Ma la Cina ha davvero inviato 100.000 anatre guerriere contro le locuste pakistane?

Un antico modo di dire cinese recita, all’indirizzo del proprio nemico, la terribile maledizione: “…Che tu possa vivere in un’epoca DAVVERO interessante” e non ci sono dubbi che volendo analizzare questo inizio di 2020, l’attuale situazione umana sia perfettamente in linea con un simile anatema. Abbiamo già avuto, nell’ordine: prove tecniche di guerra mondiale, la peggiore pandemia degli ultimi 100 anni, capace a sua volta d’inasprire la latente crisi dell’economia globale, un principino che ha lasciato la famiglia reale (tipico stereotipo delle profezie di Nostradamus) e la cosa più vicina a un’invasione aliena che sia lecito aspettarsi nel procedere insicuro della storia. Già, 400 miliardi di locuste, le creature che dal nulla sorgono per cavalcare i venti, con inenarrabile irruenza, minacciando di fagocitare ogni risorsa agricola sul passo della loro meridiana. Così che all’inizio della settimana scorsa non furono in pochi a sollevare un sopracciglio, leggendo l’apparentemente improbabile notizia che la Terra di Mezzo, proprio quel paese ove ogni fibra del destino parrebbe intenta a convergere, stava per schierare un intero esercito a vantaggio del proprio vicino il Pakistan, attualmente minacciato dalla più probabile e devastante crisi alimentare a memoria d’uomo. Un’armata composta, tuttavia, non da uomini e i loro bagagli, bensì il più implacabile prodotto dell’evoluzione insettivora: l’anatra di Pechino, in numero di 100.000, schiera dopo schiera di candide divoratrici, pronte a fare scempio, in linea di principio, delle insettili divoratrici/saltatrici. Un’idea non soltanto già utilizzata, a quanto pare con successo (nel 2000 per contrastare uno sciame che si era formato nella regione autonoma dello Xinjiang Uygur) ma capace d’incarnare ogni possibile vantaggio ragionevole dettato dalle circostanze: la anatre sono infatti mansuete, gregarie e quindi facili da controllare, estremamente voraci con la loro capacità di fagocitare 200/250 locuste al giorno ciascuna e soprattutto valide a esser convertite in ottimo cibo, a loro volta commestibile, una volta che la crisi sarà stata finalmente risolta. Nell’esecuzione del progetto delineato, secondo la prima versione irradiatosi a ondate memetiche a partire dal notiziario serale della Ningbo Tv, da una speciale task force costituita dal governo cinese al fine di elaborare metodi preventivi all’ulteriore diffusione di quella che potrebbe costituire, in ultima analisi, la più grave catastrofe del corrente, memorabile inizio d’anno bisestile. Un metodo tradizionale secondo quanto riportato dallo stesso capo dell’operazione Wang Fengle, già utilizzato al fine di annientare passati episodi verificatosi all’interno dei confini del suo stesso paese e che proprio per questo, nell’opinione pubblica fatta patriotticamente rimbalzare da un’angolo all’altro del social network Weibo, sembrava aver colpito in maniera significativa l’immaginazione dell’intero popolo d’internauti cinesi, permettendo, presumibilmente, ai pakistani di tirare un ragionevole respiro di sollievo. A meno finché a qualcuno, nel giro di una ragionevole manciata di giorni, non è venuto in mente di mettere in fila una ragionevole serie d’osservazioni…

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Lo spettacolo pakistano degli tsunami generati a comando

Qualcosa d’enorme sta prendendo forma nel distretto di Pakhtunkhwa, 105 Km a nord-ovest di Islamabad. Nel più assoluto entroterra? L’onda anomala: uno dei più terribili eventi “naturali”. La crescita esponenziale dell’energia implicata dal moto oceanico, a causa di una forza introdotta all’interno di quel sistema, generalmente proveniente dalle viscere stesse del pianeta Terra. Un pugno d’acqua che può abbattersi sulla costa, distruggendo ogni cosa che abbia la grave sfortuna di trovarsi sul suo cammino. Quando l’acqua del mare inizia a ritirarsi oltre la linea del bagnasciuga, segno dell’inizio imminente della fine, nessuna persona informata rimane nei dintorni, ben sapendo che anche pochi metri di elevazione, in determinati casi, possono fare la differenza tra la vita e la morte. E allora che cos’è questo? Svariate decine di persone dietro un parapetto alto si e no mezzo metro, che osservano, commentano e scattano foto a svariate tonnellate d’acqua, spinta innanzi lungo il pendio per l’effetto dell’implacabile forza di gravità. E sembrerebbe di trovarsi dinnanzi a una cascata, se non fosse che nessun flusso naturale, nel corso della storia geologica pregressa, ha mai potuto scorrere per un periodo prolungato con questa potenza, senza che il pendio stesso ne venisse eroso nel giro di poche settimane. Ma il flusso di una simile scena, questo è un fattore fondamentale, non trova espressione continua dinnanzi alle telecamere dei curiosi. Esso inizia all’improvviso, successivamente all’estendersi di una stagione delle piogge. Quindi cessa, con lo stesso tenore repentino, lasciando soltanto il ricordo di una così impressionante deflagrazione. Quasi come se qualcuno tirasse a se una leva. Quasi.
E in effetti non saprei dirvi, se il sistema di controllo della diga di Tarbela larga 2,7 Km sul fiume Indo (maggiore impianto idroelettrico al mondo ed una delle strutture più grandi mai costruite dall’uomo) sia una leva, un pulsante oppure un comando inviato digitalmente, mediante il click del mouse collegato a un potente computer. Mentre sappiamo fin troppo bene, grazie ai rapporti ufficiali inviati alla Banca Mondiale che ne finanziò la costruzione a partire dal 1968, che il suo bacino artificiale di 13,96 chilometri cubici è soggetto ad un riempimento e una non-permeabilità tali che ogni anno, circa il 70% dell’acqua in eccesso deve essere scaricata, nell’unico modo possibile per un simile meccanismo: mediante l’apertura degli stramazzi, o canali ausiliari di sfogo. Vie di fuga per l’acqua paragonabili ai tunnel sotterranei, attraverso cui essa viene comunemente instradata per alimentare le fondamentali turbine, capaci di produrre, all’ultima stima, la quantità notevole di 3.478 MW d’elettricità. Dei quali, alle origini del progetto ne erano stati previsti tre, in aggiunta a ulteriori due impiegati allo scopo d’irrigare i campi della regione. Se non che apparve chiaro, entro pochi anni, che l’apporto idrico generato dai ghiacciai dell’Himalaya nei confronti di questa struttura era semplicemente eccessivo, perché un simile piano bastasse a trarne il massimo beneficio. Ed è questa la ragione per cui, a partire già dal 1970, sono stati iniziati una serie di progetti di ampliamento ed installazione di ulteriori turbine, culminanti nella riconversione del quarto tunnel con finalità idroelettriche ultimato nel 2015, un destino che coinvolgerà anche il quinto ed ultimo negli anni immediatamente a venire. Se mai c’è stata una dimostrazione dei tempi che corrono… L’abbandono pressoché completo dell’antico sistema di auto-sostentamento dei popoli, l’agricoltura, a vantaggio di una più proficua nonché redditizia generazione di una corrente d’atomi, usata per far funzionare televisori e lavastoviglie! Eppur se si osserva l’intera questione con occhio clinico, è impossibile non notarlo: ciascuno tsunami artificialmente indotto nel distretto di Pakhtunkhwa, costituisce uno spreco…

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La battaglia degli atleti che trattengono il respiro

Kabaddi

Tutti gli sport di squadra servono a costituire, in una forma oppure l’altra, un’addestramento bellico di qualche tipo, poiché è nella natura stessa del concetto di gioco, sia questo fisico piuttosto che concettuale, simulare situazioni di conflitto. Pensate alle tenzoni della palla ovale, il cui fluire rassomiglia tanto da vicino alla casistica di un doppio schieramento di fanteria, che si affronti per raggiungere la base del nemico, in un particolare caso, con tanto di protezioni ed armatura. Il baseball, nel frattempo, è una chiara metafora del corpo dell’artiglieria, con l’importanza che rivestono le traiettorie, i posizionamenti, l’attento impiego delle munizioni (in questo caso, umane). Mentre il nostro calcio, con il suo fluire imprevedibile e l’impetuoso dinamismo, non è dissimile dall’esperienza di un confronto tra manipoli di forze speciali, che devono pianificare contromosse basandosi sui gesti dei propri avversari. Lacrosse, hockey? Spadaccini. Basket, pallamano? Granatieri. Ma volendo seguire una tale progressione logica, più o meno improbabile, c’è uno sport del Sud dell’Asia che si mette in evidenza concettuale tra gli altri, perché è la chiara rappresentazione di un grande e nobile guerriero, l’attaccante solitario, che si prodiga sfidando un gruppo di possenti difensori. Fino a sei, nella variante più famosa, che per vincere devono letteralmente farlo cadere a terra. Mentre lui può eliminarli semplicemente con un tocco, seguito dal ritorno oltre la linea di metà campo. Col procedere della partita, che dura due tempi da 20 minuti l’uno, in campo possono esserci fino a 7 giocatori, gradualmente eliminati a seguito della cattura ed eventualmente sostituiti dai loro compagni di squadra. Il nome dell’antichissima tenzone, la cui origine si perde nella storia arcaica dell’India meridionale, è Kabaddi, un termine dall’etimologia incerta, che potrebbe derivare dall’espressione in lingua Tamil kai-pidi (tenersi per mano) o in alternativa da kab (coscia) e haddi (ossa) un riferimento alle parti del corpo che ricevono le maggiori sollecitazioni, o per meglio dire infortuni, nel corso dell’azione di gioco. Questo sport a differenza degli altri citati, in effetti, si fonda sul contatto diretto e potrebbe facilmente sembrare, ai nostri occhi, una strana commistione del rugby e del wrestling, con alcuni elementi comuni al dodgeball, la versione competitiva del gioco della palla avvelenata. Ciò detto, questo sport resta sufficientemente complesso, ed originale, da risultare difficile da comprendere o seguire senza un breve corso accelerato sulle regole, che in questo caso ci viene offerto, con notevole perizia esplicativa, nel video dello youtuber Ninh Ly, produttore di una serie molto popolare sugli sport dei vari paesi del mondo.
Si inizia, come sempre avviene per il Kabaddi, con il singolo aspetto più bizzarro di questa disciplina, che tuttavia negli anni, grazie all’apporto tecnologico è diventato sempre meno necessario: trattenere il fiato. La limitazione principale all’assalto di cui sopra, condotto dal giocatore attaccante scelto a rotazione che viene definito con il termine tecnico di raider, è infatti di natura temporale, affinché nel caso in cui i difensori, nonostante gli sforzi effettuati di concerto, non riescano a placcarlo, ma neppure lui ad eliminarli, costui debba infine ritirarsi e lasciare il passo a uno sfidante più aggressivo. E poiché lo spot veniva praticato in origine, come anche il calcio storico, in assenza di arbitri o sistemi di misurazione dei secondi, la soluzione scelta diventava far ripetere ossessivamente al raider, per l’intero corso del suo assalto, la parola “kabaddi, kabaddi […]” senza mai inalare. Con il tempo la capacità di restare in apnea per tempi prolungati diventò un cruciale tratto distintivo dei migliori giocatori, nonché una dote necessaria a far carriera. La regola continua ad essere praticata assiduamente in ambito amatoriale, ed è inoltre un punto fermo delle numerose versioni regionali dello sport.

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