Squalo morto con tre squali vivi dentro

Shark C-Section

Il mare è un tipo a posto, simpatico e alla mano. Quando la mattina vai a trovarlo, presso casa di quella sua amica, la spiaggia, spesso ti offre dei regali. Conchiglie, sassolini lucidi, pezzetti di corallo consumato. Delle altre, invece, ti restituisce quello che tu, essere umano, avevi sbadatamente perso: tante preziose bottiglie di plastica, gli ottimi pacchetti vuoti delle sigarette, l’incarto dei panini. E poi per buona misura, ti da cose morte, d’ogni vario ed attraente tipo. La medusa che si asciuga al sole (non toccare!) L’uccello mangiucchiato, il guscio della tartaruga, lo scheletro del pesce sega. E infatti non saluti mai quelle acque turbinose, senza avere l’occasione di toccare o di annusare cose nuove. Così è stato, pressappoco, per Jimmy (nome di fantasia) in quella mattina sulle calde spiagge della Georgia, giusto sopra la penisola della Florida statunitense. Con una significativa differenza: Jimmy P. (iniziale del cognome di fantasia) non esce mai di casa senza un coltello bene affilato, l’entusiasmo per la biologia marina e il contegno operoso di chi non s’impressiona tanto facilmente. Altrimenti, come spiegheresti tutto ciò?
Io non credo che in molti l’avrebbero fatto. Ok, trovi uno squalo Carcharhinus limbatus (pinne nere) morto e con il ventre gonfio sulla spiaggia. È una vista diciamo, curiosa? Ripugnante? Se l’animale non è deceduto da un tempo particolarmente lungo, come in questo caso, l’assenza dell’odore della decomposizione, in teoria, dovrebbe rendere la scena maggiormente invitante ad un qualche tipo d’indagine ulteriore – beh, almeno…. Per chi ha voglia di apprezzare tali cose dagli alti meriti anatomico-scientifici. Il quale tratto è meno raro di quanto sembri, almeno giudicare dal presente video e visto come in breve tempo, attorno a Jimmy P. si è già formato un capannello, con tanto di cane pechinese e diverse signore pronte a suggere il metodo migliore di operare. “Aprilo! Aprilo! Chissà che s’é mangiato!” È una pulsione che nasce, assai probabilmente, dai troppi telefilm stile-CSI, o altri svaghi pseudo-criminologici, che portano le attuali generazioni alla ricerca della cruda verità, persino dietro ciò che un tempo sarebbe stato considerato Ripugnante. Qualcuno/a fa: “Magari ci trovi un braccio dentro, magari addirittura umano!” Ma il Sig. P, a quanto pare, non è un tipo che si lasci trascinare a facili entusiasmi. Con mano ferma, inizia a tagliuzzare un po’ qui, un po’ lì. Budella di squalo si riversano per ogni dove, con il cane sempre più affamato e vibrante d’entusiasmo gastronomico, riscoperta una passione mai sopita per il sushi stagionato.
Quando a un tratto, cala brevemente il silenzio: nello squalo, che poi chiaramente era una squala, c’è qualcosa che si muove! Sono i suoi cuccioli, ben tre. Addirittura. Ancora vivi, forti e pronti a mordere la stessa mano che li sta salvando…

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Tracciare i pesci sopra cui compaiono le piume

Medicus Emulsifier

Si chiama Emulsifier, lo squagliatore. L’ultima creazione del giovane artista di Innsbruck nel Tirolo, Thomas Medicus (pseudonimo davvero interessante) ha una dote che riesce a distinguerla da molte altre: a seconda di come la guardi, può rappresentare esattamente quattro cose. Inizialmente, si presenta come aringa. Mica mica, una siringa. Sarebbe un pesce, questo, vagamente variopinto. Con la pinna bronzea, gli occhi spiritati, scaglie argentee e intervallate con del blu ceruleo, così, tanto per dire. O per gradire. Strano e un po’ inquietante, se vogliamo. Ma niente paura, pavidi visitatori, di restarne ipnotizzati! Basterà girarci attorno. Ecco allora che dall’altro lato di quel tavolo da pranzo apparecchiato, certamente fatto per condurre l’appetito, ci si ritroverà dinnanzi alla forma familiare di un uccello in volo. Una sorta di candido condor-cicogna, un po’ papera un po’ geroglifico, bestia evocatrice di un supremo sentimento. O per meglio dire, superiore, sovrastante, ben distante. Dalle cose meno fluide, decisamente più terrene, come ciò che nuota…Dentro. Che a sua volta, come in un gioco di pupazze russe, ospita un segreto imprevedibile. Un sistema d’ingranaggi! Nella padella del mio pranzo?! Tutto passa, per fortuna. Gira ancora per 90 gradi, pensaci un minuto e ti ritroverai davanti le ossa dello scheletro, volante. Sei dall’altro lato dell’uccello. Guarda tu, che bello. Giusto in tempo per la notte d’Ognissanti!
È un gioco che si basa sulla prospettiva, chiaramente, ma non quella virtuale di un dipinto. Benché l’arte grafica, in effetti, c’entri alquanto. Il nostro Medicus, per creare tale singolare oggetto, ha infatti messo in fila ben 160 delicatissime strisce di vetro a sezione quadrangolare, quindi vi ha dipinto sopra il primo dei soggetti. Poi le ha voltate da una parte, prima di ricominciare. Altre due volte e infine le ha piantate. Sul “giardino” di una base, “l’orto magico” della sua mente. Che inganna ma non mente. Ovvero un plinto nero in materiale plastico, ciascun lato del quale potrà misurare…Diciamo, 40 centimetri? A dire tanto, oppure giu di lì. Nell’ultimo secondo del presente video di dimostrazione, che per inciso sta facendo il giro della blogosfera sconfinata, si nota un filo bianco che spunta dal di dietro. Assai robabilmente, chiaro segno di un motorino elettrico, pensato per disporre l’oggettino staordinario sopra uno scaffale, oppure a ridosso di una scarna ed utile parete. Non tutti, a questo mondo, dispongono di sale grandi, per di più dotate di un gran piedistallo, proprio in mezzo, a far da tokonoma (gran sacello visuale) della propria abitazione. Le tematiche di una simile opera d’arte, inizialmente poco chiare, possono scovarsi da un’approccio critico al passato operativo del creatore. Un creativo che di metamorfosi, direi: se ne intende.

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Nutri l’orso, lui sarà tuo amico. Se nutri il mostro degli abissi…

Orso biscotti

È una vera giungla, là nella Kamchatka. Che assomiglia un pò alla tundra, poiché riecheggia dell’antico motto dei latini: “Canis canem edit”. Avevano ragione i fabbri, che crearono quei termini di paragone: CLANG! Ogni bestia, da quando esiste la catena alimentare, non si è persa mai un anello ribattuto in ferro e bronzo e rame. CLANG, fa la volpe che divora il rubicondo topo. Clang, per il falco che si tuffa sulla macchia candida del sottobosco, pelo bianco della lepre artica, lo spuntino di quel becco appassionato. E sopra tutti, a fare da lucchetto, c’è il plantigrado zannuto. Yogi, l’animale opportunista. Non c’è niente di più eccezionale, nell’intero mondo naturale, del modo in cui una tale bestia, tanto grande e forte, irresistibile e pesante, possa scegliere di accontentarsi, alla bisogna. La voracità ursina è cosa nota, così come quel profondo amore per la carne, il pesce, il calorico panino degli avveniristici fast-food. Ma un tale quadrupede per eccellenza non vivere di quello, poiché troppo raro è da trovare. Orsù divora tutto, fin da Mosca e oltre Corfù. Tra le conifere sporadiche dei vasti territori pianeggianti, nella Russia orientale, verso i venti gelidi della Siberia, non ci sono foche, né pinguini, da potersi accaparrare, ahimé. Orso eurasiatico! Tu non hai piacevole dispensa gelida dei tuoi cognati candidi e polari, con tante merendeda sbranare. Per mangiare, devi lavorare. Per lavorare, devi camminare. E così facendo, qualche volta incontri…Me!
“Chi sono, questi simpatici signori? Addetti alla sicurezza di una qualche stazione petrolifera, oppure personale di manutenzione per oleodotti, escursionisti fuori dalle rotte maggiormente perlustrate…” Questo è chiaramente, più che certamente, quello che l’orso vagabando NON stava pensando, lì per lì. La sua mente veramente fina, quasi contadina, era concentrata nettamente sul nucleo centrale del problema. Il nocciolo, per così dire:  “Quelli sono BISCOTTI, DAYUM!” Con la lingua penzoloni, gli occhi strabuzzati, le orecchie già buttate in senso longitudinale, come fosse spaventato, il gran camminatore stava per avvicinarsi alle alte (relativamente) mura artificiali. Con sembianze di profonda mansuetudine, senza fronde di accompagnamento. È forse un senso di rispetto, questo, che proviene dal bisogno… Con quel grande muso nero sopra il davanzale, i morbidi zamponi, l’orso è diventato un cane. Che chiede il pane, col salame, col salame ed altro pane e poi salame. Possiamo soltanto sperare che ritrovi, presto o tardi, un senso benefico di sazietà!

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L’abissale fame dell’orrendo verme segmentato

Bobbit Worm

State attenti a un’alga pallida ed immota, con sei propaggini a raggiera. Cresce, tale cabalistica escrescenza, in tutti mari del pianeta. Non attira molto l’attenzione. Può trovarsi ovunque: sia tra le brodose acque all’equatore, che immersa negli abissi gelidi, a ridosso dei distanti poli contrapposti; essa giace, quietamente. E prospera, nel buio e nel silenzio. Per capire da dove provenga la sua forza, basta osservarla per un tempo medio: non è poi così passiva, questa cosa, benché paziente, all’occorrenza. Non è neanche un vegetale a dire il vero, né una lei. Bensì un anellide, o per essere maggiormente specifici, il più lungo polichete al mondo. Un subdolo cacciatore in grado di misurare fino a tre metri, sottilissimo, di cui normalmente appare molto poco. Giusto la testa, oltre a un piccolo segmento degli innumerevoli in cui è suddiviso, caratterizzato dalle antenne multiple e una spaventosa tenaglia. Tanto affilata e perigliosa, da valergli il nome colloquiale di verme di Bobbit (con riferimento alla celebre vicenda americana del 1993, in cui Lorena G. usò un coltello da cucina per troncare il pene di John B.). E ringraziamo, per tale colorita associazione, la pubblicazione Coral Reef Animals of the Indo-Pacific (Terrence M. Gosliner – 1996) nonché la teoria, del tutto errata, secondo cui la femmina di questa graziosa creatura avesse l’abitudine di recidere il pene del compagno, tanto per darlo in pasto ai sui figlioli. Del tutto resa obsoleta dalla scoperta successiva, relativamente sorprendente, dell’assoluta assenza di un tale organo nel maschio strisciante. Il quale piuttosto, come spesso avviene negli habitat marini, feconda le uova successivamente alla deposizione. Sono tra l’altro assai prolifici, questi anellidi. Ed invasivi. Le loro antenne presagiscono la dannazione…
Può dunque capitare, non è affatto raro, di trovarseli davanti durante un’immersione o presso le rive di una spiaggia. Ecco, in tali casi, guai a mettergli la mano innanzi. Il verme infatti, quasi immediatamente, scaturirà dalle dalle sue sabbie con il tenore tipico di un cobra, poco prima di serrarsi su qualunque cosa capiti a suo tiro. Sono tanto affilati, i suoi denti a forma di forbice, da ottenere spesso l’effetto di tagliare a metà l’oggetto dell’agguato. Sia questo con le pinne, oppure l’unghia (la parte migliore). Senza contare la tossina di cui sono ricoperti, in grado di paralizzare prede anche assai più grandi, prima d’ingerirle, laboriosamente, senza neanche masticare. Tale sostanza è in grado di indurre una perdita di sensibilità negli arti umani, anche permanente. In natura mangia pesci, l’onnivoro in questione, crostacei, granchi, paguri e gamberetti. Spezza anche il corallo, poco prima di succhiarne l’ottimo midollo. È paragonabile, per l’aspetto e il modus operandi, alla bestia tipica di un incubo notturno.
Non per niente la sua genia, in gergo italiano, viene fatta risalire ai vermocani, le bestie della mitologia greca che si diceva fossero simili a colossali mastini privi di zampe, pronti a risvegliarsi nelle notti umide di primavera, alla ricerca di una vittima da ghermire e divorare. La specie più comune di questa classe di creature, la Hermodice carunculata, misura appena 30 cm ed è anche denominata verme di fuoco, per le setole urticanti di cui è ricoperta. Ma il vero demone resta soltanto quello con gli unghielli laterali affini alle zampe di un millepiedi, come qui mostrato, l’Eunice aphroditois, famelico e praticamente indistruttibile, parimenti all’Idra di Lerna, che Ercole sconfisse solamente grazie al fuoco. Assai difficile da usare, sott’acqua…

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