La sgargiante spietatezza dell’appariscente gambero torturatore di stelle marine

Probabilmente il più celebre personaggio della commedia dell’arte nata nel XVI secolo in Italia, assieme al meridionale Pulcinella dal contegno astuto e fantasioso, il variopinto Arlecchino bergamasco vanta già a partire dal suo nome delle origini di un tipo più sinistro e misterioso. Con un’etimologia che viene ritenuta germanica, dal binomio Hölle König (“Re dell’Inferno”) il servo dal costume variopinto viene rappresentato come infedele e imprevedibile, avido e ambizioso nella sua ricerca di un qualche tipo di ricchezza terrena. Che molto spesso finisce per concretizzarsi in grandi quantità di cibo, sottratto ai suoi legittimi destinatari tramite l’impiego di perverse metodologie frutto di uno studio d’incessante spietatezza situazionale. Ciò che gli stimati autori di quel genere non hanno mai pensato per i protagonisti delle loro storie, tuttavia, è il tipo di vicenda culminante con l’omicidio e la tortura apparentemente insensata di una vittima, per giorni o addirittura settimane, con l’unica finalità di perseguire un qualche tipo di vantaggio personale immanente. D’altra parte senza troppe requie o il tipo d’ostacoli dettati dall’umana empatia, a fare questo sembrerebbe proprio averci pensato la Natura. Proviamo perciò a spostarci nella nostra trattazione sotto la superficie pellucida dei mari, fino agli ambienti a noi perfettamente noti degli 1-30 metri di profondità, presso i confini tropicali dell’Oceano Indiano o il Pacifico Occidentale. Dove l’utilizzo dell’appellativo carnevalesco di cui sopra trova facilmente un valido destinatario, sia dal punto di vista metaforico che convenzionale, nella creatura monotipica da 5 cm classificata con rigore come Hymenocera o H. Picta, parte dal punto di vista tassonomico dell’ordine dei crostacei decapodi, infraordine dei gamberetti di mare. Pur possedendo un appariscente dello stile che lo porta ad distinguersi con il suo variopinto a macchie blu, gialle e rosse, neanche fosse un fantastico mostro a cartoni animati, tanto interessante quanto, in linea di principio, privo di effettive intenzioni apparentemente malevole nei confronti di altre specie a lui vicine. Il che permette nella fattispecie, come dicevamo, di tracciare una linea netta tra la fantasia e la verità, visto come il nostro eccentrico amico possa dirsi in grado di personificare, col suo stile di vita puramente istintivo, una delle entità più spietate facenti parte della nostra intera cognizione animale, fatta potenzialmente eccezione per la stessa ed almeno qualche volta empatica razza umana. Laddove chi per sopravvivere può uccidere soltanto un tipo di creature, e tende a farlo in maniera tale da garantirgli più validi propositi di sopravvivenza, smetterà ben presto di considerarla come un essere dotato di un proprio obiettivo, aspirazioni e valide capacità di raziocinio. Per quanto possa risultare sofisticato, il pensiero astratto di un echinoderma, nella fattispecie appartenente alla vasta categoria delle stelle marine. Che semplicemente e puramente esistono, frantumando i rigidi coralli della barriera, finché non vengono avvistati da qualcosa, o qualcuno di molto più terribile e affamato di loro…

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Il piumaggio del piccione psichedelico che discende da sua maestà il dodo

Non è un momento semplice da definire, nell’incedere dell’entropia che conduce irrimediabilmente all’estinzione. Trascorso un lungo periodo di preoccupazioni ed ansie, ho finalmente imboccato quella porta… Luminosa eppure stranamente angusta. Sono andato nell’ufficio del capo e ho chiesto due settimane di ferie! Ho fatto i bagagli in un pomeriggio frenetico ma stranamente liberatorio. Ho lasciato l’auto in un parcheggio a lungo termine e sono salito sul primo aereo disponibile verso il distante Oriente. In un luogo sperduto. Un’isola lontano dagli esterni presupposti. Spiaggia libera da ogni segno che potesse riportarmi al centro della mente un ricordo di Lei… La città. Metropoli terribile, agglomerato delle meraviglie, fonte di prosperità e squallore, forza d’animo ed annientamento della personalità umana. Cinque minuti dopo essere sceso dal taxi e abbandonato il piccolo bagaglio nella lobby del villaggio vacanze, ho fatto qualche passo tra le verdeggianti propaggini dell’oscura giungla delle Nicobare, quando un suono sommesso ha cominciato a risalire nell’amigdala alla base del mio cervello. Lieve, distante: “Tuu, tuu ~ Tuu, tuu” Libero? Non è possibile. Gli occhi spalancati, le mani prossime alle orecchie, in un gesto istintivo di terrore subdolo insinuato nel profondo dell’animo umano. Dietro un tronco, camminando dondolante, l’impossibile forma di quella grigiastra Creatura. Prima quella testa tondeggiante, in cima a un collo scuro ricoperto da un casco di piume oggettivamente un po’ cascanti. Poi le ali portate ordinatamente lungo i fianchi, fino alla forma affusolata di una coda piatta e larga, contrassegnata da una forma bianca ed appariscente. Oh, tremendo araldo delle aviarie circostanze! Simbolo della condanna e tutti gli anni di pregressa dannazione… Fino in capo a un lungo itinerario, la mia vista si è incrociata alla sagoma di un tremendo piccione. Così pensai, e di questo avrei narrato nel cassetto della mia memoria futura, se non fosse stato per un semplice accidente del destino. Mentre l’equilibrio delle nubi sovrastanti si trovava a sovvertirsi per un vezzo del Dio dei Venti, lasciando che un singolo raggio di luce diretta penetrasse tra gli spazi delle fronde, fino a ricadere sopra il dorso dell’uccello fuori dai confini dell’asfalto che possiede il suo stesso… Colore? Cosa vedono i miei occhi? Trasformato nella forma e nell’aspetto, con i fianchi ricoperti dal vermiglio di Asfodelo. E il collo verde come l’abito di Belzebù in persona. Il viola luciferino sulla sommità della sua testa, arcano copricapo che indica l’appartenenza a un cerchio più ristretto di entità chtonie. Dal profondo dell’inconscio, egli era giunto. La fenice della fine. L’arpia delle salvezza. Il grifone del pan grattato fuoriuscita dal cartaceo recipiente della vita stessa.
Un Caloenas nicobarica, o come lo chiamano da queste parti, il ma-kūö-kö è molto più che un semplice volatile della metà di nostra vita. Potremmo a dire il vero definirlo più come la manifestazione tangibile del principio e della fine, la via d’accesso ad una forma mentis che prevede la bellezza in ogni tipo di creatura. A patto che i trascorsi della sua evoluzione siano stati sufficientemente permissivi, ovvero privi di quel tipo di pressione che costringe le generazioni a conservare l’energia del proprio codice genetico, lasciando in secondo piano ogni possibile mania di protagonismo. Vedi quella che conduce, senza falla, certi uccelli ad agghindarsi come i principali attori di una rappresentazione teatrale sulle gesta di antichi eroi aztechi. Formidabili nel proprio mondo, ma purtroppo e imprescindibilmente, destinati ad essere lasciati indietro dalla spietatezza inusitata della Storia…

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La lumaca di ferro che poteva vivere soltanto sul ciglio dei vulcani sommersi

Più un consiglio che un modo di dire, poiché implica coordinazione tra le cause e gli effetti dell’esistenza. Una sorta di equilibrio che perpetra la propria continuità nel tempo, attraverso l’arzigogolata evoluzione del quotidiano: “Sei quello che mangi” Eravamo soliti dire. E per alcuni, ciò giungeva ad implicare un modus operandi capace di caratterizzare la vita stessa. Ma non è per niente facile, raggiungere l’equilibrio imprescindibile della più perfetta nutrizione, a meno di essere un eremita incline a lunghi stati di digiuno, fino a raggiungere l’agognata separazione dello spirito dal corpo prossimo al deperimento. Né uno stato in grado di durare particolarmente a lungo. A meno di poter fare affidamento, nella naturale progressione degli eventi, a milioni di minuscoli, operosi aiutanti. Comunità intenzionate a sopravvivere all’interno di un involucro sicuro, come può esserlo soltanto l’impenetrabile scorza della pelle… Umana? Non midi-clorian, né naniti tecnologici, bensì “puri” e semplicissimi batteri, del tipo che convivono col nostro ecosistema interiore, collaborando ed assistendo per quanto possibile le imprescindibili funzioni della digestione. Poiché “straniero” non significa per forza “nemico” ed è immaginabile in teoria quel tipo di creatura che potrebbe sopravvivere soltanto dell’aiuto di una simile genìa invisibile, senza il bisogno d’introdurre nessun tipo di sostanza energetica e/o nutrizionale proveniente dall’esterno. L’avete immaginata? Ben fatto. O forse no, perché difficilmente potrà essere comparsa all’interno della vostra mente, l’insolita e misteriosa sagoma del gasteropode dal piede a scaglie, scientificamente detto Chrysomallon squamiferum, un animale celebre proprio per il suo aspetto marcatamente alieno, in aggiunta alle caratteristiche notevoli del suo metabolismo. Essere individuato per la prima volta nell’aprile del 2001 durante una spedizione sottomarina a controllo remoto presso la sorgente idrotermale di Kairei, situata a 2400 metri di profondità sulla dorsale mediana dell’Oceano Indiano, e che sarebbe stata avvistata un gran totale di ulteriori 5 volte nel periodo di altrettanti anni a venire, in vari luoghi dello stesso vasto corpo acquatico del pianeta Terra. Che risulterebbe superficialmente simile a una comune lumaca di superficie, se non fosse per la presenza nella parte inferiore del suo corpo, rigorosamente non coperta dal guscio, di uno strato estremamente spesso di scleriti sovrapposte simili a pezzi di pietra, che in un universo di tipo fantastico saremmo stati pronti ad attribuire al corpo di un vero e proprio drago degli abissi dimenticati del mondo. E sono rigide, inflessibili come una vera e propria armatura, questi speciali scudi integrati in quella che in effetti diventa non più un semplice divoratore di alghe, detriti o altri rimasugli del suo specifico ambiente d’appartenenza, bensì un carro armato dell’ampiezza di 3,5-4 cm, impervio a qualsivoglia tentazione o necessità del mondo. Chi può desiderare, dopo tutto, quello che neppure esiste?
Questo perché la lumaca dei vulcani, come potremmo anche decidere di metterci a chiamarla, in assenza di fonti di cibo vegetariane risulta dotata di una ghiandola esofagea ipertrofica, molte volte più grande di quelle possedute dagli appartenenti alla stessa appiccicosa famiglia, ove risiede una significativa moltitudine di gammaproteobatteri, dei microrganismi capaci di trarre sostentamento dall’ossidazione dello zolfo. I quali tranquillamente sopravvivono e si riproducono, mentre la loro ospite tende a fagocitarne una quantità del tutto ragionevole, perfettamente sufficiente a trarne il necessario sostentamento. Una vera e propria relazione simbiotica, dunque, di un tipo molto raro nell’intero regno animale, e che permette a un organismo complesso, e non predatorio, come la lumaca di sopravvivere a profondità dove qualsivoglia tipo di vegetazione può costituire solamente un sogno irrealizzabile e distante. Semplificando notevolmente la sua vita eppure forse non abbastanza, vista la quantità di precauzioni che si è dimostrato richiedere il suo tragitto evolutivo, affinché potesse dare continuità alla propria specie dalla storia pregressa più che mai incerta…

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Contro la pirateria moderna, ingegno, tecnologia e vapore

Grandi caldi e grandi freddi, normalmente, conducono a un disagio. Che dire dunque di un getto di vapore bollente con la potenza di 1000-2000 Pascal, proiettato da condotte apposite senza pregiudizio lungo il ponte intero di una nave portacontainer o preziosa petroliera, potenzialmente con l’aggiunta di fluido maleodorante, sostanze appiccicose, se non addirittura corrosive? Di sicuro ciò dev’essere capace di costituire un deterrente per chiunque non sia più che determinato a rimanere a bordo del vascello in questione. Senza dubbio, ogni potenziale intruso si ritroverà costretto a far ritorno sul suo spietato gommone di abbordaggio, pena la trasformazione in scheletro scarnificato sul fondo degli abissi, il timore naturale di ogni marinaio…
Nonostante l’evidente attenzione nei riguardi dei diritti umani e l’intento assistenziale almeno nominale nei confronti dei più deboli, qualcosa di fondamentale è cambiato e non soltanto in meglio a partire dall’ingresso del mondo nella sua epoca contemporanea. Dove può essere, del resto, l’attenzione nei confronti del singolo dramma umano quando tutto appare distante, il guadagno determina la politica delle grandi aziende e l’ultima risorsa della violenza è soltanto una statistica, nota a margine sul rapporto di entrate/uscite di un processo commerciale spropositato! Per non parlare delle intere nazioni sottoposte a sconvolgimenti che ne inficiano e condannano l’esistenza stessa, lasciando solo il mucchio d’ossa laddove prima sussistevano servizi e garanzie, mentre decine di migliaia d’impotenti muoiono di fame. E quasi altrettanti con la benda sopra un occhio, cupamente, decidono piuttosto di non farlo. Sapete ciò di cui sto parlando: quasi cinque secoli fa, le grandi potenze europee ed i loro coloni si trovarono a gestirne ingenti quantità nei tiepidi mari dei Caraibi, a colpi di cannoni, esecuzioni pubbliche e leggi prive di quartiere. Avevano nomi altisonanti, costoro, come Barbanera, Calico Jack, Capitan Kidd, Madame Chang… E motivazioni altrettanto variegate, tra cui la ricchezza personale, il senso di ribellione o l’acquisizione di una posizione preminente all’interno della società ombra di cui erano diventati a lor modo dei pilastri. Attaccare una nave, oggi come allora, comporta la rinuncia potenziale ad ogni prospettiva di sopravvivenza, propria, dei compagni e della controparte inconsapevole, coinvolta suo malgrado nel furore di una tale contingenza. C’è qualcosa di estremamente significativo tuttavia, nella maniera in cui gli eredi remoti di queste imponenti figure risultano ad oggi privi di un’identità precisa, non riuscendo a suscitare più neppure il senso d’indignazione ed atavica offesa del consorzio civile nei confronti delle loro azioni. Il che conduce, senza falla, a un altro tipo di problema: alle possenti compagnie multinazionali che hanno in gestione simili navi, semplicemente non interessa. Grazie all’analisi dei grandi numeri che consente di determinare un peso minimo sui loro bilanci alla chiusura annuale, sulla base di una percentuale di aggressioni, e conseguente pagamento del riscatto, comunque largamente inferiore agli introiti che derivano dai loro trasporti privi d’incidenti. Mentre le stesse compagnie assicurative, come condizione per la stipula di un contratto, prevedono un codice comportamentale secondo cui l’equipaggio abbordato deve immediatamente arrendersi ed agire come intermediario per gli accordi con i propri catturatori, nella creazione di circostanze, se possibile, ancor più profittevoli verso la condotta dei criminali. A meno d’implementare, almeno in linea di principio, valide e risolutive idee…

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