Questa mega-tazza riflettente è il più avveniristico spazio museale del nuovo millennio

Angusto, polveroso, perennemente avvolto in uno stato di parziale penombra. Oltre la sala coi dipinti dei Maestri, dietro il corridoio delle sculture Moderne. Sotto l’area con le mummie Egizie; un tale spazio irrinunciabile, ma raramente visitato, corrisponde in modo pratico agli scantinati di un palazzo abitativo, ai suoi garage, al sottosuolo con gli impianti tecnici e di riscaldamento. Ma è ricolmo di un possente alone di mistero: quali opere tra gli occulti recessi, quanti oggetti dalla provenienza incerta? Sotto la supervisione il trafficare di che tipo di restauratori ed altre possibili figure professionali? Questo è il tipico deposito, parte inscindibile di un rinomato museo. Luoghi come il Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, fondato dall’unione delle collezioni degli eponimi benefattori, nell’ormai distante 1849. Abbastanza distante da procedere all’accumulo in quasi due secoli di 151.000 opere di varia natura, con una particolare specializzazione nell’eccezionale patrimonio pittorico d’Olanda. Ed abbastanza distante da trovarsi ad accumulare una non meglio definita serie di problematiche di tipo strutturale ed organizzativo, tali da portare alla chiusura della prestigiosa e rinomata istituzione a partire dall’anno 2019, e per un periodo che si stima dover proseguire fino al 2026. Sette anni di assenza dagli itinerari della cultura nazionale e quelli del turismo proveniente da ogni parte del mondo, sette anni senza mostre, per chi aveva scelto d’impiegarlo come trampolino di lancio per la propria voce nell’affollato ambiente dell’arte. “Sette sono troppi” pare quasi di sentire l’allarmata voce degli addetti alla pianificazione urbana, che coerentemente a un tale contrattempo sono giunti a elaborare un’imprevista quanto pratica e immediata soluzione funzionale. Quella di trasformare il deposito stesso, nell’attrazione. Gli angusti corridoi in attraenti ed augusti spazi aperti al pubblico. E farlo in modo totalmente programmatico, all’interno di uno spazio preparato ad hoc. Questo oggetto alto 39 metri entro cui potreste riuscire a specchiarvi, dunque, è il Boijmans Van Beuningen Depot.
Progettato e costruito grazie all’assistenza dello studio di architettura MVRDV, nella figura del fondatore e notevole creativo Winy Maas, l’edificio è stato costruito a partire dal 2017 nel parco stesso del museo storico, prendendo forma come una sorta di miracoloso uovo gigante. Questo perché lungi dal trovarsi a sfruttare linee semplici e dirette, l’imponente struttura da 15.541 metri quadri di spazio utilizzabile presenta, come molte altre creazioni del suo progettista, l’aspetto dirompente della migliore tradizione modernista, grazie all’impiego di una serie di accorgimenti estetici e funzionali. A partire dalla base più stretta del tetto per ridurre lo spazio occupato nel parco, tale da donargli un aspetto superficialmente paragonabile a quello di un’insalatiera o tazza per la prima colazione. Se non fosse per il piccolo “dettaglio” di un’intera foresta di pini e betulle sulla sommità, ed il fatto non meno notevole dei 1.664 pannelli di vetro specchiato disposti nell’intera superficie esterna di 6.906 mq, tali da riflettere i dintorni, la gente che l’osserva e la stessa struttura del museo storico, con la sua torre alta esattamente quanto l’innovativa controparte strutturale. Così prossima all’inaugurazione, prevista sabato prossimo alla presenza di re Guglielmo Alessandro d’Olanda, durante cui l’intero vasto pubblico sarà invitato finalmente a sperimentare questo nuovo e coinvolgente respiro dell’arte, distribuito nei sette livelli di spazi ibridi, capaci di funzionare sia come aree di stoccaggio che ambienti utili all’esposizione dei loro molti tesori. Per non parlare delle ampie vetrate disposte attorno all’atrio centrale, entro cui sarà possibile ammirare il personale di conservazione e restauro all’opera, giungendo a sperimentare in via diretta l’effettivo funzionamento di un complesso e stratificato meccanismo operativo come il Boijmans Van Beuningen. Il tutto attraverso una struttura dalle caratteristiche architettoniche assolutamente originali, tali da ricordare lo scenario di una delle migliori serie cinematografiche fantastiche dei nostri tempi…

Gli spazi del Depot per come si presentano a pochi giorni dalla loro apertura sono già notevoli e capaci di catturare l’attenzione per la loro dissonanza dal contesto architettonico apparente. Anche se l’impressione complessiva è che manchi ancora… Qualcosa: il senso di spontaneo e costante utilizzo, che verrà nella trasformazione da mostra permanente in vero e proprio magazzino visitabile del museo.

Nel cuore stesso dell’edificio dunque, paragonabile al torsolo cavo di una Grande Mela, trova posto quello che è stato chiamato il Labirinto, un’intreccio di scale dichiaratamente ispirato alle stampe di Piranesi (e conseguentemente, l’ancor più celebre mondo Escheriano) ma che finisce per ricordare quelle della scuola di Harry Potter, per la presenza d’imponenti teche mobili e spazi sospesi entro cui trovano spazio numerose opere d’arte. Illuminate dalle vaste finestre panoramiche dovute all’ingegnosa partecipazione di Marieke van Diemen, celebrata progettista di mostre e musei d’Olanda, che lavorando di concerto con gli architetti entro lo spazio largo 28 metri e profondo 6 situato tra i due ascensori del Depot, ha voluto massimizzare il coinvolgimento dei visitatori trasportandoli all’interno di un viaggio fantastico e del tutto privo di preoccupazioni contestuali. In tal modo, rispettando l’esigenza di un vero deposito in condizioni climatiche controllate, l’edificio presenta una disposizione delle opere in base alla loro natura e composizione, in cinque “zone” ciascuna corrispondente a un diverso tipo di manufatti: metallo, plastica, organico/inorganico, fotografia in bianco e nero ed a colori. Con la conseguenza che creazioni antiche possono trovarsi accanto ad opere moderne, senza nessun tipo di percorso concettuale apparente. Ma una profonda e imprescindibile logica, che nascendo dal bisogno aspira a creare un qualcosa di radicalmente diverso dalle molte vie tentate fino a questo momento. Le singole sale con le opere propriamente dette nel frattempo, visitabili soltanto tramite tour guidato, presentano una serie di soluzioni espositive tanto eccezionali da risultare quasi preoccupanti: vedi le letterali migliaia di tele inestimabili, saldamente assicurate a veri e propri pannelli scorrevoli su rotaie non dissimili da quelle di un negozio di poster, tali da poter scrutare da vicino la propria preferenza tra i vecchi e nuovi maestri della pittura d’Olanda. Una visione decisamente “interattiva” dell’intera questione che giammai nessuno, prima d’oggi, aveva neanche immaginato d’implementare. La concezione stessa dell’edificio risulta essere del resto, nelle parole stesse usate sul sito degli architetti, come assolutamente “democratica” ovvero visitabile al 99%, e nel caso del vero e proprio parco situato all’ultimo piano, addirittura gratuita sfruttando accessi alternativi che non passano all’interno del Labirinto. Area di tranquillità e svago, quest’ultima, con ben 75 alberi appositamente preparati all’interno di nursery forestali nel corso degli ultimi due anni, prima di essere trapiantati sulla sommità ventosa del notevole edificio. Ma non prima di aver disposto, al centro di quest’ultima, la struttura cruciforme di un ristorante, usato al fine di smorzare le raffiche capaci di scompigliare eccessivamente le loro fronde, così da garantire una lunga durata per questa ulteriore concessione alla già elevata percentuale di verde presente entro i confini della città di Rotterdam capace di dipanarsi attorno al significativo spazio panoramico che ne risulta.
Completa l’offerta l’immancabile attenzione, al giorno d’oggi, per la sostenibilità e risparmio energetico dell’edificio, con una nutrita selezione di pannelli solari, luci al LED a basso consumo, sistemi di scambio e recupero del calore nonché il riciclo dell’acqua piovana, al fine d’irrigare le piante e far funzionare le toilettes. Sistema in effetti giudicato abbastanza efficiente, quest’ultimo, da evitare di dover collegare il Depot ai sistemi di drenaggio delle precipitazioni atmosferiche facenti parte dell’impianto fognario cittadino. Il tutto secondo il fondamentale crisma operativo dello studio MRDV formalizzato in un mostra del 2019 in Tirolo (Architecture Speaks) con il termine di “villaggio”, inteso come creazione progettuale non del tutto autonoma che prende in alta considerazione i suoi immediati dintorni, favorendone e massimizzandone le qualità inerenti. Svolgendo il ruolo di “activator” delle interazioni sociali e la discussione pubblica, nei temi che più d’ogni altro condizionano (o dovrebbero condizionare) le scelte operative della classe politica dei nostri giorni. Pienamente rappresentati, nell’ultima creazione di Winy Maas, anche gli altri due punti programmatici dello “stack“, sovrapposizione tridimensionale degli spazi e del “pixel“, fluidità operativa di questi ultimi, sulla base dei bisogni progressivamente messi in campo dai suoi utilizzatori. E quale migliore rappresentazione potremmo immaginare, sotto quest’ultimo aspetto, di un deposito museale che può cambiare dinamicamente la collocazione e disposizione delle sue opere, sollevando ed abbassando intere sezioni facenti parte del corpo centrale, anche più volte nel corso di una singola giornata?

Chi meglio dell’architetto, Winy Maas in persona, per spiegare le caratteristiche e finalità perseguite con le soluzioni atipiche adottate nel Depot. Creazione figlia di una particolare visione degli spazi utili, che incorpora un rapporto atipico col mondo e l’intera collettività dei suoi occupanti. Per non parlare delle opere d’arte…

L’idea intrigante del Boijmans Van Beuningen Depot riesce ad essere perciò non soltanto l’efficienza nel risolvere uno specifico problema, quello dell’omonimo edificio che è andato incontro ad un lungo periodo di ristrutturazione, ma il dilemma principale di qualsiasi altra istituzione museale di gran prestigio ed estensione. Per cui si stima, come orgogliosamente spiegato anche presso il sito del progetto di Rotterdam, che una percentuale impressionante del 95% delle opere in possesso vengano gelosamente custodite dietro spazi totalmente impenetrabili ai diretti interessati, i visitatori. Laddove l’alternativa è sempre stata vista come una sorta di accozzaglia sovrapposta, in cui nessun programma funzionale avrebbe potuto guidare l’esperienza di coloro che varcavano l’imponente portone della cultura. O forse, c’era anche un fondamentale senso di diffidenza, nell’esporre tali e tanti tesori al pubblico ludibrio e conseguente rischio di manomissione? Un ingombrante e comprensibile residuo, quest’ultimo, di un’epoca in cui i sistemi di sicurezza e controllo ambientale non erano certo avanzati quanto quelli di cui disponiamo oggi. E le menti stesse delle ultime generazioni, figlie di un’epoca pre-digitale, non avevano ancora appreso l’abilità necessaria a processare un alto flusso d’informazioni fornite in modo parallelo ed incoerente. Poiché ogni limite procedurale imposto, fondamentalmente, è incline a un certo margine d’errore che può variare in base alla quantità dei preconcetti precedentemente considerati imprescindibili. Ed è per questo che risulta tanto importante, ogni volta che se ne presenta l’opportunità, poter scegliere di abbeverarsi dalla grande cornucopia dell’Arte.

La costruzione della grande tazza, frutto di soluzioni tecniche e simboliche (i singoli pannelli di vetro, ad esempio, sono stati “donati” da diverse municipalità d’Olanda) ricorda quella del recente mercato coperto della Markthal, creata anch’essa dallo studio MRDV per assolvere a ordinarie esigenze della città di Rotterdam. Ma non senza ricorrere a uno stile capace di alterare sensibilmente la convenzione.

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