Il ponte che serpeggia in mezzo alla risaia per condurre chi lo visita alla buddhità finale

L’utilizzo del bambù come materiale da costruzione, un’approccio che appartiene in modo tipico all’Oriente, è un metodo efficace per coniugare utilità ed estetica, durevolezza e funzionalità. Mantenendo nel contempo l’apprezzabile impressione che, tra i diversi tipi d’infrastruttura, ciò che appare in questa guisa costituisca una celebrazione trasversale di tutto quello che può essere la naturale persistenza delle cose. Anche quando interpretata, integrata e collocata nelle logiche dell’umana convivenza, sulla scala progressiva dei giorni; vedi un tempio in mezzo alla campagna e il suo sentiero lungo 800 metri e sopraelevato di 1 soltanto, nella regione thailandese di Mae Hong Son, non troppo lontano dal villaggio “caratteristico” di Pai. Vedi, in altri termini, l’alta pagoda principale del Wat Tham Poo Sa Ma (alias Dharma Phusama Park) oltre una distesa verdeggiante che è parte inscindibile di quell’irripetibile paesaggio rurale. E cosa c’è di meglio per i monaci, almeno in linea di principio, che attraversare tali campi per spostarsi tra il mondo di Buddha e quello appartenente all’uomo, per fare compere, raccogliere l’elemosina o mescolarsi temporaneamente al flusso numeroso dei turisti locali? Se non che questo particolare luogo, situato non troppo lontano dal confine col Myanmar, presenta una caratteristica che definisce in senso rilevante le particolari preferenze gastronomiche locali: per il riso, sempre riso, in pratica soltanto riso a profusione. E chiunque abbia mai avuto l’occasione d’immergersi fino ai polpacci nello strato d’acqua dove cresce tale nobile coltivazione, ben conosce le fondamentali problematiche che ne derivano; non ultima la dolorosa tendenza, largamente nota, a scivolare. Dal che l’idea risalente al 2016 del Maestro Sakorn Jaruthammo, direttore del gruppo dei monaci Kaikiri, di coinvolgere la popolazione locale nella costruzione di quella che potremmo essenzialmente definire come una lunghissima passerella, subito ribattezzata Boon Ko Ku So, ovvero il “Ponte di un magnifico avvenire”. Senz’ombra di dubbio degno di essere elencato nel Guinness dei Primati sotto diverse categorie soprattutto in connessione al materiale, se soltanto qualcuno pensasse di chiamare in questo luogo i giudici della prestigiosa istituzione internazionale. Mentre nel frattempo, il surreale ponte assolve senza drammi ed alcun tipo di problema d’usura la funzione per cui era stato costruito, assieme a un’altra che in origine, probabilmente, non moltissimi si sarebbero aspettati: agire come una sorta d’insolita attrazione turistica, ove recarsi nella caccia imprescindibile dell’ennesima inquadratura degna d’Instagram o altri equivalenti lidi digitali. Un’opportunità sfruttata almeno a partire dagli ultimi anni, con l’istituzione di una biglietteria per permettere l’accesso al ponte ai non abitanti locali soltanto previo il pagamento di una piccola somma di 20 baht, pari a 0,55 euro. Senz’altro un prezzo accessibile da conferire, per poter incorporare un tragitto tanto distintivo all’interno del proprio itinerario, mentre si conoscono una per una le notevoli attrazioni e luoghi significativi della regione di Mae Hong Son…

Leggi tutto

Il castello spagnolo che incorpora tre navi pronte per partire alla ricerca del Nuovo Mondo

Il surrealismo come arte visuale, narrativa o poetica, è quella tecnica che tenta d’integrare panorami concettuali noti con creazioni mistiche o di fantasia, associazioni metaforiche mostrate al mondo nella più istintiva delle interpretazioni, quella nata dal disegno puro e limpido delle idee. “Castelli che danzano sul mare” ad esempio, può configurarsi come un valido riferimento al mondo della navigazione, ovvero quello in cui l’ingegneria sia trovi ad essere applicata alle necessità inerenti del principio di Archimede, fin da quando volgendo lo sguardo oltre l’orizzonte, ci si pose la domanda sulle terre che potessero persistere al di là del vasto spazio ove spariscono i continenti. Forse l’unico degno di nota, almeno fino alla creazione di un complesso tanto straordinario e fuori dagli schemi, come quello concepito originariamente nel 1987, da parte di un facoltoso medico ginecologo ormai prossimo alla pensione, che decise di trascorrerla rendendo omaggio a Colón. Non l’organo ma il grande esploratore Cristoforo, che qui chiamavano, per l’appunto, Cristóbal. Nella speranza rivelatosi poi vana, di riuscire a completare l’opera in tempo per il cinquecentenario della scoperta dell’America del 1992, missione destinata invece a realizzarsi con “appena” due anni di ritardo. Una tempistica da nulla quando si considera la complessità, e soprattutto le modalità di costruzione impiegate al fine di perseguirla. E guarda caso, il risultato… Capace di gettare la sua ombra intricatissima dinnanzi a quella strada provinciale andalusa, che costeggia il paesino di Benalmádena in provincia di Malaga, lungo cui il dottore di origini catalane in viaggio dagli Stati Uniti scelse di acquistare un vasto terreno dove scegliere finalmente di realizzare il suo sogno. Una svettante allegoria, la letterale manifestazione tangibile della Storia. In altri termini, il castello monumentale di Colomar.
Interpretazione a dire il vero piuttosto libera di quel concetto, vista la mancanza di effettive fortificazioni, che d’altronde a molto poco sarebbero servite in quest’epoca di assedi di tutt’altra natura, così come l’eventuale ponte levatoio, un salone principale o le vaste residenze del padrone di casa. Questo perché nel progetto fondamentale del Dr. D. Esteban Martín nessuno avrebbe dovuto effettivamente vivere all’interno del suo grande lascito, destinato piuttosto a costituire una visione ed un suggello, relativo al personaggio che più d’ogni altro seppe dare il proprio contributo alla passata egemonia spagnola sull’Europa e il mondo durante l’intero periodo rinascimentale. Alla destinazione di quel viaggio, compiuto grazie all’opera di caravelle che fatte non furono senz’altro in muratura. Eppure in questa guisa ricompaiono, con fedeltà d’intenti mentre volgono a Ponente, nella più straordinaria commistione d’influenze e allegorie composte a beneficio dei visitatori…

Leggi tutto

Inaugurata la foresta di pilastri lungo il fiume che attraversa Shanghai

Volendo compilare il novero dei possibili edifici da costruire, in un terreno dedicato allo sviluppo urbanistico di un importante centro cittadino, sarebbe difficile immaginare un tipo di progetto più aperto a sperimentazioni o iniziative eclettiche di quello relativo ad un vasto ambiente di tipo commerciale, ovvero il più versatile, ed universalmente apprezzato, degli spazi funzionali all’intrattenimento di coloro che abitano gli immediati, relativi e non tanto prossimi dintorni. Una categoria all’interno della quale, inquadrandolo in un rapido piano sequenza, riesce a risultare alquanto impressionante l’ultimo complesso recante la firma dello studio architettonico Heatherwick, diretto dall’omonimo archistar britannico, già creatore d’innumerevoli strutture poste al punto di confine tra l’utilità pubblica e una vera e propria opera d’arte. Così è stata inaugurata allo fine dello scorso dicembre dopo i ritardi dovuti al Covid, con grande festa e irrinunciabili fuochi d’artificio, l’ultima dotazione della vasta metropoli shanghaiense, un’incredibile visione in grado di sfidare il concetto stesso di come si possa assolvere ai requisiti di un proponimento di questo calibro, attraverso la lente di una visione molto personale, e proprio per questo meritoria, dei possibili punti principali al centro gravitazionale dell’intera faccenda. Chi potrebbe mai tentare di negare, d’altra parte, l’importanza degli spazi verdi all’interno di un ambiente cittadino? Aree dedicate ai vegetali che si occupano di dare il proprio contributo alla respirabilità dell’aria, riducono l’inquinamento ed allietano la nostra percezione dei giorni, riducendo la marea di depressione che non smette mai d’avanzare. Difficile, d’altronde, immaginare un modo per accomunare la creazione di un edificio commerciale e quella di un parco pubblico, spazio rispondente a dei parametri e caratteristiche letteralmente all’opposto. A meno che…
La struttura definita ufficialmente e molto appropriatamente Qiān shù (千树) o 1000 Trees, entrambi nomi traducibili come “Mille Alberi”, rappresenta perciò la dimostrazione di un bizzarro quanto insolito connubio, grazie ad una soluzione che potremmo individuare come presa in prestito direttamente dal mondo degli insetti. Per la vistosa presenza lungo l’intero estendersi del centro commerciale di una grande quantità di pilastri strutturali in cemento, perfettamente visibili dagli ambienti panoramici sugli argini dell’antistante fiume Suzhou, in quanto situati all’esterno nella maniera conforme al concetto biologico di un esoscheletro, capace in questo caso di massimizzare gli spazi ricavati all’interno di simili avveniristiche mura. Elementi verticali, nella fattispecie, coronati tutti dall’inclusione di una vasta fioriera in corrispondenza della sommità, ciascuna delle quali contenente un albero sempreverde di grandi dimensioni. Per quello che la comunicazione pubblicitaria ufficiale si è preoccupata di definire più volte in qualità di vero e proprio “Giardino pensile di Babilonia” dei nostri giorni, sebbene sembrino mancare statue dedicate al sommo Re Nabucodonosor II, sostituite per l’occasione con opere moderne e i molti personaggi variopinti creati dagli artisti contemporanei della pop art. Degni partecipanti ad una simile celebrazione degli eccessi, in cui tutto sembrerebbe rispondere, d’altra parte, a precise norme logiche del tutto autoimposte…

Leggi tutto

L’emblema battagliero costruito per accogliere i tifosi del Qatar

Acciaio, vetro, cemento armato e la visibile realizzazione di un’idea: che il simbolo visuale di una nazione, trasferito nello spazio fisicamente visitabile di una costruzione urbana, possa trasformarsi nella prima cosa in grado di restare impressa nella mente di un eventuale turista straniero; perché è proprio in questo luogo, che si troverà ad aprire le sue valige, una volta messo piede nella stanza progettata per accogliere la sua presenza in uno dei 36 piani dei due edifici. Posta all’apice di quella che potremmo definire, in base alle apparenze, la più grande “scimitarra” del pianeta Terra. Una metafora, a volergli attribuire una definizione. Oppure la similitudine, di quello che potrebbe assomigliare, con soltanto un quantum d’ambizione immaginifica, allo stemma progettato nel 1976, dal gruppo di grafici selezionati dallo sceicco Ahmad bin Ali Al Thani. E a guardarlo bene, non manca proprio nulla: le palme quasi troppo perfette per essere reali; il mare increspato dalla brezza del Golfo Persico; una nave dalla caratteristica vela triangolare araba che prende il nome di Dhow? Immagino che possa anche passar di lì. E naturalmente, lui: il nuovo albergo noto come Katara Towers, i cui lavori ebbero inizio nell’ormai remoto 2013 per finire idealmente pochi anni dopo, se non che incontrati ostacoli di varia natura nel finanziamento, l’organizzazione e l’ottenimento dei permessi, ha finito per veder spostata innanzi la sua data di completamento ancora ed ancora. Fino a un’ipotetico ed ancora vago “2022”, giusto in tempo per i mondiali di calcio che coinvolgeranno a partire dal novembre prossimo proprio il cosiddetto Stadio Iconico di questa stessa Lusail City. E basterà un singolo sguardo, direi, per capire che stavolta ci siamo: ogni spazio definito, le facciate rifinite fino all’ultimo dettaglio. Manca solo di rimuovere, con la dovuta cura, le alte gru ed i macchinari mobili sfruttati per plasmare i materiali attraverso i lunghi anni di quest’opera alta esattamente 211 metri.
Spade curve e molto più leggere, rispetto a quelle utilizzate dai crociati medievali che si trovarono a combatterle, nel primo e turbolento incontro tra le contrapposte civilizzazioni dal diverso credo e un contrapposto stile di vita. Al punto che attraverso gli anni, la scimitarra sarebbe diventata un simbolo strettamente interconnesso alla natura del mondo arabo, tanto che portarla al fianco, ancora all’epoca di Shakespeare, costitutiva per gli attori di teatro un chiaro segno di stare interpretando un personaggio proveniente da quelle terre. Arma in realtà d’origine turca, successivamente diffusa a macchia d’olio nei paesi limitrofi per la sua brutale e comprovata efficienza, essa presentava un’ampia serie di vantaggi, a discapito di un solo, singolare punto debole: l’impossibilità di effettuare affondi all’indirizzo di un nemico appiedato. Ma una volta brandita dalla sella di una cavalcatura e usata di taglio, come nell’ideale originale del suo impiego, la sua curvatura permetteva di accentuare naturalmente il gesto di ciascun fendente, senza rimanere intrappolata nell’armatura o lo scudo del suo bersaglio. Abbastanza da creare la continuità di una leggenda, destinata a trasportarla negli attuali vessilli o sigilli di un’ampia serie di nazioni dell’attuale mondo mediorientale. Eppur forse nessuna, come il Qatar stesso, che ne fece dichiaratamente il proprio emblema successivamente all’indipendenza guadagnata dall’Inghilterra, in qualità di santuario pronto a difendere (con le armi, se necessario) i diritti dei propri abitanti di fede musulmana.
Fast-forward di qualche anno, e l’analisi di un mondo formalmente in pace, nonostante le differenze economiche e incompatibilità tra i paesi dai trascorsi storici radicalmente contrapposti, per trovare un Qatar capace di distinguersi nel suo profondo da quella stessa unione di emirati che oggi prende il nome di Arabia Saudita. Ma particolarmente incline, cionondimeno, a perseguire gli stessi fondamentali obiettivi. Incluso quello d’investire le finanze provenienti dal suo ricco patrimonio petrolifero, finché durano, all’interno dell’industria dell’intrattenimento e del turismo, ora più che mai. Il contesto all’interno del quale, essenzialmente, s’inserisce questo intero progetto del lungomare di Lusail, un sobborgo settentrionale della capitale Dohan. Autodefinitosi, con un certo innegabile diritto, come “Il più eccitante progetto di rinnovamento urbanistico attualmente in corso…”

Leggi tutto