Addio, mio dromedario: l’arte delle lampade create con la pelle dei quadrupedi pakistani

Il turista sufficientemente coraggioso da spingersi fino in Asia Meridionale in questo mondo affetto da guerre, instabilità politica, strascichi di pandemie latenti, potrà idealmente giungere ad un certo punto del suo itinerario fino all’antichissima città pakistana di Multan. Sito del tempio di Bahauddin Zakariya, la tomba di Shah Gardez, la moschea di Shahi Eid Gah. Luogo ove nei tempi più remoti, un particolare culto di venerazione dell’astro solare aveva portato alla costruzione del più vasto santuario a Surya, prima tra le cinque divinità astrali nel Panchayatana puja. Luogo d’incontro sincretistico tra discipline culturali e stili di vita differenti, per la prima volta noto alla cultura occidentale per l’assedio e successiva conquista ad opera del grande Iskandar, il conquistatore passato per la Persia che i macedoni chiamavano Alessandro Magno. E sarà in quel fatidico momento, camminando per le strade di un centro storico pieno di siti e personaggi interessanti, che potrà capitargli di scorgere una nota di colore tra le botteghe di artigianato tradizionale: motivi geometrici e floreali, ripetuti geometricamente sopra il novero di un variegato catalogo d’oggetti, con vasi, soprammobili e infiniti recipienti. Ma tra tutti, assai notevoli, risulteranno essere i fungoidi paralumi sollevati dalla superficie degli scaffali, per intrappolare e lasciar filtrare l’intensa luce pomeridiana attraverso lo spessore diafano del proprio involucro semi-trasparente. Come se fossero meduse, o impossibili sculture di carta velina, ciononostante sufficientemente compatte da mantenersi solide durante gli eventuali spostamenti. “Un materiale polimerico probabilmente frutto dell’industria moderna” potrà forse elaborare qualcuno tra i passanti disinformati, ingenuamente tratto in inganno dall’inconcepibile commistione di fascino ed efficienza. Almeno finché non gli riuscirà, nel corso dello stesso giro, di acquisire l’esperienza dei fabbricanti all’opera dinnanzi agli occhi della gente. Poiché nella produzione della cosiddetta lampada Naqashi, applicazione pratica dell’omonima pittura affrescata originariamente tipica della decorazione architettonica di luoghi sacri o privati, si dice siano coinvolte in genere tra figure d’artigiani distinti: il naqash o pittore; il kumhar, costruttore dello stampo tipico costruito con l’argilla; e l’essenziale dabgar, esperto conciatore della pelle di una bestia simbolo di queste terre, situate sul confine del deserto del Cholistan. L’ideale nave dalle gobbe assai riconoscibili, per questo, egualmente utile per la dissipazione del calore e l’immagazzinamento d’acqua utile a garantirne la difficile sopravvivenza. Benché gli animali, in questo come qualsivoglia altro luogo frequentato da civiltà complesse, sono essenzialmente mantenuti ed asserviti allo scopo di fornire pratici vantaggi per l’uomo, continuando ad essere utili anche nel periodo successivo alla propria inevitabile dipartita. Da cui è sistematico, entro le mura dell’originale capitale del sultanato di Langah, l’inizio di un percorso che potrebbe anche portarli ad essere perennemente immortalati sopra il comodino del proprio stesso riconoscente padrone…

Determinati stili decorativi possiedono nomi univoci, tramandati attraverso le generazioni occorse di ciascuna tradizione familiare. Non che sia scontato conoscerne delle altre, oltre a quella dimostrata dal principale ed unico testimonial dell’odierna pittura naqash.

La costruzione della cosiddetta lampada in pelle di cammello, benché sia opportuno specificare come il materiale utilizzato provenga dal possessore di una singola gobba, è un processo che sarebbe ancora oggi largamente misterioso a vantaggio della cultura globalizzata senza l’aiuto nozionistico fornito dal noto Malik Abdul Rehman Naqash, ultimo depositario di un’antica dinastia di fabbricanti. Più volte comparso in un alto numero di video esplicativi, l’ultimo dei quali prodotto per il Business Insider, in cui attribuisce un nome e rende palesi i diversi passaggi necessari alla creazione di così caratteristici oggetti. Il tutto con diretto e imprescindibile riferimento ai circa 900-1.000 anni di storia della sua famiglia, originariamente parte di un’intera casta di stimati praticanti, di una tecnica che aveva un ampio seguito e un’intera industria dedicata al suo progressivo perfezionamento. Benché tutto inizi, come dicevamo, con l’attenta lavorazione della dura scorza del “cammello”, preventivamente sottoposta alla rimozione dei peli, lavaggio e depurazione da ogni possibile residua impurità. Per poi far passare l’eccesso risultante, da quello che dovrà risultare un sottile canovaccio, all’interno dell’apposito tritacarne, da cui fuoriuscirà nella guisa di un malleabile impasto. Separate le due distinte tipologie di materiali, il produttore passerà dunque alla disposizione del primo attorno ad una forma ricavata dall’argilla, consistente nel negativo della lampada, vaso, etc. che intende realizzare di volta in volta, avendo cura d’impiegare la seconda derivazione lavorata della cotica per rinforzare e riparare eventuali discontinuità dell’impasto. Per poi attendere, secondo un metodo ampiamente comprovato, il trascorrere di un periodo pari da almeno un paio di giorni, affinché l’indurimento naturale e conseguente asciugatura del pezzo contribuisca a renderlo abbastanza resistente. Per poter resistere, idealmente, a ciò che viene dopo: l’impiego diretto di un apposito bastone o piccolo martello, per la rottura dell’argilla contenuta all’interno. Ciò che ne deriva, in poche parole, è l’ideale tela semi-trasparente per la messa in pratica della precisa arte pittorica del naqash, generalmente considerato il principale controllore autorale del manufatto. Destinato ad essere ornato, a seconda dei casi, con motivi geometrici più o meno naturalistici, figure vegetali e qualche volta anche fedeli riproduzioni di paesaggi o siti storici, primariamente per i pezzi destinati alla vendita all’estero o pensati principalmente per i turisti. Mediante l’applicazione di una tecnica che, indipendentemente dal soggetto, risulta molto impreziosita dalla varietà di pigmenti e colorazioni, chiaramente ereditate dalla primaria funzione di centro d’interscambio commerciale sulla via d’Oriente della città di Multan. Il cui ruolo al giorno d’oggi, nello scenario dell’oggettistica distintiva soggetta ad un qualche tipo di commercio globalizzato, sembra essere caratterizzato come quello d’esportatrice mantenuta in alta considerazione, di un prodotto tanto distintivo il cui prezzo può variare più di quanto potremmo essere indotti a pensare. In base al contesto e l’ideale impiego per cui è stato pensato: una lampada Naqashi, d’altra parte, quando idoneamente mantenuta tramite l’impiego di lucido protettivo, tenuta lontana dalla luce diretta del sole e montata con lampadine a bassa produzione di calore, può essere utilizzata ininterrottamente per periodi variabili tra i 50 ed i 100 anni, come dichiarato dallo stesso Malik Abdul Rehman, che racconta di avere in casa ancora opere del suo bisnonno, considerato all’inizio del secolo scorso come il principale responsabile dell’adattamento e riscoperta pubblica di questa specifica arte nel mondo contemporaneo. Un’impresa il cui valore, difficile negarlo, risulta essere difficile da sopravvalutare benché molto prevedibilmente, le nuove generazioni sembrino essere meno inclini a dargli continuità.

La fabbricazione degli stampi d’argilla è un passaggio niente meno che fondamentale, in base a schemi e misure considerati immutabili nell’antico catalogo dei prodotti collegati a quest’arte.

Chi può dunque davvero affermare, al giorno d’oggi, di conoscere tutte le forme d’arte della Terra? Sebbene Internet ci possa offrire, con il giusto tipo d’inclinazione, la via d’accesso a plurime opportunità di approfondimento e scoperta, verso mondi che altrimenti non potremmo avere modo di sperimentare senza lunghe o dispendiose trasferte. Nello scenario in cui spostarsi entro i confini del proprio paese, rispetto ai bei tempi andati, risulta essere ogni anno più difficile, il possesso diventa meno importante della conoscenza. L’incontro in prima persona, subordinato all’approfondimento autogestito. E qualora fosse davvero impossibile per voi, rinunciare all’effettivo possesso di una lampada di pelle di cammello, c’è sempre l’opportunità di ordinarla per corrispondenza. Benché la consegna, dal remoto Pakistan, potrebbe richiedere un periodo più esteso del previsto. Ma le cose più particolari o memorabili, si sa, richiedono pazienza. E cosa potranno mai essere, persino due o tre mesi, rispetto alla lunga e articolata vita dell’animale stesso!

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