L’estrosa leggiadria dell’albatro-gabbiano innamorato

“Destra-sinistra, destra-sinistra mia cara. Osserva/guarda un lato e l’altro di questa magnificenza, le piume nere delle ali e la lunghezza del mio collo. Muuu!” Il vento forte dell’atollo continuava a muovere le fronde, producendo un suono ripetitivo vagamente simile ad un sottofondo musicale. “Sopra-sotto, sopra-sotto. Il mio interesse, ritengo/affermo, è misurabile secondo gradi logici e apparenti. Se veramente credi alla possibilità della nostra unione, avvicinati ora e baciami, baciami compagno dai piedi palmati su quest’erba piena di ottimismo per il domani.” Dopo mezza piroetta, i due uccelli lunghi circa un’ottantina di centimetri marciano all’unisono, quindi avvicinano le teste e iniziano a duellare: “Tu, no tu, no tu!” Si dicono a vicenda, sciabolando con falsa ferocia i propri becchi giallo pallido, uncinati per meglio afferrare il proprio pasto tra le onde. E quindi ancora, oscillazioni, l’ala alzata da lui e lei. Il tutto inframezzato dall’occasionale sguardo verso il sole, seguìto dalla cosa più simile ad un muggito bovino che fosse mai stato udito in tali luoghi, almeno fino all’arrivo dell’uomo. Dove discoteche, non ne abbiamo. E neanche il tipico abbinamento di elementi elettronici ed acustici connesso alla corrente, che nella maggior parte dei casi siamo soliti chiamare “altoparlante”. Eppure nelle Midway, così come tutta la parte settentrionale del Pacifico, non è molto insolito vedere con i propri occhi una simile scena, quella memorabile di due esemplari di Phoebastria immutabilis, anche detti Albatros di Laysan, intenti in una delle loro pratiche più distintive: la danza che precede l’attimo fatale, ovvero quel momento, imprescindibile, che anticipa l’accoppiamento aviario. Un’effettiva complessità rituale capace di rientrare tutto sommato nello spettro del possibile per quanto riguarda molte specie di uccelli marini, accomunate dalla soluzione evolutiva di un processo mirato a selezionare, per quanto possibile, un compagno sufficientemente paziente e attento ai desideri della sua consorte. Prospettiva che diventa tanto più importante per uccelli, come gli albatri, che sono inclini ad accoppiarsi per la vita ed il cui singolo pulcino altriciale, più d’ogni altro, richiede grandi cure e quantità di cibo rigurgitato, per un periodo di circa 165 giorni al termine dei quali dovrà imparare, in tutta fretta, a volare, nuotare e nutrirsi, causa l’improvviso disinteresse da parte dei suoi genitori. La cui coppia nonostante questo è fatta per durare e a meno d’imprevisti, potrà farlo fino al raggiungimento delle ultime spiagge dell’esistenza, capace di spostarsi innanzi per queste creature fino alla veneranda età di 50-55 anni (periodo misurato in cattività). Per un risultato effettivamente paragonabile, fatte le debite proporzioni, a quello delle nozze d’oro di una coppia d’umani, il che sembrerebbe riconfermare senza nessun tipo di dubbio residuo l’eccezionale merito di una danza, nello scoprire ed interpretare l’effettiva compatibilità di una coppia d’individui. Anche quando la musica di sottofondo, considerata la situazione vigente, parrebbe riecheggiare soltanto nella loro entusiastica mente…

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L’imprevista verità di un uccello con sei zampe nella palude

Cose oscure che si aggirano tra i ficus e i mopani; becchi aguzzi, zampe fuori scala, piume che nascondono una coppia di speroni acuminati. Strano uccello, che segreto custodisci? Ma è al momento in cui compare il rischio inaspettato, del nemico che riemerge dal profondo di quell’acque, orribile, bitorzoluto coccodrillo, che il mistero si dipana innanzi agli occhi dell’osservatore! Poiché si aprono soltanto un poco, le ali corte, arrotondate. E sotto ad esse ivi compaiono, in maniera surreale, un’altra coppia di nodosi arti… E quindi un’altra ancora. Mutazione? Radiazione? Traslazione dietro il velo della dimensione? Forse (chi può dirlo) in tempi assai remoti a questa parte; per il resto, mera evoluzione. Poiché tutti ormai conoscono, da queste parti, il metodo e lo stile del paterno jacana. Uccello, africano ma non solo, che al momento in cui necessita di chiamare a se i suoi piccoli e portarli via al sicuro, è solito prenderli, letteralmente, “sotto la sua ala”. Al punto che nessuno potrà neanche più pensare di trovarli, fatta eccezione per quegli arti dalle dimensioni superiori, usati dall’intera famiglia tassonomica con lo scopo di riuscire ad occupare una particolare nicchia ecologica dell’ambiente di palude. Nella scena qui mostrata in video, famoso spezzone virale del variegato Web prelevato da un documentario della PBS, stiamo in effetti osservando un esemplare maschio di Actophilornis africanus (jacana africano) mentre compie uno dei gesti maggiormente rappresentativi della sua specie. Un qualcosa di altruistico ed assai comprensibile, che potremmo facilmente ricondurre allo stile e il modus operandi degli umani. Perché gli uccelli capiscono, e sanno anche proteggere, il valore di una o più vite recentemente fuoriuscite dall’uovo. Anche se tale comprensione potrebbe anche provenire, nei singoli casi, da specifici adattamenti anatomici e istintivi. Tutto nell’esemplare di raffinato predatore che compare all’interno di una simile inquadratura, lascia del resto intendere un perfezionamento particolarmente significativo dei presupposti di caccia e sopravvivenza all’interno dello scenario in cui si svolge l’azione, costituito niente meno che dal famoso delta dell’Okavango, il bacino endoreico in cui si disperde l’omonimo fiume ai confini del deserto del Kalahari. Popolato, tra gli altri, da questo volatile guadante, abituato a cercare invertebrati tra le piante che galleggiano al di sopra della superficie grazie alla notevole capacità di distribuzione del peso garantita dalla dimensione dei piedi, che misura circa 30 cm di lunghezza e risulta facilmente riconoscibile dallo scudo azzurro situato al di sopra del becco, esteriormente simile a quello delle folaghe. Una variante certamente rappresentativa, benché comprensibilmente e ragionevolmente diversa, delle otto specie attualmente in vita presenti in diversi territori del Vecchio e Nuovo mondo, tutte egualmente capaci di effettuare la stessa manovra di tutela della prole nel momento della verità. Nonché caratterizzati da una particolare attribuzione dei compiti nel rapporto di coppia, che ne fa uno dei rari casi nel mondo animale in cui i ruoli risultano invertiti sotto ogni punto di vista, benché egualmente suddivisi. Ed è il maschio, come sopra accennato, piuttosto che la femmina, ad occuparsi del mantenere al sicuro e proteggere la prossima generazione di nuovi nati. Benché tutto inizi, come al solito, nella furia e la ferocia del combattimento tra cospecifici…

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L’epica battaglia delle linci canadesi in amore

Nella scena culmine dei migliori film d’arti marziali Wuxia, premiata scuola cinematografica cinese, c’è una scena ricorrente: la battaglia volante nella foresta. In cui la protagonista in fuga, guerriera ereditaria o principessa addestrata da un famoso maestro particolarmente irsuto (per lo meno, in termini di bianca barba) viene raggiunta dalle truppe dell’usurpatore, proprio mentre stava per lasciare i confini della sua provincia. Ed è allora che con i suoi pugni e calci, la spada o gli altri attrezzi d’offesa del kung fu, ella elimina rapidamente quasi ogni singolo avversario, tranne ovviamente quello principale. Il fiero capitano della guardia imperiale che, con un rapido gioco di corde teatrali, sconfigge letteralmente la forza di gravità, per balzare in aria ed attaccarla dall’alto. Ed è allora che lei, piuttosto che continuare la sua fuga, si solleva fluttuando ad incontrarlo, poco prima di atterrare sopra i rami del flessibile bambù. Segue l’elegante parapiglia molto simile a una danza, con la pianta erbacea più alta del pianeta che si piega da una parte e poi dall’altra, offrendo un pratico trampolino per l’improbabile schermaglia. Eppure, il furbo spettatore non può fare a meno di chiedersi: si odiano davvero? O si riesce a intravedere, nello sguardo dei vertiginosi primi piani, il più piccolo e remoto accenno di quel sentimento universale, l’amore..
Di certo, nella regione canadese dell’Alberta non è facile immaginare le presenze vegetali assumono una foggia largamente differente. E in assenza della voracità del panda, gran divoratore di flessibile verzura, le foglie tendono a cadere verso il mezzo dell’inverno, donando alle foreste di pioppi boreali (aspen) un’aria caratteristica e spoglia. E poi, tra le distese candide e innevate della Grande Prairie, o per meglio dire, presso la moderna cittadina che porta quel nome (69.000 abitanti) non c’è una sola principessa, ce ne sono molte. Vestite magnificamente col folto mantello peloso, il cappello invernale con le orecchie a punta, l’espressione estremamente attenta, la coda tronca dall’estremità nera. No, non è un cosplay. Ma una breve descrizione, dei punti per così dire salienti, della femmina di Lynx canadensis, uno dei più celebri felini adattati a vivere nei climi freddi, per la sagoma che tende a farlo assomigliare ad un agile orsacchiotto miagolante. Eppur dotato, come i suoi simili, di artigli affilati e forti denti carnassiali, adatti a strappare via la carne della lepre che riescono a ghermire. Una componente feroce della loro essenza, questa, che si specchia chiaramente nella scena qui ripresa, e pubblicata sul canale Facebook rilevante, dall’abile naturalista che usa l’alias Famous Amos Photography, il quale si trovava nei dintorni della sua città di residenza per catturare qualche immagine del suo volatile apparentemente preferito, il gufo, soltanto per trovarsi di fronte alla più straordinaria e inaspettata delle scene. “La più incredibile esperienza della mia vita” esordisce quindi nella descrizione al video, lasciando che le immagini parlino per dar supporto a tale affermazione. Mentre una versione più approfondita della storia compare sulla testata CBC News, dove il fotografo racconta di aver visto le linci che s’inseguivano dall’automobile, fermandosi immediatamente per andare a investigare. E di come successivamente se le sia trovate a pochi metri di distanza, mentre il suo primo istinto, in quel momento, fosse stato estrarre dalla cintura le fondamentali bombolette di spray anti-orso (mai più senza) poco prima di vedersi superare in corsa forsennata, per poi ritrovarsele improvvisamente sopra la testa, ad un’altezza di circa 30 metri. E sentirle, all’improvviso, cantare insulti ultramondani… O gridare in altri termini, la sconfinata furia della natura. Se avete presente lo spettacolo generalmente offerto dai gatti in amore, forse potevate anche aspettarvi qualcosa di simile. Ora moltiplicatelo per animali lunghi tra gli 80 e 105 cm, ed inizierete a comprendere ciò di cui stiamo parlando! Ma non contenti di emettere suoni, a quel punto i due animali hanno iniziato a rincorrersi tra i rami, con un’agilità capace di sfidare i preconcetti sulla loro forma corpulenta, in realtà frutto principalmente del folto pelo. Uno strano modo di corteggiarsi a vicenda…

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Il pesce che si fonde alla sua compagna per procreare

Nelle profonde oscurità oceaniche, per una vita  ti ho cercato. Due, tre, quattro settimane. Tu sei la mia alba ed il mio tramonto, la mia Luna, casa ed avventura. So bene che se riesco finalmente a trovarti, la mia vita cambierà radicalmente: niente più nuotare liberi, nessuna ebbrezza della caccia. Tu sarai per me l’apoteosi e una prigione, al tempo stesso, l’Alfa e l’Omega della mia insignificante vita. Ma se l’immensità di questo ambiente, le grandi distanze ed il vertiginoso senso della solitudine, alla fine, avranno la meglio sulla mia ricerca, allora morirò di fame, lentamente. Pensando a te. Questo è il senso dell’amore per “noi”. Che cosa siamo? In Italia ci chiamerebbero, con esibizione d’antonomasia, la rana pescatrice, benché in effetti quel particolare tipo di pesce abissale sia bentonico, ovvero abituato a vivere in prossimità dei fondali e per questo appiattito verticalmente, mentre noi che pratichiamo questa specifica modalità di accoppiamento siamo i veri diavoli del nulla, gli abitatori dei grandi spazi vuoti tra i 1.000 ed i 2.000 metri di profondità. Scientificamente: i Ceratiidae, ma anche qualche specie di Melanocetidae. Quasi mai, i Lophiidae delle più spericolate tavole ittiche europee. In inglese, ci chiamano anglerfish, con riferimento alla lenza luminosa che impieghiamo, assai frequentemente, per attrarre a noi le piccole prede da cui siamo chiamati a trarre nutrimento. Perché quaggiù nell’infernale vuoto, il cibo è scarso per definizione, richiedendo uno sforzo continuo per mantenersi in vita. Così l’evoluzione ha dotato le nostre femmine, ma non noi maschi, di una pinna dorsale modificata, in cui il primo raggio cartilagineo presenta una serie di pori, all’interno dei quali vivono batteri bioluminescenti. Ma questo non è il solo caso di interrelazione simbiotica tra lei ed altre creature. Esseri come il qui presente pseudo-parassita, che dovrà fare il possibile per dare un morso alla sua pelle. E in un abile colpo di mano, diventare tutt’uno con lei.
È un fatto relativamente poco noto che questa intera categoria di pesci abissali (oltre 200 con distribuzione in tutti gli  oceani della terra) presenti il più marcato dimorfismo sessuale dell’intero regno animale. Il che vuol dire che mentre lei, a seconda della specie, può arrivare a misurare fino a un metro di lunghezza, raramente lui supera i 3-4 cm dalla testa alla coda. Come può avvenire, dunque, la fecondazione? Se non grazie alla straordinaria furbizia e capacità strategica della natura… Dal momento stesso della nascita, lui dispone infatti di un olfatto straordinariamente sviluppato. Seguendo la direzione delle sue spropositate nari, le più grandi in proporzione alle dimensioni del cranio, cerca attentamente finché non gli riesce di trovarla, possibilmente, girata da un’altra parte. Questo perché un anglerfish è perennemente affamato, e mangerebbe pressoché qualsiasi cosa prima ancora di aver capito la sua effettiva natura. La segretezza è importante perché non deve esserci una battaglia. Bensì soltanto lui che, avvicinatosi a sufficienza di soppiatto, trovi un punto da mordere per fare come il pitbull col postino, che stringe quella caviglia per non lasciarla andare mai più. E quindi secerne una saliva contenente l’enzima digestivo, che dissolve la sua mascella e il preciso punto di congiunzione, creando i presupposti per l’orribile ibrido uomo-cane. Ma tralasciando una simile visione degna dell’isola del Dr. Moreau, e ritornando quindi a noi, ovvero a me & Lei, tutto quello che noi chiediamo da una simile contingenza è l’opportunità di realizzare la fecondazione.
L’esigenza di un simile complesso rituale, che tra l’altro sembra diminuire la probabilità di sopravvivenza del maschio, è in realtà giustificato dal medesimo fattore sopracitato: la mancanza di sufficienti forme di cibo nell’habitat circostante. Per questo lui mangia pochissimo, o persino non mangia affatto. Un po’ come la farfalla ormai pronta a spiccare il volo e non guardarsi indietro mai più.

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