L’arte della guerra povera e la lunga storia dell’armatura di carta cinese

Attraversata da occasionali periodi di disordini e divisioni, la storia della Cina antica può essere vista come la ripetizione di fondamentali eventi: primo, l’ordine costituito collassa, per l’effetto di un rapido susseguirsi di disastri naturali, carestie e ribellioni. Secondo, potenti signori locali organizzano una serie di regni che cominciano a farsi apertamente la guerra, grazie all’opera lungamente celebrata di numerosi combattenti ed eroi. Terzo, una dinastia emerge sopra le altre dalle nebbie turbinanti del Caos, accompagnata dal vessillo sotto cui le armate marciano e pongono fine alle altrui ambizioni di usurpare il legittimo potere ereditario. Quarto, tra le alte mura della capitale, gli studiosi operano al fine di legittimare e dare lustro alle pregresse discendenze dei sovrani seduti sopra l’altro scranno del nuovo governo. Ed è in questo momento normalmente, come avvenuto per i Song settentrionali mezzo secolo dopo il nostro anno Mille, che vengono redatte le cronache relative all’Era recentemente conclusa, all’interno di testi come lo Xīn táng shū (新唐书 – Nuovo Libro dei Tang) di 225 articolati volumi. Ma il lungo periodo di pace e prosperità portato a compimento poco prima di quel doloroso cambio di ordine universale, spesse volte, può condurre alla possente e sconfinante fioritura delle arti, mestieri e la ricchezza del costume dei potenti. Tanto che, si narra tra le pagine di tale testo, al termine di quegli anni l’abbigliamento marziale aveva trovato modo di esprimersi attraverso una pluralità di materiali letteralmente inesplorata in qualsiasi altro luogo o periodo del mondo, ivi inclusi legno, lacca, pelli di creature d’ogni tipo. Oltre alla seta e… La carta. Qualcosa d’insolito, senz’altro. Ed altrettanto inutile al di fuori di parate o semplici occasioni mondane, giusto? Intuitivamente, questo sarebbe stato il preciso destino di simili implementi, così come avvenuto in ogni altro luogo al mondo. Se non fosse stato per la figura del visconte Xu Shang, nobile di quinta generazione in buona parte responsabile della pacificazione dai barbari settentrionali dello Hezhong (odierna zona dello Shanxi) nell’858 d.C. alla guida di un corpo di mille uomini altamente addestrati e ben equipaggiati, che sarebbero passati alla storia come l’Armata Bianca. Questo per la loro insolita scelta in materia di protezioni da battaglia, consistente essenzialmente nella stessa candida e piatta sostanza mediante cui era stato redatto lo Xīn táng shū. E c’è qualcosa di profondamente poetico, nell’idea di un’invenzione risalente al 50 d.C, in base a una leggenda legata alla figura dell’eunuco della corte Han, Cai Lun, impiegata questa volte al fine concreto di proteggere i confini di quello stesso paese, ad oltre 10 secoli di distanza. Benché lungi da essere un’immagine priva di effettivo senso pratico e funzionale, l’armatura di carta possedesse già in linea di principio alcune delle caratteristiche fondamentali dell’odierno kevlar, risultando leggera e flessibile, pur potendo facilmente deviare o assorbire l’energia cinetica di un colpo vibrato di taglio oltre alla maggior parte delle frecce lanciate all’indirizzo del suo portatore. Secondo alcuni, persino eventuali palle dei primi rudimentali archibugi. Essa era inoltre leggera e flessibile come nessun altro materiale poteva aspirare a dimostrarsi, essendo destinata a risultare particolarmente utile nelle campagne successive compiute dai Song, finalizzate al recupero dei territori meridionali che erano stati nel frattempo conquistati di cosiddetti dieci regni. Avendo cura che le protezioni di questa tipologia non scendessero eccessivamente al di sotto della vita dei soldati, finendo per bagnarsi nelle numerose paludi e risaie di quei territori. I vestimenti bellici a base di cellulosa, come potrete facilmente immaginare, resistevano difficilmente all’umidità…

L’interconnessione e sovrapposizione di singoli elementi indipendenti, qualunque fosse il loro materiale costituente, è stato un punto ricorrente nella costruzione delle armature cinesi per almeno duemila anni. Fin da quando, all’epoca delle antiche dinastie, si usavano gusci di tartaruga e pelle di rinoceronte.

Lungamente considerata in certi ambienti, anche nazionali, come poco più di un mito a causa della sua imprescindibile deperibilità, l’armatura di carta (let. zhǐ jiǎ – 紙甲) ebbe modo di emergere di nuovo agli onori delle cronache nel novembre del 2004, quando un pezzo probabilmente appartenente alla dinastia dei Qing (1644 – 1912) è stato scoperto in una tomba del villaggio Qingbangba, nella provincia di Guizhou. Il che ha permesso non soltanto di confermare l’ipotesi lungamente ponderata dagli storici, ma di ritrovarne prova attraverso i secoli ad una significativa distanza dall’originarie storia del visconte dello Hezong. Dando nuovo lustro e credibilità al breve paragrafo illustrato contenuto, assieme a riferimenti ad ogni altra nozione bellica immaginabile, nel testo dell’epoca Ming del Wubei Zhi (武備志 – Trattato degli affari militari) compilato nel 1621 da Mao Yuanyi al fine di preparare la nuova generazione di ufficiali e comandanti al servizio armato del potere imperiale. Notazione la cui analisi ha effettivamente permesso, per quanto possibile grazie alla deduzione logica, d’ipotizzare l’effettiva metodologia impiegata per la costruzione dell’armatura di carta. Abito guerresco di configurazione lamellare, come la stragrande maggioranza di quelli utilizzati in Cina fin dall’alba dei tempi, si ritiene che esso prevedesse per l’appunto la realizzazione preventiva di una serie di elementi rettangolari cuciti assieme, ciascuno costituito da almeno un migliaio di strati di carta ripiegati su se stessi a fisarmonica o incollati tra di loro, benché la seconda soluzione potesse renderli maggiormente inclini a creparsi. Tale materiale risultava anticamente infatti molto sottile, ed altrimenti non avrebbe potuto in alcun modo resistere al tipo di sollecitazioni contro cui dobbiamo credere che sia stato impiegato. L’approccio artigianale ed economicamente accessibile permetteva di ottenere ottimi risultati nella maggior parte delle circostanze, benché fosse facile alterare i metodi produttivi, risparmiando risorse ma finendo per ottenere un prodotto inferiore. Per questo motivo lungo l’estendersi del periodo dei Song e Ming sappiamo essere stata prodotta nella sola regione dello Huainan una quantità di circa 30.000 armature complete di tipo zhǐ jiǎ, in una proporzione di 50 ogni 100 prodotte con metodologie convenzionali, riservando severe punizioni a chiunque non rispettasse gli standard produttivi imposti dal governo centrale. Armature alternative rispetto alle quali, è importante sottolinearlo, venivano considerate superiori all’interno di determinati contesti come il mantenimento dell’ordine civile nei contesti urbani, benché necessariamente vulnerabili all’usura e le precipitazioni meteorologiche particolarmente intense o reiterate (sebbene, a quanto pare, una volta bagnate queste armature guadagnassero temporaneamente un grado di resistenza superiore). Un altro dato interessante riportato dal Wubei Zhi è la maniera in cui simili vestimenti fossero particolarmente favoriti in marina, a causa del loro peso leggero e la provvidenziale tendenza a dissolversi una volta che il portatore cadeva in mare, offrendogli una potenziale àncora di salvezza. Ed è proprio in forza di simili considerazioni che, durante l’intero tardo periodo della dinastia Ming, abbiamo notizia dell’impiego di tale sistema di protezione durante i lunghi conflitti contro i pirati provenienti dalle isole giapponesi.

La costruzione effettiva delle armature di carta, fatta eccezione per le limitate illustrazioni di epoca Ming, resta largamente interpretabile e misteriosa. Questo per la prevedibile poca propensione di un tale abbigliamento a rimanere integro attraverso il susseguirsi delle generazioni.

Ciononostante insolita e bizzarra dal punto di vista delle culture occidentali, dove la carta è stata lungamente utilizzata come antonomasia di un materiale vulnerabile e poco resistente, l’armatura di carta è stata sottoposta in modo particolare ad una sperimentazione televisiva nel programma statunitense MythBusters, durante la stagione del 2011. Ciò mediante la collaborazione dell’esperto di storia militare Greg Martin, che in base alle conoscenze estratte dagli antichi testi ha fornito una metodologia ragionevolmente credibile per la produzione della zhǐ jiǎ, successivamente fatta indossare e sperimentare in varie circostanze ai membri del team dello show. Con risultati sorprendentemente validi, tali da dimostrarne l’efficienza contro implementi da taglio, da punta ed antichi fucili. Ma alquanto prevedibilmente, non esempi maggiormente moderni di arma da fuoco, che d’altronde avrebbero facilmente perforato qualsiasi altra protezione della stessa Era.
Il che ci lascia con una plausibile verità da valutare e soppesare nelle sue più rilevanti ed innegabili implicazioni. Proteggersi dai colpi con la carta potrebbe essere stato, ai tempi dei nostri predecessori d’Oriente, ben più che una semplice affettazione stilistica ed alquanto appariscente. Bensì una pratica e più economicamente accessibile soluzione alla protezione personale, in un ambito sociale in cui la maggior parte degli eserciti erano composti da gente di estrazione sociale umile ed attrezzati in base ai crismi dettati dagli organi burocratici centralizzati. Ma la standardizzazione antecedente all’epoca industriale, purché si parta da validi presupposti generativi, non deve necessariamente corrispondere ad un alto grado di vulnerabilità. A patto, s’intende, che il nemico non decida di affidarsi al più temibile dei cinque elementi inclusi nei trattati sulle tattiche di battaglia del Regno di Mezzo: il fuoco.

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