L’incredibile visione di un lichene che cammina

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L’organismo simbiotico del fungo che convive col cianobatterio, oppure l’alga, dando vita a strutture che assomigliano piuttosto vagamente ad un vegetale in senso lato, ma in realtà sono…Tutt’altro! Incrostazioni fogliose, oppure rami piatti simili a dei filamenti, con centinaia di propaggini che puntano in diverse direzioni. C’è una grande condivisione, in questo: giacché, la metà verde della creatura, che riesce a produrre la fotosintesi, fornisce i composti organici, mentre il fungo processa e condivide i sali minerali. E noi dovremmo pensare, pur conoscendo l’organizzazione universalmente fluida della natura, che l’intero scambio si esaurisca in due esclusive controparti? Non scherziamo! Tutto ciò che è possibile, nella foresta, diventa dovuto. Incluso il fatto che una parte di ciò che dovrebbe essere, per quanto ne sappiamo, ASSOLUTAMENTE fermo, inizi attentamente a camminare. Una zampa alla volta, molto attentamente, come un camaleonte intento a mantenere il suo camuffamento. E che a un certo punto, lo strano essere arrivi addirittura a spalancare le sue ali, per poi balzare verso altri orizzonti della possibilità.
Questo video naturalistico del fotografo David Weiller, che negli ultimi giorni è ricomparso sul portale Reddit e da lì rimbalzato in giro per la blogosfera e alcuni tra i principali quotidiani online, raffigura un essere che sembra quasi familiare, ma in realtà appartiene ad una specie con alcune significative differenze. E con questo voglio dire che si, l’incredibile ninfa di Markia hystrix ripresa in Costa Rica non è che un’altra stravagante saltatrice tra gli insetti, ma del tipo appartenente alla genìa dei Tettigoniidae tropicali, comunemente definiti in lingua inglese con il termine onomatopeico di katydids (perché il loro frinire sembra ripetere all’infinito: Katy did, Katy did…) e che noi chiamiamo, per antonomasia, cavallette verdi o cavallette dalle corna lunghe. Le quali hanno in realtà ben poco a che vedere con le locuste comuni dalla tipica livrea marrone, ma risultano piuttosto simili ai grilli, in quanto non formano sciami, hanno le orecchie sull’addome e non sulle zampe ed emettono il tipico richiamo facendo stridere tra loro degli appositi organi, posti sulla parte superiore del doppio paio d’ali. Ma soprattutto sono caratterizzate da straordinarie capacità di mimetismo. L’avrete probabilmente notato! Oppure… Forse no. È del resto una questione mirata ad ingannare gli altri esseri viventi ed in particolare le nostre parenti scimmie, che notoriamente impiegano gli artropodi che vivono in prossimità della cima degli alberi come gradevole fonte di proteine. I quali, molto giustamente, fanno il possibile per rimanere inosservati.
Il tipico katydid, nella maggior parte dei casi, si accontenta di assumere una colorazione nettamente clorofilliana, contando sulle sue dimensioni approssimativamente simili a quelle di una foglia per confondersi nel mezzo della chioma sottostante. I primati, tuttavia, che sono straordinariamente furbi ancor prima che agili, in epoca remota appresero le caratteristiche esteriori che tradiscono l’insetto per ciò che realmente è. Proprio per tale ragione, attraverso secoli di evoluzione, nei paesi in cui la caccia si è fatta più spietata ed insistente, la famiglia delle piccole creature saltatrici ha appreso un metodo per rendersi ancor meno cospicua: assumere l’aspetto di una singola particolare pianta (o lichene) e trascorrervi, pressoché immobile, l’intero corso delle sue giornate. Fatta eccezione per l’occasionale ricerca di cibo, ed il momento lungamente atteso dell’accoppiamento.
Così la Markia hystrix, che è in realtà un’aggiunta piuttosto recente alla sotto-famiglia dei Phaneropterinae, probabilmente scoperta durante una spedizione naturalistica degli ultimi anni, ha progressivamente assunto, attraverso la selezione naturale, una colorazione sempre più chiara ed un corpo ricoperto di disordinate ramificazioni, che unito al fondo verde della membrana chitinosa delle elitre, contribuisce a farla sembrare quasi trasparente. Finché non le spalanca, e inizia l’insistente ed ossessiva serenata…

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L’esperienza di correre con 800 cani

Territorio de Zaguates

Tra gli alti alberi della Costa Rica, in mezzo all’erba rigogliosa, sotto un cielo azzurro in cui le nubi formano figure stranamente suggestive: uno tsunami. Fragoroso e multiforme, animato come una vecchia sequenza del cinema a cartoni animati, di occhi strabuzzati, code ritte, tra infiniti abbai stonati ed insistenti. C’è l’animale piccolo, che tenta in tutti i modi di farsi notare. Medi rapidi e scattanti. E grossi maschi alfa, pesanti e muscolosi, il cui muso si agita a puntare la pentola di ossa bovine *si spera* in fondo ad un arcobaleno in bianco e nero, che soltanto loro possono annusare a miglia di distanza. E dietro…La gente. Dozzine di persone, l’auto parcheggiata giù all’ingresso del Territorio Zaguates (la terra dei bastardi), ogni problema della vita custodito in quel portabagagli ormai distante. Una scena pienamente epica, che tuttavia riesce a ripetersi ogni fine settimana. Perché: “Venite!” Ripete spesso Lya Battle, cofondatrice e voce principale della strana istituzione: “Le nostre porte sono sempre aperte. Giocate con i cani. Fate amicizia. Ed alla fine, se ve la sentite, accoglietene uno sul sedile dell’auto e quindi dentro casa vostra, al termine del viaggio.”  Sarebbe questa non per niente una missione, o vocazione, che si è concretizzata nell’impegno quotidiano di questi ultimi 8 anni, di lei con il marito Alvaro Saumet, in un primo momento, poi assistiti dall’amica di vecchia data Marcela Castro e quindi da un nutrito gruppo di volontari, che da sempre hanno creduto nell’importanza della loro opera e del ruolo fondamentale di un luogo tanto ameno, in un paese dove i diritti degli animali non si trovano esattamente in cima alle preoccupazioni del governo e delle autorità. O se è per questo, del grosso della popolazione.
Lya Battle, nata in Canada da padre canadese e madre della Costa Rica, fece ritorno nel paese di lei all’età di 5 anni, sviluppando quasi immediatamente un forte amore per gli animali. Sentimento che la portò da adulta ad adottare una coppia di cani di strada assieme al marito, poiché come racconta: “Un tale luogo non può essere la casa di nessuno.” E tutto sarebbe proseguito per gradi, se non fosse che un terzo cane, affezionato agli altri due, non prese l’abitudine di visitarli e chiedere del cibo alla famiglia. Così, stando alle frammentarie narrazioni reperibili online (purtroppo al momento in cui scrivo il sito del Territorio non risulta accessibile) tutto andava per il meglio, finché un giorno infausto l’ultimo arrivato non sparì. Era finito, ahimé, sotto una macchina. L’esperienza fu devastante ma notevolmente significativa. Perché da quel momento Lya ed Alvaro, che avevano recentemente ereditato un’appezzamento di terra poco a nord di San Josè, decisero che non avrebbero più rifiutato di accogliere alcun animale. E che questi sarebbero vissuti liberi, all’interno di un vasto spazio recintato, ricevendo da loro tutte le cure ed il cibo necessari a fare un’ottima vita da cani. Ciò che nacque, da una tale visione apparentemente utopica ed impossibile, fu un impegno collettivo senza precedenti. Una locale fabbrica di cibo per cani prese a sponsorizzarli, fornendo all’incirca l’80% delle vivande necessarie al branco in crescita esponenziale, mentre alcuni veterinari, apprezzando l’occasione di aiutare, presero a visitare la fattoria pro-bono. La strana realtà operativa, giunta a un tale punto, non poteva che crescere. Ed appunto questo fece: superando ben presto i 100 cani, per poi raddoppiare quella cifra nel giro di un paio d’anni e quindi ancora. Tutti i cani qui accolti, naturalmente, vengono sterilizzati, ma il problema dei randagi nel Costa Rica è ormai a un livello critico, tale da garantire un continuo afflusso di nuovi ospiti nel Territorio de Zaguate. Essendo quest’ultimo, inoltre, formalmente contrario all’eutanasia, l’unico modo che ha per fare spazio è dare i cani in adozione. E questo non è sempre FACILE….

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