Il bruco cosmico che anticipa la profezia dell’implacabile falena

Nell’iconica leggenda del cavaliere dallo scudo e l’armatura di calendula, l’eroe titolare cavalcò per lungo tempo lungo il ripido percorso dell’arcobaleno boreale. Profondamente concentrato, e con l’estrema convinzione, di poter condurre a compimento la sua Cerca, consistente nel mettere in salvo, fino al termine della sua Era, l’intera predisposizione alla salvezza della collettività del tutto indifferente al rischio della propria stessa generazione. Dopo cinque settimane tra i viventi, il suo destriero ricoperto di uno sottile strato di ghiaccio e brina, gli riuscì perciò di giungere nella profonda valle al termine del continente/cortile. Ove dalle tenebre nascoste all’illuminazione superno, sorse alfine l’albero del Mondo, che secondo il fato scritto a lettere di fuoco avrebbe costituito la sua ultima disfida tra i viventi. Sotto la cui foglia più grande, in posizione invertita, l’aspettava quell’enorme larva, più alta della torre di un castello sottosopra, che ora si mostrava pronta a soverchiare ed annientare il suo minuscolo nemico. Testa piccola dalle mascelle senza posa, sotto l’inarcarsi di una schiena segmentata e bulbosa. Quattro grandi occhi disegnati sopra i fianchi, con l’intento molto chiaro di confondere chiunque avesse raccolto il coraggio necessario per tentare la scalata del suo vasto ramo. Ed una spessa scorza esterna di quel bruco, simile all’aspetto dell’Universo stesso, ricoperta da un oceano letterale di stelle. Ogni volta che la bestia si spostava, l’inconcepibile livrea restava nello stesso posto. Come se il suo corpo fosse un magico portale trasparente, capace di mostrare in parallasse il grande vuoto al di là di se stessa. “Poco importa, mio fidato Sterope. Preparati all’assalto!” Disse al suo destriero candido come una lumaca nelle notti di luna piena, mentre scollegava il supporto ausiliario di una lunga lancia di metallo sterling a tre punte. “Qui fermeremo la terribile creatura, prima che possa trasformarsi nella sua forma finale.” Capace di frapporre la parola di diniego, tra l’intero popolo di Avalon Brisbanica e la sua sopravvivenza futura… Allora il cavaliere del leggendario fiorrancio, il suo pennacchio petaloso al vento, si lanciò alla carica. E con un balzo di parecchie volte superiore alla sua altezza, passò facilmente oltre la specchiata superficie del temuto bruco del Nulla. Scomparendo all’interno dell’oscuro nulla che pareva costituire la sua stessa ed impossibile essenza!
Naturalmente qualsivoglia cosa, incluso l’eroismo, va proporzionata relativamente alle precise circostanze di contesto. Incluse quelle non più alte di pochi millimetri, di un mondo mitico all’interno di un semplice e del tutto silenzioso cortile umano. Laddove se una simile minuta società invisibile, di gnomi proto-medievali e armati fino ai denti, avesse cognizione del preciso metodo scientifico e la classificazione tassonomica di Linneo, non esiterebbero a identificare la propria temuta nemesi come un semplice esponente del genere di lepidotteri Eudocima, o per essere maggiormente precisi E. phalonia, il bruco della cosiddetta “Falena che perfora i frutti (del Pacifico)”. Non che tale presa di coscienza, in alcun modo, avrebbe dato luogo ad una significativa riduzione del pericolo rappresentato da una simile presenza estranea. Per quell’evidente propensione, non soltanto a consumare e contaminare le riserve di cibo con la sua saliva lievemente corrosiva, provocando una fuoriuscita di succo e conseguente attacco del frutto da parte di ancor più pericolosi batteri. Ma la cosa che sarebbe diventata, di lì ad un tempo ragionevole, ovvero un letterale angelo splendente dell’Apocalisse. La farfalla che fluttuando in aria avrebbe presto cominciato a fare ciò che gli riesce meglio: perforare, uno alla volta, ciascun dono per la pratica dispensa di Madre Natura. Mela, arancia, banana… Per condurre l’occulta società cavalleresca degli gnomi nella propria epoca più ardua ed irrimediabilmente, priva di risorse utili al sostentamento dei piccoli e indefessi possessori di cappello a punta ed elmo fiorito…

Di sicuro in condizioni di luce naturale, senza l’ausilio di artifici fotografici, il bruco galattico potrà essere meno notevole di quanto appaia in determinate foto memetiche sul Web. Ma pochi potrebbero dubitare di un permeabile realismo delle aspettative, di fronte alla sua effettiva beltà.

Siamo qui di fronte, sarà intuitivo capirlo, ad uno di quegli esseri la cui bellezza sottintende almeno un certo grado di latente malevolenza. Quasi come se quel fascino inerente fosse utile a costituire l’essenziale scudo nozionistico, di fronte alla terribile creazione frutto di una serie di scelte sprezzanti. Puro e semplice egoismo, nevvero? Del probabilmente più diffuso tra i parassiti dei frutteti, nell’intero vasto areale di Africa, Asia ed Oceania. Dove giunse in epoche remote per l’effetto dello spostamento geograficamente proprio ed involontario, oppure favorito dalle interminabili peregrinazioni dell’uomo. Fin troppo facile, in effetti, non notare quella schiera di globi ordinati, nascosti sotto la foglia e il ramo di una pianta, destinati a schiudersi dopo un periodo di appena due settimane. Per lasciar uscire fuori schiere di piccoli bruchi al primo stadio, già cupamente tempestati di una patina stellare fuori dal contesto, pronti a dare sfogo alla propria incontenibile fame.
Ora la forma larvale della falena Eudocima, a voler essere precisi, non possiede una voracità particolarmente deleteria, capace di ledere all’effettiva sopravvivenza delle piante ospiti, che tendono ad includere all’interno di determinati territori mango, kiwi, limone, ananas, guava, papaia, il frutto indonesiano stellato della carambola ed il dolcissimo longan. Benché tale aspetto appaia chiaramente secondario, per coloro che coltivano tali genìe salienti, al fine di poter trarne un commercio redditizio sul mercato internazionale della frutta. Fin troppo familiarizzati, tristemente, con il modo in cui la rosicchiante presenza dell’appariscente lepidottero sia incline ad arrecare danno al raccolto, giungendo a contaminare anche interi carichi soltanto per le piccole lesioni su di un singolo frutto, causando marcescenza, degrado estetico e conseguente perdita di ogni possibilità di raggiungere i banchi del supermercato. Il che non è che un mero anticipo, di quello che verrà, inevitabilmente, di lì a poco. Perché dopo il trascorrere di 3-4 settimane, corrispondenti a 5-6 mute e conseguente ingrandimento dell’animale, il bruco dell’Eudocima giungerà a dare sfogo ai propri istinti, cominciando a costruire un bozzolo del tutto impenetrabile agli inopportuni sguardi. Che entro i due terzi del mese successivo, si schiuderà lasciando uscire… la creatura. Tipica falena delle notti di primavera, nell’aspetto, con un’apertura alare di 75-100 mm, eppure portatrice di catastrofi decisamente degne di essere annotate negli annali. Vi sono, in effetti, lepidotteri che giungono alla propria fase adulta per durare appena qualche ora, accoppiarsi e morire. Le loro bocche totalmente incapaci di fagocitare alcunché, coronamento manifesto di un essere completamente privo d’interesse alle mere necessità del mondo materiale. Ve ne sono altri con una proboscide arrotolata su se stessa, appena sufficiente a penetrare il calice di fiori morbidi e accoglienti, prelevando il dolce nettare contenuto all’interno. Non così la falena perforante, che facendo onore al suo nome si dimostra impreziosita da una letterale trivella sclerotizzata, appuntita in modo sufficiente a penetrare anche la scorza del frutto più resistente. Per continuare a sopravvivere, indefessa, lungo un periodo relativamente interminabile di 26-28 giorni, durante cui potrà industriarsi a praticare l’essenziale pletora di buchi ovunque possa giungere a portarla la sua artropode creatività pendente. Qualcosa di difficilmente tollerabile e in effetti, non molto più facile da risolvere per molte delle popolazioni colpite.

Molte falene, un solo frutto. Potrà forse bastargli, grazie all’assoluta comunione e coordinazione d’intenti? Che creature più complesse non conoscono, a sommo discapito della propria ulteriore sopravvivenza.

Attiva per lo più dopo il tramonto, la falena risulta ad ogni modo facilmente individuabile grazie alle ali minori di un acceso color arancione, che resta visibile anche in posizione di riposo. Ulteriormente caratterizzato dalla presenza di macchie scure reniformi, simili a virgole decorative, verso la parte centrale del triangolo formato dalla propria sagoma evidente. Soltanto le femmine, in aggiunta a ciò, possiedono inoltre un complesso schema di trattini e macchie, come coronamento estetico alla sommità delle ali primarie. Una visione che fa da preambolo, generalmente, a febbrili attività di eliminazione sistematica, prima che l’infestazione raggiunga livelli difficili da contrastare. Passaggio che può richiedere, con variabili livelli di successo, l’utilizzo di metodi meccanici, pesticidi o esche di varia natura. Incluse quelle delle trappole luminose impiegate nelle ore notturne, oppure l’utilizzo del singolo frutto più attraente per queste fameliche presenze: la banana. Possibilmente accompagnata da zucchero come tentato, a più riprese, in determinate regioni dell’India ed il Sudafrica, sebbene le falene tendano a tornare senza esitazioni entro il concludersi della stagione successiva.
Perché non è mai davvero facile, né in alcun modo scontato, riuscire ad annientare l’incombente proliferazione di un entusiastico insetto. A meno di affrontare il problema sul nascere, cavalcando fino ed oltre il nucleo invisibile ed oscuro della questione stessa. Cuore impavido e cuneo privo di esitazioni, possibilmente suscitate dall’implicito splendore di ali così leggiadre.

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