’erario si affrettò a procurarsi spazio in magazzini dalle condizioni climatiche il più favorevole possibili, inclusi quelli situati sotto molti metri di cemento e terra. Era iniziata l’Era del formaggio nascosto e nulla, caso vuole, sarebbe stato più quello di prima…

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L’aroma imponderabile del “frutto” più bizzarro dell’Asia Orientale

Banco attraente della fiera sulla strada di un quartiere di periferia, il sole prossimo al tramonto in grado di accentuare i margini e i colori delle cose. Rosso, giallo, il verde smeraldino delle insegne issate dal vicino templo degli antichi Dei della fortuna. “Venghino signori, venghino” [in cinese] “Prezzi convenienti, efficacia garantita. Soltanto i migliori ingredienti, provenienti dai quattro angoli del paese.” Una frase, quest’ultima, di difficile interpretazione. Poiché l’unica pietanza posta sul suo piano di lavoro, alquanto inaspettatamente viste le circostanze, sembrano essere dei grossi pomi dalla forma ovoidale ed un colore tendente al marrone. Che qualcuno chiamerebbe delle zucche, se non fosse per la buccia lievemente bitorzoluta. Quasi come un agrume! Ogni tenue barlume o ereditata aspettativa, d’altra parte, tendono a sparire nel momento in cui l’addetta volta quella cosa e con la massima attenzione, inizia a penetrarne l’inconsueta scorza con un grosso ed affilato coltello. “Quella cosa… È dura.” Viene da pensare tra se e se. Molto più di quanto si potrebbe tendere a pensare. Ma la meraviglia più definitiva doveva ancora palesarsi, così come nel momento in cui portato a termine quel taglio, la superficie mezza sfera risultata fu voltata contro me, il pubblico [potenzialmente] pagante. Eccolo, guardalo, pensalo, credici: marrone come mallo di noce, ed altrettanto liscio e compatto. Quale frutto a questo mondo può essere del tutto secco e privo di polpa? E a dirla tutta, chi mai potrebbe immaginare di riuscire a consumarlo in quello stato? Una risposta presto posta in secondo piano, nel momento in cui il coltello sibila di nuovo. Tagliuzzando le due fette ancora e ancora, in plurime strisce parallele, quindi dei cubetti dalla forma totalmente artificiale. Gli spigoli perfetti, la sostanza intonsa come quella di un cubetto zuccherino. “Oh, Dea della Misericordia!” Continua il filo del ragionamento necessariamente astruso: “Chi di voi ha creato l’assurdo Frutto degli Otto Immortali?”
“Il bāxiān guǒ (八仙果) mio caro atterrito partecipante all’infinita ruota della Vita, e puro appannaggio della parte della Triade che appartiene alla vostra esplicita competenza. Né Terra, né Cielo. Solo e soltanto te, l’Uomo.” Verità rivelata: qualcuno in base ad un’antica procedura, nella grande sala di uno spazio deputato, ha separato la parte superiore della buccia di un grosso pomelo (benché un tempo pare che si usassero i cedri o limoni giganti). Quindi ne ha tirato fuori, un pezzo alla volta, l’interezza della polpa aspra e dal sapore astringente. Per mescolarla e prepararla, assieme ad un intruglio che non avrebbe fatto sfigurare il Primo Alchimista della storia, Zhang Daoling. Operazione a seguito della quale, con contegno quasi tipico di un rituale sacro, ha riversato dentro il recipiente la sostanza risultante. Prima di portare il tutto in un luogo asciutto e caldo, per favorirne l’asciugatura. Oh, stupore. Accompagnato dalla comprensibile domanda di che cosa diamine sia, esattamente, l’assurdo Frutto degli Otto Immortali bāxiān guǒ?

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