La lumaca Pikachu e gli altri Pokémon di mare

Pikachu Slug

Mostri elettrici, squittenti, insettili, volanti. Con il potere del fuoco oppure l’elettricità. Persino creature psichiche o costituite d’ectoplasma. Talmente variegata è l’ecologia fantastica del regno animale “ombra” creato da Satoshi Tajiri, che l’unico modo possibile per classificarne gli esponenti e quello di ricorrere a una serie di tipi o classi differenti, ciascuna più o meno efficace nel contrapporsi alle diverse alternative nell’eterna lotta che costituisce la vita di queste creature. Caratteristica dominante dell’intera situazione diventa, quindi, il colore. Chi non ha mai visto quel particolare tipo di poster o illustrazione, in cui gli originali 151 Pokèmon vengono disposti nella forma di un anello sfumato, in cui l’estremità destra è verde (Bulbasaur, Weepinbell, Metapod, Oddish…) quella inferiore tendente al blu (Squirtle, Nidorina, Zubat, Articuno…) poi si passa procedendo in senso antiorario verso le tonalità violacee (Muk, Cloyster, Gengar, Starmie…) rosse (Jynx, Mr Mime, Tentacruel, Parasect…) ed infine si approda all’arancione e giallo (Sandslash, Charmander, Paras, Ponyta…) Questione estremamente curiosa, quando si considera che il primo episodio della serie, nato su Gameboy, era stato concepito per essere fatto funzionare su uno schermo totalmente in bianco e nero. Ma il più giallo e rappresentativo di tutti i Pokémon, ad ogni modo, resta lui, il più fedele amico del protagonista del cartone animato Ash Ketchum, topo ad alto numero di volt dalle graziose guanciotte rosse, caratteristica cromatica mutuata direttamente dal pappagallo calopsitta (Nymphicus hollandicus). Mentre invece, da dove potrebbe provenire il resto della sua livrea, inclusivo della coda saettante nonché della caratteristica punta nera di ciascun orecchio conigliesco? Stiamo parlando di un mistero che ha lungamente appassionato non soltanto gli appassionati, ma anche un particolare mondo accademico dei nuovi scienziati naturali, sempre alla ricerca di un metodo per accaparrarsi l’attenzione dei giovani e del grande pubblico perennemente alla ricerca di una Storia. E fu così che nel profondo del Pacifico, tra le tiepide acque che si trovano tra l’Indonesia e lo stato insulare della Repubblica di Vanuatu, ma anche in prossimità della costa africana dell’Oceano Indiano, escursionisti e studiosi estatici hanno cominciato a fotografare una particolare piccola creatura (misura media: 6 cm) nominalmente appartenente al nome comune di una variegata serie d’invertebrati, le così dette lumache di mare. Un po’ per la sua naturale ed affascinante tendenza a ricordare per associazione degli animali di terra ben diversi sotto ogni punto di vista biologico, esattamente come la pelosa Jorunna Parva (detta il coniglietto degli abissi) di cui parlai qualche tempo fa su questo stesso blog, ma anche e soprattutto per l’assoluta somiglianza con quella che è giunta a costituire, negli anni, una vera e propria icona popolare dei nostri tempi. Tanto che sarebbe difficile, gettando lo sguardo nella sua direzione, non tentare istintivamente di accarezzarla.
Per entrare finalmente nello specifico, stiamo parlando della Thecacera pacifica, uno strisciante mollusco gastropode appartenente al gruppo dei nudibranchi, creature dalla curiosa caratteristica anatomica di presentare i propri organi respiratori all’esterno del corpo, onde favorirne l’ossigenazione anche vista la piccola massa complessiva dell’animale. Al punto che essi costituiscono, come forse avrete già intuito, il ciuffo vagamente spettinato di escrescenze presenti verso la parte retrostante dell’animale. Mentre le sue orecchie, o corna, altro non sono in realtà che rinofori, ovvero i particolari organi di senso, tattili ed olfattivi, che costituiscono per simili esseri il mezzo migliore per osservare ed apprezzare il mondo. Ma soprattutto, trovare la preda: non abbiate infatti alcun dubbio. Nonostante la graziosa apparenza, siamo al cospetto di un pericoloso carnivoro, temuto da tutti gli esseri microscopici che trascorrono la propria vita tra i sedimenti dei fondali marini.

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L’aspetto insospettabile degli iceberg capovolti

Tasman Iceberg

Il suono come un soffio di balena, dovuto alle particelle d’aria che si liberano dalla dura scorza d’acqua eternamente congelata, mentre questa si crepa e spacca in più punti. All’orizzonte dalla nave, tutto quello che si vede da principio è quella preminenza acuminata, simile alla pinna dello stesso, enorme mammifero marino. Ma è di tutt’altra cosa che si tratta: un grande oggetto inanimato, se così vogliamo giungere a ridurlo, o ancora meglio un essere di tipo minerale, privo di cervello, cuore, muscoli e quant’altro, eppur dotato di quel desiderio di spostarsi alla ricerca di un qualcosa, assieme a un soffio dell’arcaica ed incancellabile vitalità. La storia non è meno speciale di quella di un qualsiasi altro suo simile, benché l’esatto tempo trascorso dall’epoca del varo/nascita  debba necessariamente eluderci o in altri termini, restare un segreto, ahimè.
A differenza della precisa modalità generativa di un tale evento, che invece ci è ben nota: tutto ebbe inizio in alta montagna, presso i picchi dei Tasman ed Aoraki dell’Isola del Sud, paese: Nuova Zelanda. Ove esiste praticamente da sempre, questa impressionante scia di neve congelata, lunga 27 Km e larga 600 metri, che per via dell’effetto della forza di gravità deve fluire sempre verso il basso, sviluppando una pressione per centimetro simile a quella di una pressa colossale. Mentre da sotto, le ruvide rocce del massiccio premono ed abradono, generando un fondo granulare e straordinariamente ben compattato. Per la letteratura scientifica, il termine riferito ad una simile esistenza è ghiacciaio. Ma ben presto questo qui diventerà soltanto un semplice “ricordo”. Il fatto è che il 22 febbraio del 2011, un terremoto 6,3 della scala Richter si è abbattuto nella zona di Christchurch, arrecando enormi danni alla popolazione e causando la morte più o meno indiretta di 185 persone. E causando pure, lassù presso le vette più vicine, lo smuoversi di circa 40.000.000 di tonnellate di ghiaccio e neve, improvvisamente spinte a valle per l’effetto della loro stessa massa impressionante. Superato quindi il lago Tasman, dove le nevi dell’omonimo ghiacciaio s’incontrano ancor oggi con quelle del Murchison, il serpente candido ha raggiunto il bordo massimo del mondo. Quindi, senza un attimo di esitazione, si è buttato giù. Il fenomeno in questione, con le guglie e i contrafforti che si staccano uno per uno per poi ritrovarsi  a galleggiare nell’azzurro mare, trova l’identificazione anglofona di calving, ed è all’origine della costituzione di un particolare tipo di iceberg. Che include anche quello del nostro video, ripreso da un turista facente parte del Wombat Studio, canale con apparenti finalità promozionali tra gli innumerevoli di YouTube. Niente di nuovo sotto il Sole. Ed allora perché, tra i commenti al video, il consenso collettivo pare essere quello che grida alla falsificazione? Avendo nei fatti costretto l’autore a pubblicare un secondo spezzone, in cui egli ci mostra l’iceberg molto più da vicino… Il fatto è che l’estetica di questo ammasso di ghiaccio sottoposto ad un momento di fondamentale rinascita risulta essere, per usare un eufemismo, straordinariamente inusuale. Ciò che è capitato di riprendere al nostro eroe in questo frangente, infatti, è il preciso momento in cui la montagna vagante si è sciolta nella sua parte superiore in modo e con priorità tali da essersi trovata instabile, e prendendo il via da un lato all’improvviso si ribalta. Per mostrare un lato sottostante totalmente differente dalla controparte. Perché liscio e globulare, innanzi tutto, ma poi soprattutto di un colore azzurro intenso, costellato di brillori e sfolgorii. Davvero, il grande essere non-vivente-ma-quasi, pare all’improvviso risvegliarsi per mostrarsi in tutto il suo splendore inaspettato. Dunque, non vorreste sapere PERCHÈ può succedere una tale cosa?

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La reale dimensione dei paesi sopra e sotto l’equatore

Mercator Projection

Ehi, tu! Osserva il contenuto di questa immagine. La vedi quella minuscola cosa rossa, accanto alla massa giganteggiante dell’Australia? Ecco, stai guardando la Gran Bretagna. Si, con Inghilterra, Scozia e Galles. L’isola più grande con tutte le altre, e soltanto un pezzettino dell’Irlanda settentrionale, che Brexit a parte, continua a incoronare qualsiasi immagine dell’Europa. La quale nella visualizzazione più spesso usata delle nazioni, sembrerebbe poter facilmente rivaleggiare con l’estensione longitudinale di alcune parti del paese dei canguri. Si, come no. La realtà, signora mia, la stai vedendo solamente adesso… Forse addirittura per la prima volta: uno scricciolo, un pacchetto di fiammiferi, un ciottolo sperduto nel deserto. Questo dovrebbe sembrarti, persino l’isola più vasta d’Europa, al confronto di quello che pur sempre resta uno dei cinque continenti che compongono le complessive terre emerse del Pianeta. Ed allora perché, normalmente, non sembra affatto così? La colpa, che tale è diventata solamente col trascorrere dei secoli, va attribuita ad una singola persona, vissuta tra il 1512 e il 1594 nella regione delle Fiandre, sita presso il Belgio settentrionale: Gerhard Kremer, passato alla storia con la versione liberamente latinizzata del suo nome, Gerardus Mercator. Matematico, astronomo, cartografo. Geniale manipolatore della geometrica realtà effettiva. Che potrebbe aver modificato in modo indiretto, grazie alla creazione di un sistema fin troppo diffuso di preconcetti (piccolo=meno importante?) La storia stessa dell’intera Terra.
Passiamo quindi alla spiegazione del problema di massima. Che potrebbe sembrarvi, a seconda dei casi, scontata ed automatica, oppure un qualcosa di assolutamente sorprendente ed inaspettato. Il che è del resto molto logico, visto come si tratti di una tematica che viene comunemente affrontata, o almeno DOVREBBE esserlo, nel corso del quinquennio che compone la scuola, per l’appunto, elementare. Cosa che tuttavia risulta spesso problematica, per tutta una serie di ragioni. In genere, la spiegazione va così: “Bambini, sappiate questo. La Terra non è piatta, ma ha la forma di un ellisse irregolare, che in geometria viene chiamato il geoide. La mappa che vedete appesa sopra la mia cattedra, invece, non è altro che un’immagine stampata su di un foglio di carta. Questo significa che per rappresentare una cosa tridimensionale in due dimensioni, essa deve scendere a compromessi con la vera forma e dimensione dei paesi. Ricordate, quindi, che non tutto quello che vedete è verità.” Un bravo maestro, a questo punto, potrebbe far seguire a tutto questo degli esempi: “La Russia in realtà non è tanto più larga degli Stati Uniti” Oppure: “La Groenlandia non raggiunge l’estensione verticale dell’Argentina” Ma simili affermazioni del tutto contro-intuitive rispetto all’evidenza dell’illustrazione, penso sia facile capirlo, in mancanza di un’efficace dimostrazione pratica rimangono del tutto indifferenti. Così questo è un dato che una volta assunto in via teorica, scivola via ben presto, per poi tornare nella mente degli adulti solamente nel caso di chi lavora con le mappe quotidianamente. Il fatto è c’è un solo modo, a questo mondo, per dimostrare in maniera evidente la falsità del senso comune in materia: un’animazione, possibilmente interattiva, visionabile attraverso lo schermo di un computer. Un qualcosa come il sito The True Size.com, presso cui il visitatore può scrivere il nome di un qualsiasi paese al mondo, quindi iniziare a spostarlo in giro per il globo, vedendolo deformarsi in proporzione agli altri che costellano la mappa. Scoprendo, senza alcun ombra di dubbio, l’incredibile realtà. Che tutto quello che si trova al di sopra della linea ideale dell’equatore, ovvero la circonferenza massima della Terra perpendicolare all’asse di rotazione, ci appare innaturalmente più grande. E ciò che è posizionato al di sotto di essa, invece, rimpicciolito di parecchie volte. La principale vittima dell’intera faccenda, assai probabilmente è l’Africa. Che nell’opinione comune, non dovrebbe essere molto più estesa dell’Europa Occidentale. E invece…Potrebbe contenerla tutta intera…NEL SOLO DESERTO DEL SAHARA. E allora perché? Per quale assurda ragione, la più erronea visualizzazione del globo terrestre viene comunemente insegnata nelle scuole, e tutti noi cresciamo abituati a considerare il mondo con una prospettiva notevolmente falsata? Continuate a leggerlo per scoprirlo. Ma il punto principale a priori è che nessuna proiezione bidimensionale di uno sferoide, per sua imprescindibile natura, potrà mai mostrare la realtà. Ed è per questo che nelle aule, dovrebbe esserci sempre almeno un mappamondo. O ancora meglio, un PC.

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Ma come fa lo sport del badminton a superare i 400 all’ora?

Badminton

Le storie, i trionfi, i sacrifici, i piccoli e grandi drammi che costellano 4 anni di preparazione: ogni Olimpiade è un grande spettacolo che coinvolge a più livelli chiunque abbia la voglia, e il tempo, di lasciarsi coinvolgere dalla vicenda personale di questo o quell’atleta, aspirante protagonista indiscusso del suo sport. Ma come ogni volta precedente, essa costituisce pure la finestra su particolari discipline che gli sponsor e la televisione amano trascurare, a imprescindibile vantaggio del solito preponderante mondo del pallone. Chi non ricorda, ad esempio, nel 2010 e ’14, in occasione di Vancouver e Soči, l’improvviso nonché fugace interesse che ebbe a diffondersi su più livelli per l’insolita disciplina di origini scozzesi del curling, in cui la grande pietra scivolante viene spinta contro le altre e al centro del bersaglio, verso l’inseguimento di sfuggevoli medaglie senza pari… E nel 2020 a Tokyo, assai probabilmente, sarà il turno dello skateboard, per la prima volta lasciato assurgere a quel rango di primaria importanza che gli si confa, accanto al suo cugino snowboard già impiegato sui declivi nevosi degli eventi succitati. Ma che dire di questa corrente edizione di Rio de Janeiro, che attualmente sta avviandosi verso il suo ultimo coronamento? Quale “riscoperta” essa potrà lasciare nel subconscio collettivo di noi tutti esseri moderni, superficialmente, ma enfaticamente esperti di ogni cosa? Facendo un rapido giro di perlustrazione su Internet, non rimarrà alcun dubbio: il livello stratosferico della competizione, la presenza di atleti che sono gli indiscussi migliori praticanti mai vissuti, uniti all’insospettata spettacolarità di ogni aspetto rilevante di contesto, ha condotto sulla cima di questa ideale classifica quel BADMINTON ingiustamente trascurato per il resto dell’anno, che se soltanto gliene fosse data l’opportunità, raggiungerebbe facilmente il successo di pubblico della sua alternativa più famosa, l’eternamente replicato show della pallina gialla. Tennis dove la capacità di tirare forte, in determinate situazioni, può superare addirittura l’importanza dei riflessi e dell’abilità. Mentre sul campo molto più piccolo, quasi claustrofobico dell’alternativa, basta una flessione corretta del polso, un ottimo posizionamento, la prontezza di riflessi necessaria ad orientare in modo giusto il tiro, per lanciare una scheggia che supererebbe in accelerazione la locomotiva dell’Eurostar. Ecco di cosa stiamo parlando: il più veloce sport con le racchette che sia mai esistito, che esista attualmente, forse che potrai mai esistere. Da qui a un futuro privo di antigravità.
Prendete come riferimento questa partita del 2015 della versione a coppie, tra le due squadre pluripremiate di Lee Yong-dae / Yoo Yeon-seong (Corea) e Fu Haifeng / Zhang Nan (Cina) eterni rivali sopra i campi di mezzo mondo, i cui rispettivi atleti più famosi e primi citati per ciascun paese, costituiscono, allo stato dei fatti, rispettivamente il 1° è il 4° giocatore più quotato dell’intero scena globale. Qui ci trovavamo, per inciso, agli open di Danimarca, una delle nazioni che attualmente mantengono viva la fiamma del badminton, assieme all’intera area dell’Estremo Oriente, dove risulta essere in effetti alquanto popolare. Strana corrispondenza di regioni geografiche distanti! Da cui nascono…Scintille, vie di fuoco lungo l’aria immobile del campo rigorosamente al chiuso e privo di vento (la “pallina”, anzi il volano, qui è talmente leggero che un soffio basterebbe a invalidare il partita). Il video rilevante, fatto circolare nel corso dell’intera scorsa settimana con il titolo di “Scambi iper-veloci del badminton 2015” o “Questo sport è veramente straordinario [punto esclamativo]” mostra un momento del torneo in cui le controparti si sono sfidate in una serie di confronti al fulmicotone, tra il risuonar dei battiti e lo squittire delle calzature sul PVC. Ebbene sappiate che, nel momento in cui il volano attraversava la rete a seguito di ciascuno smash, esso sorpassava spesso i 300 Km/h. Niente male, per un pezzetto di sughero con 14-16 piume d’anatra nella sua parte posteriore, vero? “Soltanto” la cosa più veloce che abbia mai toccato una racchetta umana…

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