Gli ultimi potenziamenti della tuta alare nell’annosa ricerca dell’uomo volante

L’esperto praticante di uno degli sport più estremi al mondo, Peter Salzmann, rivolse rapidamente il proprio sguardo prima da una parte, poi dall’altra. Due compagni per questa sessione, vestiti con l’abito simbolo di un superiore sprezzo del pericolo, lo avevano seguito fuori dal portellone dell’elicottero e verso gli svettanti profili montuosi dei Tre Fratelli (Drei Brüder). Come prima parte di un copione ben rodato, in cui i membri del gruppo di volo avrebbero diretto il proprio tragitto parallelamente ad un pendio scosceso, per seguirne l’andamento prima di raggiunger lo strapiombo sufficientemente alto da procedere con l’apertura del paracadute. “Non come al solito, non questa volta” pensò rapidamente il temerario, mentre con espressione decisa e posa plastica portava la sua mano destra in prossimità della particolare scatola di controllo, saldamente assicurata a una complessa imbracatura creata per l’occasione. Quando per un singolo momento, il paesaggio stesso sembrò scomparire, ad un brusco aumento della sua accelerazione. Senza un suono, il flusso d’aria sembrò essere cambiato, mentre la linea dell’orizzonte scompariva verso il basso: adesso, lui soltanto, stava nuovamente salendo. Disegnando l’effettivo tragitto di un arcobaleno all’incontrario, verso il cielo e l’Eternità.
Ed è un’impresa certamente significativa, quella celebrata nell’ultimo video della serie WTF – What the Future della testata digitale CNet, dedicata all’iniziativa teorizzata per lunghi anni nella mente del campione austriaco, finché una fortunata sinergia di sponsorizzazione non l’ha portato presso gli stabilimenti della grande casa automobilistica BMW ed in particolare presso il Designworks, stabilimento di ricerca e sviluppo della compagnia. Una partnership di quelle ambite da chiunque pratichi l’applicazione di sfrenate imprese tecnologiche, proprio perché conduttiva ad un studio approfondito, con risorse umane e materiali di alta caratura fino alla realizzazione dell’originale idea di partenza: volare, in questo caso, senza ingombri o limiti importanti di manovra, per lo meno lungo i circa 3 o 4 minuti di un’esperienza di questo tipo. E soprattutto grazie, come avete avuto modo di constatare, alla collocazione particolarmente pratica di una doppia turbina elettrica in corrispondenza del petto, così da accompagnare con spinta tangibile la pura e largamente inefficace forza di volontà. Come un uccello, come Superman o per usare un supereroe più pertinente, come il personaggio dei fumetti di Dave Stevens, The Rocketeer. Scelta motivata almeno in parte dalla cognizione fatta sua dal trentatreenne Salzmann che soltanto un meccanismo di propulsione a batteria potesse raggiungere la compattezza e il peso sufficientemente ridotto da poter portare a compimento la manovra, sebbene un fattore contributivo in materia sia rintracciabile nella necessità del gigante automobilistico bavarese di pubblicizzare il proprio nuovo SUV ad emissioni zero, l’iX3. Tramite l’entusiastica pubblicazione verso la fine del 2020 di una serie di nuovi numeri da inserire dentro il libro del Guinness dei Primati, tra cui una velocità orizzontale massima dichiarata di esattamente 300 Km/h. Sebbene in molti nel settore abbiano sollevato l’obiezione di una misurazione precisa tramite la metodologia formale di un dispositivo di tracciamento GPS, oltre al fatto che la motorizzazione della tuta alare fosse già all’epoca in effetti una casistica tutt’altro che priva di precedenti. Vedi a tal proposito, per esempio, la creazione portata fino alle sue riuscite conseguenze un anno prima dal praticante belga Jarno Cordia, dotata di un comparto prestazionale assai probabilmente più performante…

I motori in questo caso, come esemplificato anche dal caratteristico colore viola, sembrerebbero rientrare nel segmento di mercato dedicato agli aeroplani radiocomandati. Qualcosa di particolarmente impressionante, da decidere di attaccarsi alle caviglie.

L’idea è in effetti rivoluzionaria nella sua semplicità apparente, oltre che basata su parametri maggiormente familiari al flusso principale dell’aviazione. Messa alla prova per la prima volta nel 2017 sopra i cieli d’Olanda, a una più ragionevole distanza di sicurezza da scoscese pareti rocciose tra i più celebri rilievi europei. Questo per una serie di priorità naturalmente differenti, senza entusiastica dichiarazione alla stampa né alcuna fanfara di tipo aziendale, ma soltanto la prudente prova tecnica di un significativo passo avanti tecnologico della sua attività preferita. In cui la soluzione motoristica molto più rumorosa si trova collocata, questa volta, in corrispondenza dei piedi dell’uomo-uccello, per la stessa comprensibile ed apparente necessità di mantenere l’ingombro lontano dalla necessaria apertura del paracadute al termine dell’avventura tra le nubi, sebbene la fonte energetica selezionata contribuisca almeno in parte a complicare un simile fondamentale passaggio dell’exploit. Questo perché le due turbine usate da Cordia, contrariamente a quelle del collega austriaco, sono di un tipo alimentato con il carburante piuttosto che le batterie, situato questa volta necessariamente in uno zaino aerodinamico sopra le spalle del coraggioso. Il che presenta alcuni significativi vantaggi per contrastare l’ingombro, tra cui l’aumento di efficienza esponenziale con il crescere della velocità, secondo il principio di funzionamento della turbina a gas, laddove il compressore creato per l’impresa di BMW prevedeva un’erogazione di potenza sempre costante nel corso dell’intera sequenza. L’effettiva efficacia e guidabilità fornita dai due motori, collocati sull’estremità degli arti in maniera simile, ma diversa rispetto a quella impiegata dal celebre “Iron Man” inglese Richard Browning con le sue braccia a razzo, sembrerebbe quindi sufficiente a praticare voli radenti del tipo maggiormente associato all’effettiva pratica della tuta alare, in cui l’obiettivo sembrerebbe tanto spesso essere quello di sfiorare il più possibile da vicino l’attimo finale della propria esistenza. E sebbene manchino, in questo caso, estensive trattazioni testuali come quella offerta dagli esperti copywriter della BMW, alcuni dati oggettivi compaiono comunque sotto il video relativo, tra cui un livello di spinta pari a 65 Kg a 4.000 piedi d’altezza, per un periodo di volo pari a 2 minuti e 25 secondi, durante cui sono stati percorsi 4,3 Km. Per una velocità media calcolabile attorno ai 115 Km/h, quindi largamente inferiore a quella del più recente praticante, benché l’obiettivo divergesse in modo significativo e assieme ad esso la finalità effettiva stabilità al momento del lancio.

Peter Salzmann alle prese con un lancio di tipo convenzionale all’interno di un angusto canyon montano, seguito per l’occasione dall’operatore video Scott Paterson. Ci vorranno ancora anni, prima che la tecnologia propulsiva elettrica possa fare il proprio ingresso in “linee” di natura tanto estrema.

Disciplina tra le più terrificanti mai concepite da mente umana, il lancio con la tuta alare si è recentemente e gradualmente trasformato in un momento in grado d’attirare l’attenzione pubblica, grazie all’alta circolazione di video realizzati con l’applicazione delle nuove tecnologie. Quasi sempre prontamente pubblicati su Internet, dove contribuiscono al problematico proselitismo di un’attività capace di richiedere preparazione fisica eccelsa, oltre a lunghe ore di pratica pregressa nel campo del paracadutismo. E questo senza neanche entrare nell’ambito del BASE Jumping, assolutamente centrale qualora si scelga, molto pericolosamente, di partire dalla cima stessa della montagna. Quando la stessa nascita del concetto di una caduta umana controllata, agli albori di quel campo, trova la fallimentare impresa del predecessore Franz Reichelt, che nel 1912 si lanciò dalla cima della Torre Eiffel, culminante con l’impatto rovinoso e letale sulla dura terra in cupa e silenziosa attesa. Non grazie all’impiego di alcun tipo di grande telo di stoffa, bensì quella che potremmo definire letterale anticipazione di una moderna tuta alare. Perché già sapevamo, all’epoca, quale potesse essere il sentiero del nostro destino. Mancavano soltanto lunghe ore e l’utile contributo di una galleria del vento, per comprendere a pieno le problematiche limitazioni del senso comune.

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