Gee Bee Model R: la potenza di un barile volante

Esistono diversi tipi di grazia a questo mondo e non tutti corrispondono a una forma efficiente e aerodinamica, benché tali concetti, a seconda del contesto, possano trovarsi espressi in modo totalmente differente. Per quanto concerne a tal proposito il più veloce e performante aeroplano ad essersi staccato da una pista di decollo fino al 1932, appare evidente come il metodo progettuale dei suoi costruttori fosse stato finalizzato ad uno scopo in realtà molto specifico: mettere un (piccolo) paio d’ali ai lati di un motore Pratt & Whitney Wasp R-1340 da 1,344 di cilindrata, capace di erogare 800 cavalli grazie ai suoi 9 cilindri disposti a raggiera. Ora per quanto concerne i motori radiali, molto popolari nel mondo dell’aviazione in quegli anni, possiamo oggi riconoscere a pieno titolo i loro importanti vantaggi operativi: affidabilità notevole, semplicità di riparazione quando necessaria, costo inferiore a parità di caratteristiche e notevole versatilità. Di contro, tuttavia, essi avevano un’ulteriore caratteristica: il volume e il peso, molto spesso significativi per definizione. Ecco perché, nell’integrarli in un qualsiasi tipo di velivolo, quasi nessuno avrebbe mai pensato di tralasciare il rapporto proporzionale tra l’impianto in questione e il resto dell’aereo, pena l’ottenimento di quella che potremmo definire a pieno titolo “una bestia nera” del pilota intenzionato solamente a fare il suo lavoro.
Ma i cinque fratelli Granville di Springfield Massachusetts, guidati dal maggiore nonché meccanico dal nome inusuale Zantford, con il loro “Gee Bee” Model R dai notevoli 473.8 Km/h di velocità massima (dove “R” sta per racing, neanche a dirlo) non avevano condotto le comuni operazioni di un produttore aeronautico, in contesti ragionevoli o all’interno di un impianto totalmente funzionale. Fu anzi estremamente celebre, nell’America di allora, la storia di queste nuove leve nel settore delle corse aeronautiche che lavorando all’interno di una sala da ballo nella periferia della loro cittadina misero assieme pezzi di recupero e forniture tecnologiche di pregio, nella costruzione di quello che avrebbe rappresentato in seguito uno dei più iconici, e pericolosi aerei monoposto in questa classe ingegneristica di creazioni. Il che non era, almeno in origine, lo scopo prefissato: all’origine dell’eponima compagnia Gee Bee (nient’altro che una traslitterazione delle iniziali di Granville Brothers) c’era infatti un obiettivo di tutt’altro tipo, ovvero la creazione di una nuova linea di aeroplani ad uso personale, in un passaggio della storia in cui sembrava che pressoché chiunque, tra le classi sociali maggiormente benestanti, si sarebbe dotato di un simile apparecchio per le proprie escursioni in cielo. L’operosa ditta produsse dunque tra il 1929 e il ’30 una lunga serie di prototipi, identificati con le lettere dell’alfabeto e tutti facenti capo alla serie definita come Sportster, con un buon riscontro da parte della stampa e un apparente successo tra il pubblico, specie dopo il secondo posto ottenuto dal Modello X con il pilota Lowell Bayles nella corsa volante tra Detroit e San Francisco organizzata dalla Cirrus Engine Company nel 1930. Un’impresa che sarebbe valsa ai produttori ben 7.000 dollari, immediatamente reinvestiti nella ricerca e sviluppo di nuove soluzioni tecniche verso la creazione di un aereo da produrre in serie. I fratelli non avevano tuttavia ancora fatto i conti con l’enorme ostacolo che stava per piombare sui loro progetti: quello sconvolgimento economico, finanziario e sociale destinato a passare alla storia come Grande Depressione, il cui spettro avrebbe lasciato un marchio indelebile sulle alterne fortune dell’universo economico del Novecento.

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Lo stadio che controlla l’alba e il tramonto del Superbowl

E fu così che il giorno lungamente atteso giunse come una cometa, attraversando la casella rilevante del calendario. Scie di fuoco e fiamme accompagnarono l’evento: “Il più noioso da generazioni! Tutta difesa, niente azioni lunghe e interessanti!” Dissero i più infervorati fan dell’una (Patriots) vincitrice e l’altra (Rams) ahimè, perdente. Mentre sul tradizionale e irrinunciabile show di metà partita, precedentemente interpretato da personaggi del calibro di Michael Jackson e Prince, gridavano le malelingue: “Adam Levine, ci hai fatto rimpiangere Lady Gaga! Riuscendo in più a deludere i firmatari della petizione per commemorare con la musica il defunto Hillenburg, l’autore di Spongebob” Di questi tempi non è mai saggio ignorare il popolo di Internet, poco ma sicuro. Così la gente inviperita, durante il più importante evento annuale dello sport statunitense, finiva l’altro giorno per guardare assai più lungamente in alto, interrogandosi su una questione per lo più collaterale ed eppure, a suo modo, estremamente accattivante. Se n’era del resto parlato molto nel corso dell’ultima settimana, il che poteva essere interpretato come un segnale positivo in merito alla capacità di una simile partita di Football di catturare l’attenzione popolare: “Aperto o chiuso? Aperto o chiuso? Riusciremo ad apprezzare lo splendido colore dell’azzurro cielo, mentre i giocatori eseguono le loro gesta nel servizio della sacrosante Finale” Risposta pessimista, no impossibile fa troppo freddo. Risposta ipotetica, si, speriamo i meteorologi abbiano ragione. Risposta a posteriori e basata sull’effettiva realtà dei fatti: in parte. Poiché esattamente 24 ore prima dell’inizio, l’ufficio stampa del geometricamente appariscente Mercedes-Benz Stadium della città di Atlanta, recente aggiunta al ricco carnet di attrazioni cittadine capace di contenere fino a 75.000 persone, si preoccupavano di annunciare che l’appariscente soffitto convertibile dell’edificio, manovrabile nel giro di 12 minuti in maniera esteriormente simile a un obiettivo di macchina fotografica, sarebbe stato chiuso solamente al risuonare del fischio d’inizio della partita. Restando invece aperto fino all’ultimo momento, permettendo agli spettatori di assistere al passaggio sulla verticale della squadriglia acrobatica con gli F-16 degli United States Air Force Thunderbirds. Il che assolveva essenzialmente a due obiettivi, entrambi egualmente importanti: utilizzare finalmente a pieno questa importante risorsa urbana costata 1,6 milioni di dollari, e mostrare al pubblico riunito l’ineccepibile scenografia offerta dalla sua caratteristica più particolare, parte dello spettacolo almeno quanto il complicato sistema di carrucole e pulegge che faceva emergere i gladiatori nel Colosseo dell’antica Roma.
Così allo zenit dell’aspettativa pubblica, ed il nadir dell’entusiasmo prossimo alla delusione, le dozzine di telecamere sono state puntate all’unisono in maniera obliqua, oltre l’anello del maxi-schermo a LED più grande al mondo (srotolato, sarebbe alto quanto la torre Eiffel) per riprendere il più accattivante esempio d’ingegneria al servizio dell’architettura, un gigantesco occhio che si chiude a comando. Ed almeno in quel momento, il più spontaneo applauso ha risuonato tra le moltitudini coinvolte in un momento che si percepiva essere storico, a suo modo…

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Scie di fuoco intiepidiscono i binari americani? C’è un perché

Il 24 gennaio del 2019, senza nessun altro preavviso che una vaga preoccupazione tra i principali interpreti dei dati meteorologici a disposizione, il vortice polare si è abbattuto sugli stati del Midwest e il Canada Orientale, causando effetti ad ampio spettro e conseguenze largamente deleterie. Nel giro di una settimana appena, le temperature sono scese fino ed oltre il punto d’incontro tra i gradi Celsius e Fahrenheit (-32) in diverse regioni del Michigan, l’Indiana e il Minnesota, mentre il record veniva raggiunto dall’Illinois, presso la cui capitale Chicago il vento gelido faceva registrare una temperatura percepita di -41 gradi. Sensibilmente più bassa di quelle registrate attualmente in Antartide, dove tra l’altro, trattandosi del punto più meridionale del nostro intero pianeta, è al momento estate. Nel corso della scorsa settimana quindi, i media locali e internazionali hanno potuto assistere alle misure preventive messe in atto da un centro amministrativo il quale, pur trovandosi alle prese con un caso limite, possedeva ben più di una nozione per far fronte alle ondate gelide, essendosi trovato più volte nel corso delle ultime decadi a far fronte a simili anomalie. Come ci si sente, dunque, ad essere il più precoce baluardo che deve affrontare per primo gli effetti geopolitici del mutamento climatico terrestre? Saldi, forti nei propri principi e lievemente bruciacchiati. Come avranno certamente pensato i pendolari ferroviari che, nel corso della scorsa settimana, si sono ritrovati ad assistere a uno spettacolo piuttosto insolito: il personale della Metra, principale linea ferroviaria cittadina, che in preda ad una sorta di follia collettiva sembravano gettare kerosene ed altri liquidi infiammabili sui più remoti recessi della loro preziosissima strada ferrata. Mentre con un ghigno indotto dallo sforzo psicologico e sentimentale, appiccavano un incendio nella pozza risultante, per poi starsene a guardare i risultati.
Ora tutto questo può sembrare strano, ma il fatto è che per quanto concerne un treno elettrico o alimentato a diesel, non c’è semplicemente nulla che possa prendere fuoco nella sua parte inferiore: soltanto il metallo delle ruote e potenzialmente le condotte di alimentazione di un fluido il quale, per ardere, non può accontentarsi delle sole temperature elevate, ma necessita di fiamma “e” pressione. Ciò che in molti hanno tardato a interpretare, dunque, non era una sorta di atto vandalico indotto da una sorta di follia collettiva, bensì una procedura di assoluta urgenza, pena il letterale disgregamento della ferrovia.
Tutto inizia dalla reale natura di un binario, un concetto ingegneristico che da sempre appare, erroneamente, certo ed immutabile lungo il sentiero. Quando la realtà dei fatti è che l’acciaio utilizzato, fin dalle origini di un simile dispositivo, è assai flessibile ed al tempo stesso, capace di espandersi e contrarsi in base alla temperatura. Il che porta a un procedimento d’installazione che potremmo paragonare, con una similitudine efficace, a quello di un elastico allungato fino all’estensione massima, per poi essere fissato tramite una serie di puntine. Si chiama, in lingua inglese, rail stressing e prevede il surriscaldamento entro linee guida molto generose dell’intera estensione di strada ferrata ben prima della sua inaugurazione, spesso mediante il fuoco stesso, al fine di evitare il caso limite peggiore: un binario che, allungandosi per il calore estivo, possa deformarsi e causare un qualche tipo di deragliamento. Caso vuole, tuttavia, che il freddo eccessivo di questi giorni, almeno senza nessun tipo di contromisura, possa causare danni forse meno gravi ma altrettanto duraturi…

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Gli spettacolari ombrelli giganti che proteggono la città di Medina

Quando il fondatore dell’Islam Maometto lasciò la Mecca nel 622 d.C, con i 75 mussulmani che l’avrebbero accompagnato nel viaggio a dorso di cammello noto come ègira fino alla città di Medina, l’ispirazione divina di cui era stato investito gli permise subito di capire come il passaggio successivo sarebbe stato costruire l’importante luogo di culto destinato a diventare Al-Masjid an-Nabawi (la Moschea del Profeta). Originariamente una piazza esposta alle intemperie delimitata da tronchi di palma, in un luogo precedentemente utilizzato come cimitero ed in parte per essiccare i datteri, essa dovette entro pochi anni venire ampliata e dotata di un tetto fatto con le foglie intrecciate assieme. Questo perché, con una temperatura media estiva in grado di raggiungere e superare i 40 gradi, la sua intera regione oggi appartenente all’Arabia Saudita non è propriamente tra le più adatte per soggiornare all’aperto, sopratutto mentre si compiono i lunghi e complessi riti opportuni per rendere omaggio ad Allah. Attraverso le generazioni questo importante punto di riferimento per l’intero mondo islamico quindi, iniziò ad essere considerato il secondo più santo dopo la Grande Moschea della Mecca che custodisce il nero edificio della kaʿba, in virtù del fatto che proprio qui venne sepolto Maometto stesso, nel luogo successivamente abbellito con la celebre cupola verde edificata in epoca più recente dal sultano ottomano Mahmud II (anno di costruzione: 1837). Ciò la rese una meta essenziale, per qualunque pellegrino che fosse degno di tale qualifica, aumentando esponenzialmente la quantità di persone pronte a raggiungerla al punto che la moschea, per quanto sottoposta a successive grande opere d’ampliamento, non avrebbe più potuto, semplicemente, riuscire a contenerle. Nonostante le migliori intenzioni, non c’era molto che si potesse fare in epoche precedenti alla nostra per impedire alle moltitudini di prostrarsi sulla pubblica piazza antistante, rischiando più d’un malore a causa delle temperature elevatissime dei suoi pavimenti ornati. Questo finché al re di epoca contemporanea Abdullah bin Abdulaziz Al Saud (in carica: 2005-2015) non venne l’essenziale idea di trovare una soluzione convocando alcuni dei più abili architetti e ingegneri a disposizione sotto la supervisione del tedesco Mahmoud Bodo Rasch, affinché progettassero la serie di 250 installazioni dall’alto grado di funzionalità note come ombrelli dell’Haram (Luogo Sacro).
Per chiunque visiti la prima volta questa importante capitale, quindi, sarebbe difficile sopravvalutare la vista inimmaginabile e quasi surreale di una simile pletora di strutture, individualmente alte 15,30 metri o 21,70 da chiusi, con un’area ombreggiata di esattamente 25 metri quadri. E complessivamente, la capacità di coprire tutti e 143.000 quelli occupati dalla vasta piazza, offrendo un’area climaticamente controllata e al sicuro dai malanni causati dal grande caldo, anche grazie a un sofisticato sistema di ventilatori con nebulizzatori d’acqua installati sulle loro colonne di sostegno. Con l’avvicinarsi della sera quindi, chiudendosi con una sequenza automatica per non urtarsi a vicenda, gli ombrelli lasciano salire il calore accumulato dal pavimento verso il distante cielo. Affinché il giorno successivo, ancora una volta, i pellegrini della Moschea possano condurre le loro attività nella sicurezza garantita da uno stato costante d’ombra e ragionevole refrigerio.

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