L’arcaica utilità delle bombe-trappola disposte intenzionalmente sui binari del treno

Il macchinista del potente treno a vapore spinse innanzi la leva che controllava la potenza, perfettamente consapevole del lungo tratto rettilineo che lo separava dal capolinea di Birmingham, al termine di una lunga giornata di lavoro. “Finalmente ci siamo. Cara, aspettami con la cena!” pensò in silenzio, mentre scrutava con lieve preoccupazione l’orizzonte nebuloso, con un vago accenno di nebbia dovuta all’avanzare di un fronte di bassa pressione. E proprio sul finire di quel fatidico secondo, all’improvviso, udì un suono roboante provenire dalla ruota anteriore destra della locomotiva, perfettamente riconoscibile da parte del suo orecchio allenato. “Uno, segnala 270 metri di distanza dal primo cartello che indica la stazione. Con questo tempo…” Ma tutto ciò era veramente possibile? Percorreva quella tratta ormai da svariati anni, e sapeva perfettamente di essere ancora a svariati chilometri dalla meta. Con giusto il tempo necessario a dubitare di se stesso, mentre avvicinava la sua mano ai controlli per decelerare, l’uomo sentì all’improvviso il secondo colpo. “Due… Rallentare causa condizioni problematiche sui binari.” Effettuando un gesto deciso, adesso, smorzò significativamente l’erogazione della potenza, mentre il fumo in eccesso proveniente dalla ciminiera andava a confondersi in oscure volute tra le nebbie di un cielo indistinto. Ma soprattutto, protese l’orecchio, per il terzo possibile richiamo. Che puntualmente, al trascorrere dei pochi attimi necessari a percorrere una ventina di metri, emerse chiaramente dal ritmico sferragliare del veicolo simbolo della sua professione. “Tre… Frenare!” Più rapido, adesso. Il macchinista rimise la leva in posizione di quiete, mentre girava la manopola usata unicamente nei casi d’emergenza. Per buona misura, nel contempo, tirò la catena che azionava la sirena, nella futile speranza che potesse servire a preparare i suoi pochi passeggeri, principalmente pendolari di ritorno da lavori periferici e fuori dall’ambiente urbano. Un rumore stridente, adesso, proveniva da sotto il fondo dell’angusto ambiente cubicolare, mentre con espressione preoccupata, l’uomo si sporse per quanto possibile fuori dall’apertura laterale, per cercare di scorgere quanto distante fosse dall’unica possibile ragione di una simile manovra. La spinta inerziale in avanti adesso era significativa, portando le sue mani a premere dolorosamente sulla struttura metallica della vettura. Ma d’un tratto, lo vide: il convoglio espresso per Nottingham, completamente immobile sui binari, causa un probabile guasto tecnico o alle condutture del vapore. Effettuata una serie di rapidi calcoli, non poté fare a meno d’interrogarsi sul suo destino, mentre si affrettava a rientrare e mettersi nella zona più sicura del suo posto di lavoro. Quante volte aveva temuto uno scenario simile, eppure, eppure… Mentre il potente rumore dei freni continuava ad aumentare e scintille circondavano l’abitacolo, il treno rallentò progressivamente. “Perfetto, così non deraglieremo.” Pensò il macchinista “Ora non ci frantumeremo…” Più piano, sempre più lentamente. Finché d’un tratto, il movimento diventò una lenta marcia e fu allora che un quarto colpo risuonò nell’aria tersa della sera. “Contatto! Ma siamo sani e salvi… Sia lode a Santa Barbara, la protettrice di ogni tipo d’esplosivo, cannone o petardo per l’uso ferroviario.”
Questo si era prefigurato e tanto aveva fatto per realizzarlo, Edward Alfred Cowper, ingegnere ed architetto di numerose innovazioni in epoca vittoriana, relative a quel particolare mezzo di trasporto che nell’ora del bisogno aveva dato il suo contributo al nuovo mondo tecnologico dell’Inghilterra figlia della rivoluzione industriale. Figlio di un inventore, quell’Edward Shickle che nel 1820 aveva collaborato a creare la pressa da stampa verticale, nato nel 1819 e diventato soltanto 14 anni dopo un apprendista del celebre John Braithwaite, costruttore della prima locomotiva in grado di percorrere un miglio in un tempo inferiore ad un minuto. Minori tempi d’attesa dunque, ma anche maggior pericolo, soprattutto nel caso in cui possibili imprevisti sui binari avessero potuto insorgere contemporaneamente a condizioni climatiche tutt’altro che ideali. Fu così che pensando approfonditamente al problema, in un’epoca in cui soluzioni di comunicazione a lunga distanza montate su di un treno risultavano tanto improbabili quanto un sistema di localizzazione satellitare, Cowper elaborò un sistema infallibile per far sapere all’incaricato che avrebbe dovuto intervenire onde prevenire l’insorgere del disastro. Nient’altro che un dischetto di metallo facilmente deformabile, con all’interno una certa quantità di polvere da sparo. Fornito di un paio di “braccia” utilizzate per fissarlo ai binari in caso di necessità, affinché la semplice pressione del treno potesse comprimerlo, causandone l’immediata detonazione. Un’evenienza particolarmente difficile da ignorare…

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Si può impiegare una mina navale facendola rotolare giù dal fianco di una montagna?

“Al mio segnale, lasciate rotolare la sfera… Inintelligibile” declama il bizzarro sottotitolo, di un video dal contenuto e provenienza ancor più incerti. Forse propaganda bellica, magari una prova di fattibilità strategica, oppur secondo la descrizione ed i commenti forniti dal suo proprietario su YouTube, nient’altro che un’effettiva operazione militare messa in atto dalla brigata “Petar Krešimir IV” in Croazia, durante la difesa della città di Livno dalle truppe bosniache nel corso della guerra del 1992. Con metodologie evidentemente derivanti dalla più pura e semplice arte di arrangiarsi, in quella che potrebbe assomigliare con la lente odierna a una sequenza registrata con finalità di mero intrattenimento, da un gruppo di goliardi con più voglia di apparire che istintivo senso d’autoconservazione personale: gli ingredienti, a tal proposito, ci sono tutti! Il pendio scosceso in un’area almeno in apparenza disabitata; l’oggetto straordinariamente pericoloso, trasportato fuori dal contesto con finalità e metodologie del tutto ignote; ed infine, l’esplosione roboante nel bel mezzo della foresta, in merito alla quale nessuno dovrà mai chiedersi se abbia effettivamente avuto modo di verificarsi (se un albero cade…) Per il semplice fatto che a quanto possiamo immaginare, sarà stata udibile da centinaia di chilometri rispetto all’oscuro luogo della sua occorrenza. “Dite a quella gente giù nella foresta che stiamo arrivando!” Grida in tono perentorio il sergente, o comandante della strana operazione. Al concludersi di un breve discorso che potrebbe essere, per quanto ne sappiamo, l’oggettiva descrizione di una procedura contenuta in un segmento documentaristico, oppure il frutto disumanizzante dell’assoluta apatia della guerra. E chi può dire se davvero, all’altro lato di questa circostanza surrealista, ci fosse qualcuno destinato a ricevere la formidabile possenza della sfera.
Esiste a tal proposito, in una possibile correlazione d’intenti, una citazione spesso ripetuta negli ambienti dello Stato Maggiore americano, a seguire del periodo successivo agli anni ’60. L’affermazione secondo cui “Lo spazio” offrirebbe, nell’opinione di chi s’interessa alla faccenda: “…La posizione sopraelevata definitiva.” intesa come vantaggio tattico in qualsiasi ingaggio militare dell’epoca moderna, e con indiretto ma chiaro riferimento a quel tipo di bombardamento cinetico. Concepito per impiegare, nella sostanziale realtà del conflitto, nient’altro che oggetti grossi e pesanti, come sbarre di metalli resistenti al calore, trasformati in mortali meteore dalla semplice tendenza all’accelerazione verso un possibile bersaglio finale. Poiché l’altitudine rappresenta, come è noto, la più istintiva forma di energia potenziale. Ma soltanto ogni qualvolta si riesca a trasformarla in velocità, un fine raggiungibile anche attraverso particolari forme o soluzioni tecnologiche immanenti. Vedi la forma… Rotolante, di un qualcosa che in un tale inusitato frangente, può trasformarsi nella fatale palla da bowling della Fine. Ora le risposte fornite dal publisher nazionale Neshchi, il cui canale ospita alcuni video dal contesto simile a partire da un anno a questa parte, non sembrano nutrire alcun dubbio: “Sono sicuro al 99% che la bomba provenisse dalla base navale Lora, posizionata nei dintorni della città costiera di Split” Un passaggio e riutilizzo forse risultante dai mancati conflitti paventati sul lato del Mar Adriatico, anche per l’intervento della Nato a favore del governo e gli ideali nazionalistici e anti-comunisti del presidente croato Franjo Tuđman, e in forza di un approccio alla guerra fluido e raffazzonato, così tipicamente rappresentativo di talune guerre dell’Est Europa. Conforme ai metodi impiegati durante l’ancora recente e sanguinosa battaglia della città di Vulkovar, durata 87 settimane tra agosto e novembre del 1991 e culminante con l’eccidio di una significativa parte della popolazione civile coinvolta suo malgrado in una simile catastrofe generazionale. Ma non prima che gli appena 1.800 soldati croati, contro 36.000 militi appartenenti all’esercito dell’ex-Jugoslavia, giungessero alla soluzione estrema d’impiegare armi improvvisate costruite con il corpo macchina delle caldaie, le cosiddette boiler bomba, fatte rotolare fuori dalla stiva di vecchi biplani per l’irrigazione agricola Antonov An-2. Perché nulla induce l’uomo a rallentare, nella frenetica accezione della guerra priva ormai di alcun quartiere. Men che mai, l’intento originariamente previsto per i suoi più funzionali e pluripremiati metodi d’uccisione….

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La lunga e acuminata ricerca di un sistema per distruggere il sottomarino nemico

Il tono monotono del sonar risuonava nella cabina parzialmente oscurata, nell’estremo tentativo di risparmiare le batterie. L’equipaggio tratteneva dolorosamente il fiato, mentre l’ufficiale addetto al rilevamento osservava l’indicatore elettrico, con le mani ben salde sulle sofisticate cuffie prodotte in Germania. Il sommergibile giapponese RO-105 procedeva innanzi ad un ritmo lento ma regolare, tentando laboriosamente di avvicinarsi alla prua del cacciatorpediniere americano, dove sarebbe risultato invisibile il tempo necessario a poter tentare un attacco capace di capovolgere finalmente la situazione. Con una lieve esalazione del suo respiro, il capitano Ryonosuke si guardò attorno, tentando di giudicare il morale del suo equipaggio: ormai da un giorno, una notte ed un giorno di quel drammatico maggio 1944 era diventato ormai evidente come l’operazione A-Go, concepita dal comando centrale per bloccare i rinforzi statunitensi navali in arrivo presso le isole dell’Ammiragliato e la Nuova Guinea, stesse andando incontro ad un drammatico fallimento. Senza più ricevere comunicazioni dagli altri sommergibili del suo gruppo di fuoco e una volta ricaricati per quanto possibili i suoi motori elettrici, il RO-105 si era quindi immerso, per quello che avrebbe probabilmente costituito il suo ultimo sacrificio nel nome dell’Imperatore. A quel punto i loro numerosi nemici, nel tentativo di affondarli, avevano accecato loro stessi; mentre sotto il suo esperto comando, ogni volta il battello riusciva a sfuggire durante le alterazioni del sottofondo sonoro dovute al rilascio fallimentare delle grosse bombe di profondità usate con relativo successo nell’Oceano Atlantico, ma ancor più cacofoniche nei complessi gradienti idrici e i sistemi di correnti del vasto mare d’Oriente. Ora, perfettamente consapevoli di dove si trovasse il nemico, erano stanchi di fuggire. Mentre lo scafo di quella che sarebbe passata alla storia come USS England (se mai un ossimoro…) sembrava fermamente intenzionata a puntare dritta su di loro, offrendo l’occasione perfetta per contrattaccare una volta schivato, per l’ennesima volta, lo sciame d’esplosioni subacquee a rilascio controllato. Eppure, sembrava esserci qualcosa di diverso nelle sue manovre, come se cercasse intenzionalmente di venire incontro al RO-105. E in quel momento, improvvisamente, Ryonosuke si accorse di avere un terribile presentimento sull’immediato corso del suo futuro…
Riuscite ad immaginare niente di peggio? Il mare che esplode attorno a voi, rinchiusi all’interno di una scatola di metallo, mentre qualcosa d’enorme ed incredibilmente determinato tenta di triangolare la vostra posizione, continuando a scaricare ordigni concepiti espressamente per infliggere danni allo scafo, mediante l’onda d’urto generata dall’ondata idrostatica. Uno scenario capace, tuttavia, di offrire un largo preavviso e diverse opportunità di fuga. Laddove l’ipotesi certamente peggiore, dal punto di vista dell’equipaggio, sarebbe un qualcosa di ben più subdolo e silenzioso. Capace di dettare il sopraggiungimento dell’ora finale in modo drastico e repentino, senza nessuna possibilità di appello. Una conclusione, questa, a cui giunsero famosamente i cervelloni del Dipartimento dello Sviluppo delle Armi Miscellanee a Whitehall, Londra (alias Wheezers & Dogers o “la scatola dei giocattoli di Churchill”) quando verso la fine del 1941 giunsero a poter montare sulla HMS Westcott un prototipo della loro ultima invenzione, concepita come approccio totalmente alternativo alla metodologia migliore per mettere letteralmente a tacere i marinai del Servizio Silenzioso. E c’era molto di dirompente, nonché prono a suscitare un certo livello di dubbio nei suoi futuri utilizzatori, nel sistema di mortai multipli denominato Hedehog (“Porcospino”) con un riferimento alla versione nordamericana di tale animale, più grande ed incline a “scagliare” i suoi aculei all’indirizzo degli eventuali aggressori carnivori tra le siepi della foresta. Ma anche il potenziale seme capace di rivoluzionare cosa fosse effettivamente possibile realizzare, nelle più terribili circostanze, quando le orribili regole della guerra allargavano a due interi equipaggi la spietata risoluzione alternativa possibile tra Noi, o Loro.

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Le gelide Olimpiadi dei crateri nucleari creati per sport

Uomini dal bianco camice, l’internazionale uniforme di colui-che-sa-quello-che-fa, all’interno di una cabina di cemento e piombo guardano attentamente una serie d’indicatori. Il freddo pungente della primavera del 1971 nella repubblica del Tatarstan presso la località di Pechora, in linea con le aspettative meteorologiche locali, del tutto incapace di penetrare all’interno del bunker, luogo più sicuro della zona in cui s’incontrano i due fiumi, Volga e Kama. Al palesarsi di una lettura giudicata idonea, quindi, il capo della congrega invia il suo chiaro cenno di via libera, indirizzato verso l’occhio attento del suo nostromo. Il quale, con un’espressione concentrata, preme avanti la pesante leva. Una profonda vibrazione, in quel momento, scuote il sottosuolo dell’Unione Sovietica, mentre milioni di metri cubici di terra vengono sollevati gloriosamente verso il cielo, assieme ad alberi, pietre, piccoli animali e nidi d’uccello. Dove prima c’era una foresta, adesso, trova collocazione un profondo canale. Perfettamente navigabile per almeno 11 mesi l’anno, risolvendo l’annosa questione rimasta in bilico da 38 anni!
Ogni estate e questa addirittura più delle altre (ma non sembra, forse, ogni volta così….) Vede il ripetersi della stessa identica e fastidiosa storia: le principali arterie stradali ristrette drammaticamente, come quelle di un gastronomo dal colesterolo superiore alla normalità, data l’esagerata moltiplicazione dei lavori, fissati in calendario da un’intellighenzia che non pare vivere ad un livello comparabile a quello della gente comune, affrontare problemi simili o soffrire contrattempi analoghi a noialtri esseri umani. Così che bloccati nell’eterno traffico, sotto un solleone che neanche l’aria condizionata può sperare di combattere adeguatamente, ci guardiamo attorno e solleviamo nella nostra mente l’ipotetica questione: “Non sarebbe bello se premendo un semplice pulsante, da una rispettosa distanza di sicurezza, l’infrastruttura della strada potesse palesarsi nel giro di pochi secondi o minuti, con un paesaggio rinnovato ancor prima che la polvere possa posarsi oltre il tragico orizzonte delle Cose?” Un sogno che potremmo ricondurre, in termini diretti, all’esplosione di una bomba nucleare.
Pratica, semplice, diretta, risolutiva: lo strumento tecnologico più potente mai creato da mano umana, in senso totalmente letterale, capace di creare un solco profondo nella Terra stessa tanto significativo da risolvere ogni accenno potenziale di un problema. Assurdo eppure strano a dirsi, ci fu un tempo in cui i governi di questo pianeta la pensarono ed agirono perfettamente in linea con tali apparentemente fantasiose, in realtà del tutto tragiche linee guida. Non per niente, ebbero ragione di chiamarla: Era atomica o in alternativa, guerra fredda, gelida, persino. Quando far esplodere un qualcosa nella maniera maggiormente apocalittica a disposizione non era soltanto un valido messaggio per la propaganda, sia in patria che all’estero, bensì un letterale talismano, contro la possibilità purtroppo mai del tutto assente di far l’improvvida fine di Hiroshima o Nagasaki. Perché quale modo migliore esiste, per provare al solito ipotetico nemico l’enorme potenziale del proprio arsenale nascosto, che scatenarne l’orripilante furia contro i recessi meno densamente abitati del proprio stesso territorio? Benché gli incidenti, questo è chiaro, non possano che rimanere in agguato dietro il radioattivo angolo di così pesanti e ineluttabili circostanze…

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