Gumi, pappagallo dallo strano verso che sghignazza beffardo contro il Web

Chi non conosce il mito cinematografico dell’urlo di Wilhelm? Soprannome dato alla famosa registrazione dell’ultimo sussulto, emesso da un anonimo individuo che precipita lontano dal microfono, presumibilmente all’interno di un profondissimo fossato. Tanto anonimo da diventare, in un interminabile elenco di pellicole, il sinonimo pressoché inevitabile della fine di svariati “cattivi” o i loro sgherri, condannati dal destino a pagare il prezzo più alto per la loro divergenza dalle più commendevoli norme del vivere civile. I videogiochi, a loro volta, sono pieni di effetti sonori iconici, molti dei quali rimasti indissolubilmente legati a particolari serie lunghe plurime generazioni: il “DING” delle monetine di Super Mario, lo strano risucchio delle paratie spaziali a scorrimento verticale in Doom (e innumerevoli altri sparatutto coévi) il trillo allarmante prodotto dalle guardie che avvistano il giocatore nella serie stealth di Metal Gear Solid. E forse in molti penseranno, a questo punto, a un altro grande classico rimasto negli annali, anche grazie alla quantità di seguiti che ancora affollano gli scaffali virtuali dell’industria: il franchise zombie-horrorifico di Resident Evil, con le sue porte tutte egualmente cigolanti, allo stesso modo arrugginite. Capaci di produrre la perfetta e prototipica rappresentazione nello spettro aurale di un cardine che per ogni aspetto rilevante, sembrerebbe aver sperimentato giorni migliori. Momento il cui campionamento in epoca recente, nell’organizzativa realtà dei fatti, potrebbe aver coinvolto direttamente la figura professionale di Hideaki Utsumi, il quale si presenta al pubblico come ex-tecnico del suono per la compagnia nipponica CAPCOM, con all’attivo partecipazioni curricolari anche alla saga di Devil May Cry, ancor prima di un recente trasferimento presso la storica compagnia HAL (Pokèmon, Kirby, Alcahest…) E diventato imprevedibilmente celebre da pochi mesi a questa parte, in aggiunta a tutto ciò, per la pubblicazione online di una serie di video con protagonista il suo simpatico amico piumato, un pappagallo dal colore rosso che ha deciso di soprannominare pubblicamente Red Birb.
Un vero e proprio “Uccello Rosso” il cui vero appellativo è Gumi, la cui specie d’appartenenza, dopo un breve approccio investigativo, si scopre essere quella del Lorius garrulus o lori garrulo delle isole indonesiane, creatura nota per il suo forte richiamo e un’entusiastica, benché tutt’altro che perfetta, capacità di riprodurre le voci umane. Il cui ruolo nella fattispecie sembrerebbe configurarsi, d’altronde, nel far trovare il grande pubblico a contatto con la sottovalutata idea, che anche un semplice pennuto non più lungo di 30 cm possa riuscire a creare una particolare sequenza d’onde sonore capace d’entrare a pieno titolo negli annali super-selettivi del vasto Web. Come una risata vagamente subdola, non mancano risvolti presumibilmente malevoli, o in alternativa il suono di un piccolo motore che fatica ad avviarsi, traslitterato ufficialmente e dai suoi molti fan dei commenti di YouTube con l’onomatopea ripetitiva “wuewuewuewuewue” che non riesce tuttavia ad esprimere neanche una frazione dell’effetto comico e sorprendente che si realizza, mentre il buffo personaggio fa oscillare ogni volta la testa da una parte all’altra, facendo vibrare il becco di un color arancione acceso. Frangente che riesce a realizzarsi nei momenti meno prevedibili, come durante il gioco con il suo padrone, mentre avvicina la testa ad un telefono (benché si tratti, in effetti, dell’altoparlante) o ancora rotolandosi felice tra le coperte, quando all’improvviso, dopo un attimo d’immobilità, si volta verso la telecamera poco prima di prodursi nella sua più amata e caratteristica esecuzione. Già rivelatosi capace di trasformarsi in un meme, grazie agli innumerevoli fotomontaggi in forma di gif o altro simile formato, spesso ispirati a vari titoli del mondo videoludico che tanto ha saputo dare, ricevendo altrettanto in cambio, nelle pregresse esperienze lavorative del suo padrone…

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Quanta rabbia è in grado di manifestare un bianco “struzzo” sudamericano?

Si presuma che tu debba cavalcare l’onda. Sfruttare, replicare la preziosa chiave del tuo successo; in altri termini, donare in cambio la canonica libbra di carne, avendo in cambio fama, successo e perché no, anche una certa quantità di denaro. Ciò prevede in fin dei conti quel sistema mediatico del Web, usato in tanti casi per questioni inutili o facete, ma che per Ben, il fondatore e proprietario del rifugio per animali TURR (The Urban Rescue Ranch) di Austin, Texas è parte inscindibile di uno stile di vita finalizzato al patrocinio, la tutela e la continuativa convivenza con un’ampia varietà di creature: opossum, polli, anatre, conigli, maialini, struzzi, emu e un canguro. Più qualcosa, o per meglio dire un qualcuno, dall’aspetto eccelso ma la personalità decisamente problematica, l’amato/odiato Kevin, membro della specie aviaria Rhea americana o comune, che più che avere un diavolo per capello sembra essere, lui stesso, la manifestazione piumata dell’intera chioma di Lucifero svegliatosi parecchio male. Così la prima volta innanzi al pubblico, verso la fine del mese scorso è apparso sul suo canale di YouTube, successivamente ai vari e collaudati Instagram, Patreon, Tiktok ed Onlyfans, un esempio della tipica interazione tra uomo e un simile animale, per cui alcuna espressione proverbiale potrebbe rivelarsi maggiormente appropriata che “beccare la mano che lo nutre”. Ovvero il braccio intero, inseguito ed inquadrato con sguardo malefico, prima di pinzare dolorosamente a sangue la pelle del suo amichevole ed intraprendente padrone, lasciandogli l’unica risorsa possibile che afferrare un coperchio di plastica del cesto della spazzatura. Per difendersi come possibile, vibrando qualche colpo bonario sulla testa del suo acerrimo persecutore. È soprattutto una scena divertente che parrebbe uscita in via diretta da un qualsiasi cartone animato, tale da condurre nuovi spettatori agli exploit mediatici di questa vittima costantemente in cerca di visibilità a fin di bene. Ma può altrettanto facilmente diventare l’occasione, se vogliamo, di approfondire l’indole e il comportamento di questo abitante poco conosciuto delle pampas sulla punta meridionale del continente americano, che tanto spesso viene scambiato, negli zoo e fattorie, per un semplice struzzo, quando in effetti possiede una natura e caratteristiche ben diverse. Pur appartenendo, per morfologia e codice genetico, al raggruppamento tassonomicamente informale dei ratiti, dal latino ratis, per la forma piatta (“a zattera”) del proprio sterno, privo dei complicati processi coracoidei necessari a una muscolatura capace di spiccare effettivamente il volo. Il che tende a permettergli, di contro, il raggiungimento di dimensioni decisamente notevoli, come non fa certo eccezione il rhea o nandù grigio, come viene chiamato dalle popolazioni di Uruguay, Bolivia, Brasile e Paraguay, capace di superare agevolmente il metro e settanta, potendo così guadare eventuali vittime umane direttamente negli occhi, prima d’iniziare a caricarle. L’impressionante aggressività del nostro Kevin, dunque, non è un tratto caratteriale eccessivamente insolito, quando si considera l’indole tipicamente territoriale di questi ottimi corridori, che sono soliti riservare a se stessi e famiglia un considerevole spazio tra i 2 e i 3 Km quadrati, entro cui qualsiasi cosa abbia l’iniziativa di mettere piede fatta eccezione per altri erbivori come i guanaco, tollerati e usati con la logica del branco interspecie, dovrà essere sistematicamente distrutta secondo una precisa prassi ereditaria. Che l’uccello rende manifesta, in modo particolare, già successivamente alla stagione degli accoppiamenti, tra luglio e gennaio, quando trascorsi i 25 giorni prima della deposizione delle uova, e gli ulteriori 20-30 di covata da parte del padre, quest’ultimo diventerà talmente protettivo nei confronti dei nuovi nati da scacciare via persino i membri della stessa specie, inclusa la madre con cui aveva collaborato per riuscire a metterli al mondo. Un comportamento dettato da presupposti ben precisi e per i piccoli comparativamente del tutto indifesi nei confronti dei predatori, rispetto ai genitori con la loro formidabile forza e capacità di reagire aggressivamente nei confronti del nemico. Senza contare la capacità di correre fino alla velocità di 30 miglia orarie lasciando nella polvere anche il coguaro medio, unico predatore capace di fagocitare un membro adulto di questa specie. Mentre le creature capaci di costituire un pericolo per i nuovi nati includono volpi, coyote, gatti delle pampas (Leopardus colocolo) e l’armadillo villoso maggiore (Chaetophractus villosus). Nonché ovviamente, la più pericolosa specie di tutte, quella a cui appartiene la stessa vittima texana di quel becco notevolmente affilato…

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Felicità: che cos’è un lungo serpente di monopattini brasiliani?

Silenziosi e non troppo desiderabili monumenti, spuntati in mezzo al centro storico delle nostre città turistiche e rinomate, questi arcani attrezzi rappresentano il bisogno più evidente di dare una scossa significativa alla mobilità urbana: niente chiasso, né parcheggio, zero emissioni grazie alla metodo della propulsione elettrica, grande bandiera degli obiettivi tecnologici nell’immediato futuro. Per chiare e significative linee di ragionamento, tuttavia, appare ormai poco probabile che il monopattino possa giungere a sostituire l’automobile nell’intera gamma delle sue funzioni, persino all’interno delle mura che delimitano i nostri più vicini e semplici bisogni nel quotidiano. Rischio d’incidenti, flessibilità atletica, prontezza di riflessi, coraggio di affrontare i pericoli che corrono a lato degli affollati marciapiedi… Queste ed altre simili ragioni, qui convergono a ridefinire il senso di una soluzione maggiormente utile al ragazzo in cerca di svago, il turista incuriosito ed altri simili recessi del variegato consorzio umano. Eppure dove mai sarebbe, nella scelta di un tale noleggio, la spontaneità? Dove il senso creativo dell’individuo, incline a dare un senso a un pomeriggio privo di computer, cellulare, Playstation e Nintendo Switch? Per un servizio creato e dedicato esclusivamente ad un pubblico adulto. E persino nei riguardi di quest’ultimo, severamente regolamentato dalle stringenti norme della responsabilità e sicurezza civile. Pensiamo d’altra parte di poter chiamare a noi un’intera dozzina di questi dispositivi. Ed in qualche maniera combinarne il potenziale nascosto all’interno, verso la creazione di un qualcosa di radicalmente nuovo e programmatico nel suo significato apparente. Creato sul modello (perché no!) di questa impressionante attività dei giovani di Rio, San Paolo e Salvador, consistente nell’evocazione tecnologica di una creatura che in un certo senso, diede i natali e alimentò il primordiale amore degli umani nei confronti della Conoscenza. Serpe tentatrice, boa dai sentimenti nebulosi, cobra delle circostanze uniche e segrete: senza zampe eppur dotata, nella sua accezione qui presa in esame, da una lunga pletora di cuscinetti a sfera…
Nessuno è in questi lidi abituato, s’intende, a chiamarli propriamente “monopattini” bensì carrinhos de rolimã ovvero semplicemente “carretti a rotelle” benché le implicazioni di una simile definizione riescano a sottintendere ulteriori aspetti, che trovano corrispondenza in una specifica attività giovanile diffusa e praticata in buona parte dell’America Meridionale, consistente nella messa in opera di un veicolo nettamente definito. Poco più che un asse con un sedile attaccato sopra, in buona sostanza, dotata di quattro cuscinetti per uso meccanico due dei quali montati su una traversa dotata di un perno, da manovrare mediante l’impiego diretto dei piedi secondo i bisogni dell’utilizzatore. Siamo di fronte, in altri termini, al prototipo essenziale di quello che Red Bull avrebbe reso celebre negli Stati Uniti con le sue gare anti-convenzionali della rinomata soap box race, riconoscibili per le sfolgoranti personalizzazioni mediaticamente concepite per stupire un pubblico su scala internettiana…

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La fiabesca torre della birra, edificio più surreale della Baviera

La cittadina tedesca di Arlensberg, situata a circa 30 Km da Regensburg, ha molte attrattive storiche e culturali: lo splendente monastero carmelita di Klosterkirche, con l’altare riccamente dipinto e ricoperto d’ornamenti dorati; il centro cittadino simile al modello perfetto di un centro abitato nello stile tradizionale mitteleuropeo, con casette dipinte di tenui color pastello e punteggiate d’ordinate finestrelle quadrate; l’imponente Magazzino del Duca (Herzogskasten) titano premoderno candido e perfettamente logico, quanto i calcoli del grande filosofo Gottfried Wilhelm von Leibniz; la torre sconclusionata alta 35 metri, situata esteriormente alla convergenza delle Mille e una Notte, Gaudì ed un Luna Park americano, costituita da tre segmenti l’uno più imprevedibile dell’altro: un primo “stadio” fatto di mattoni, sormontato da effettivi alberi viventi, una parete cilindrica azzurra con la scala a chiocciola punteggiata da aperture panoramiche e sezioni esterne vagamente simili a boccali di cristallo bavarese e infine, l’empirea sala di una letterale cipolla d’oro, che si avvicina con la sua imponenza alla versione trasformata di un minareto mediorientale. Voglio dire, difficilmente il committente Leonhard Salleck, uno dei due padroni e direttori della rinomata azienda produttrice di birra Kuchlbauer che si trova oggi all’ombra dell’improbabile edificio, avrebbe potuto aspettarsi un risultato granché diverso, nel momento in cui convinse a disegnare l’opera l’artista austriaco ed architetto noto al mondo come “Reame Pacifico delle Cento Acque” ovvero Hundertwasser, una delle personalità più eclettiche, imprevedibili e ammirate del Novecento. Colui che, del suo rifiuto del razionalismo modernista era giunto a fare una bandiera e una dichiarazione programmatica, all’ingresso nel campo della progettazione di spazi abitativi a partire dall’inizio degli anni ’50, quando era già un celebre pittore surrealista, psicologico ed ecologista (o nella sua personale terminologia, transautomatista) all’età di soli 22 anni. “La linea retta era un tempo l’agognato simbolo della Casata Reale” scriveva Friedrich, al secolo Stowasser, nel suo Manifesto della Muffa del 1958 “Mentre oggi, qualsiasi idiota ne possiede centinaia anche soltanto negli oggetti che occupano le sue tasche, come un umile rasoio per fare la barba.”
Che ovviamente lui portava lunga e selvaggia, come ribelle era il rapporto con il mondo accademico e critici d’arte, che spesso lo criticavano per l’evidente intento di rottura con i canoni espressivi ed estetici dei suoi insigni predecessori. Puro genio ed altrettanto assoluta sregolatezza, furono così le linee guida operative, di un autore che credeva fortemente nel principio di autodeterminazione e libertà espressiva in ogni circostanza, contro le nozioni imposte dell’alto di quello che doveva essere Giusto e Responsabile nei crismi progettuali di un edificio. E bisogna ammettere che in questa sua creazione portata a termine soltanto 9 anni dopo il suo decesso sopravvenuto nell’anno 2000, l’architetto che ne ha ereditato il mandato Peter Pelikan si è dimostrato capace di dar piena soddisfazione ai crismi operativi del maestro, realizzando per quanto possibile la sua inimmaginabile visione originaria. Nonostante gli adattamenti e le limitazioni imposte dall’ente per i Beni Culturali bavarese, che ha chiesto ed ottenuto una significativa riduzione delle dimensioni per un tale punto di riferimento, originariamente concepito per raggiungere gli ancor più notevoli 70 metri. Eppure nonostante questo, altrettanto magnifico e del tutto degno di essere visitato…

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