La beccaccia balla senza cubo

American Woodcock

Non vola tanto spesso, questo uccello, ma quando finalmente si decide… L’american woodcock, o scolopax minor, è un abitante dei boschi dal peso di 230 g al massimo, con il becco a punta e gli occhi tondi e neri, stranamente arretrati sulla testa. Cresce presto. Mangia vermi. Si mimetizza. E quando arriva la tardiva primavera, negli stati nevosi in cui è solito abitare, la saluta per il tramite di uno speciale rituale. La danza e il canto di un amore senza fine, espresso in quel linguaggio universale che si può tradurre in gesti, suoni e sentimenti. Memorabile è il suo modus, degno di entertainer consumati, con le penne ben rodate da milioni d’anni di evoluzione. Verso sera e verso sud, dondolandosi tra i bassi cespugli dove ha costruito la sua casa, l’uccello raggiunge i margini della vegetazione. Emerge dagli alberi natii, da quel tiepido rigoglio, stando bene attento che non sia presente un predatore. Quindi, trovata una radura, un pascolo, uno spiazzo qualunque, subito si mette a gorgheggiare. Con il caratteristico piglio onomatopeico della lingua inglese, esiste un verbo apposito che definisce pienamente il verso di questa beccaccia: (to) peent. Peent, peent, peent (ripetere ad oltranza) Poetando in tale modo il suo entusiasmo, il maschio inizia a passeggiare in circolo, guardando bene intorno, nella speranza di scorgere la sua compagna. Lo fa per una, due, tre serate. Finché, d’un tratto eccola lì. La gallina (hen) splendida della foresta, decisamente più imponente del suo principe marrone. Lui incrocia il suo sguardo per un attimo, stringe il becco e dispiega le potenti, tozze ali. Tempo di far festa.
Lo scolopax può tenersi in aria ad una velocità di soli 8 Km/h, un record all’incontrario, tra i suoi simili pennuti. Fa tutto parte dello show. Il culmine operativo dello spettacolo aereo, ad ogni modo, ricorda un po’ l’attacco dello Stuka, il bombardiere tedesco che fischiava in picchiata per gettare nel panico il nemico. Come quest’ultimo, l’uccello vola in modo erratico e scomposto, benché non abbia il fine di dissuadere la contraerea. Si alza a 100 metri di altitudine, continuando il suo *peentare* finché a tale suono non si aggiunge un nuovo accordo; è un sibilo, il fischio del finale. Lo produce sempre lui, con le penne esterne delle ali.
In una folle discesa, valido contrappunto del suo vagheggiare precedente, si arresta in una parabola elegante, tra l’erba lievemente mossa dal vento. Nel silenzio ritornato della sera, lui ritrova la sua lei.

Leggi tutto

La vendetta dell’oblungo ballerino

s Funk Guy

Chi l’ha visto, assai probabilmente, lo ricorda. Difficile rimuovere dai propri archivi il sottile, storto volto di Cool Guy, l’uomo ganzo. Persino pericoloso. Di questi tempi, colorati pupazzi californiani si armano di fucili giocattolo, oppure di sassofoni, poi vanno e danzano per strada in cerca di celebrità. La prima volta è capitato nel 2009, sulla sincopata musica di un breve brano funk. Alquanto ripetitivo, ma tant’è. Ci aveva pensato un certo Grigio un po’ dinoccolato, con la felpa ed il cappuccio, come fosse fuoriuscito dall’ennesimo episodio degli X-Files, a dargli un senso duraturo. Internet funziona in questo modo: qualcuno crea una cosa, poi sparisce. Milioni di persone cliccano il gustoso video, lo commentano ne aspettano l’evoluzione. Poi per anni tutto tace, fino a che… Da un paio di settimane, sul canale YouTube dei Lonely Boy Industries, il duo di comici auto-pubblicato dietro a quell’idea memetica senza particolari imitazioni, si svolgeva questo strano conto alla rovescia. Sullo sfondo di scenari cittadini poco chiari, sulla spiaggia di località non meglio definite, c’era nuovamente lui, quello che non parla: con la stessa maschera violacea che nasceva da “un progetto scolastico di Devin” (cit. Knowyourmeme) e il passo degno di uno showman anni ’50. A questo punto pensavamo tutto fosse chiaro; ahimé, che svista!
Giorni cupi richiedono l’apporto di più freschi buontemponi. E giustappunto, sull’alzarsi del sipario virtuale, sullo schermo abbiamo ritrovato non il già celebre Cool Guy, ma il del tutto nuovo “Mr Funk”. Con una corporatura che pare fuoriuscita dritta dal pianeta folle di ToeJam & Earl (Sega Megadrive – 1991), l’indimenticabile epopea funk dei videogiochi a 16-bit, l’allegro figuro vanta pantaloni bianchi, scarpe lucide e camicia fantasia. Ma sopratutto un ponderoso capoccione con sopracciglia fuori posto, capelli crespi e bocca tonda. I suoi creatori, coadiuvati da un notevole miglioramento tecnico nel plasmare la cartapesta, hanno giocato sulle strane proporzioni: le mani del costume sono finte ed alla fine di avambracci spropositati. Questa incongruenza, fra le altre, è forse quella che contribuisce maggiormente alla stranezza dell’insieme. I fondamenti del genere musicale cosiddetto “sporco ed attraente” nato dai fortuiti sincretismi tra la musica del jazz e il blues, dovrebbe soprattutto favorire un senso naturale di cameratismo. La fratellanza festaiola di chi ha soltanto voglia di giocare, libero da pregiudizi e inibizioni. Peccato che questo fatto, per astruse ragioni, nessuno l’avesse mai comunicato al primo mietitore della serie. Che si nascondeva fra le mangrovie soffocanti…

Leggi tutto

Musica di rocce vietnamite

Litofono

A vedere questa ragazza vietnamita con due martelli, mentre suona il suo litofono ancestrale, sovvengono questioni stravaganti. Come questa: chi l’avrebbe mai detto, che rock è un genere, ma anche uno strumento! Nascosto nelle viscere magmatiche di questo mondo c’è un macigno così pesante, grosso e denso da resistere alle forze delle epoche trascorse. È lucido ma opaco, smussato ai bordi, eppure frastagliato. Nessuno l’ha mai visto, né sentito. Ha molti nomi e due pronomi, poiché racchiude Venere, femminea, ma anche Marte, il vigoroso. Tale roccia monolitica ed immota, se percossa col martello, produrrebbe un suono tanto preminente, così accattivante, da poter svegliare draghi ed unicorni. Per secoli e millenni la soave pietra, bella e maledetta, è stata al centro dei pensieri e delle gesta degli esploratori, armati della zappa, della corda del piccone. Mentre narratori e menestrelli, con la penna e con la cetra, l’hanno tratteggiata pure troppe volte, tramite parole dalla dissonanza sovversiva. Maledette malelingue. Cerca e scrivi, sfrega e stridi, siamo giunti a questa conclusione: questa qui è la Volta, il Paragone. Se davvero fosse mai trovata, tale stele, se qualcuno la suonasse, nascerebbe l’universo. Con un doppio tonfo sordo, in sovrapposizione a quello già esistente! Un disastro senza precedenti. Ciò che serve per la mente non è quella originale ma una copia, l’approssimazione.
Nulla si crea e niente si distrugge, tranne le note di una qualsiasi melodia. Termodinamica permettendo, certe vibrazioni sono figlie di due fonti ben distinte: una è la mente, l’altra l’energia. Non puoi contare i tuoi neuroni, da vivo. C’è un contenuto di pensieri che si aggiunge a quell’oscillazione di atomi e ossicini, dentro al tubo misterioso dell’orecchio umano. Giustappunto, furono i nostri antenati ad inventarla. La musica. Come il fuoco, acquisito per associazione dalla furia elettrica dei temporali, anche il suono armonico è stato ripreso dalle cose preesistenti. Che affioravano placidamente, sotto i piedi, senza voce ma ricche di precipue possibilità. Difficile intuire chi l’abbia capito prima, dietro a che confini, sotto quale sole. Però ebbene, in Vietnam, prima delle antiche civiltà, alcune culture montanare erano solite scavare delle pietre assai particolari…

Leggi tutto

Sinfonia meccanica delle palline in volo

Pipe dreams

Al primo piano della sede Intel di Richmond, Arizona risiede uno strumento articolato che può produrre solamente una ritmica, balzana sinfonia. È un pezzo unico nel mondo dei teatri, senza pari tra le orchestre di chi è desto eppure mille volte riprodotto, nei menti e nelle case degli appassionati della musica del sogno. Soprattutto se ricerchi la sua genesi remota, tanto strana ed improbabile, l’incontro di tre aziende ultramoderne, unite giusto per produrre questo flipper arzigogolato. Lo spettacolo, che si avvia alla semplice pressione di un pulsante, proviene da un’animazione tridimensionale, intitolata con la semplice dicotomia in inglese Pipe Dreams. La quale è stata, forse, la più celebre prodotta ultimamente in questo campo trascurato: provvedere con le immagini alla melodia. Piuttosto che il contrario, come avviene molto più di frequente, per l’analogia verso un modello assai frainteso. Innumerevoli sono gli adulti di oggi, bambini giusto l’altro ieri, che conobbero Johann Sebastian Bach, Ludwig Van Beethoven e Paul Dukas seguendo le peripezie di Topolino, l’apprendista stregone al cinema con Fantasia (Disney – 1940). Tra scope irrequiete, allegorie naturalistiche, centauri, struzzi ed ippopotami, che ripercorrevano nei gesti l’altercare delle note messe insieme da quei grandi, celebri compositori del passato.
Musica ed immagini perfettamente uniti, cadenzati verso un effetto neurologico che viene detto la sinestesia (vedere sentendo, sentire vedendo). Il quale oggi è ricercato, di continuo, da duemila videoclip e videogames. Verso l’ultimo confine della noia. Sarebbe stato meglio chiedersi, fin dal principio, da che cosa provenisse un tale amalgama di percezioni e quanto, in effetti, fosse stato un semplice stilema narrativo.

Leggi tutto