Ecce gavia: piumata origine dell’urlo che risuona in ogni genere di film hollywoodiano

Come in una sorta di meditazione ricorrente, quello strano suono è ricomparso nei capitoli più strani e salienti della mia vita. Mentre camminavo nella foresta, sapendo di essere sfuggito all’olfatto impeccabile del lupo cattivo. Fuori dalla stanza degli esami della scuola d’arte, nelle tenebre di un cielo senza Luna. Mentre camminavo nello spazio angusto di una trincea in guerra, in mezzo ai colpi rimbombanti dell’artiglieria nemica. In visita al pianeta natìo del malefico essere intergalattico Thanos, sottolineando l’apparente quiete che precede l’ultima battaglia. Simile al richiamo di un gufo, ma più profondo, non troppo dissimile dalla nota prolungata di uno strumento a fiato, caratterizzata da una simile inerente complessità auditiva. Prima un incipit, verso la metà di un ottava, quindi un brusco e tremulo aumento di frequenza per poi scendere di nuovo, in un solo movimento fluido degno di un cantante d’opera di lunga carriera. Ma ho partecipato veramente a simili momenti? O li ho soltanto visti da lontano, attraverso la lanterna magica di un proiettore, seduto comodamente sopra le poltrone cinematografiche di questo ben più noioso (e qualche volta, prevedibile) mondo… Realtà e fantasia si fondono, mentre la linea di demarcazione sfuma progressivamente oltre il baratro della non-esistenza. Il tutto accompagnato dal sussurro vibrante, e ripetuto, dell’uccello noto dalle nostre parti come strolaga (o gavia) e agli anglosassoni con l’onomatopea onomastica di loon.
E non chiamatelo, assolutamente, un’anatra. Né un’oca, sebbene nelle dimensioni si trovi esattamente tra l’una e l’altra, essendo inoltre dotato della stessa forma tondeggiante di un uccello fatto per riuscire a galleggiare facilmente, mantenendo il giusto grado d’isolamento dalle condizioni climatiche del freddo settentrione. Dove dovrebbe normalmente risiedere, se un’intera generazione di tecnici del suono, copiandosi a vicenda, non avesse scelto di eleggerne il caratteristico prodotto auditivo a simbolo perfetto del mondo selvaggio, naturale e in qualche modo sottilmente inquietante. Scelta non del tutto incomprensibile, quando si raffronta questo susseguirsi di possenti sibili ululanti alla risata di una iena, o l’enfatico confronto di un intero gruppo di scimmie. Nella maniera ampiamente dimostrata dal recente video della testata Vox, che ne ha realizzato una disquisizione ricca e approfondita, corredata dai commenti dell’esperto Terry Sohl (Dakota Birder) utente social particolarmente entusiasta di poter confermare uno degli aspetti più letteralmente stonati dell’attuale cinematografia d’intrattenimento: il ricorso frequentemente improprio al verso della gavia, persino in situazioni ed habitat del tutto impossibili, quando non si giunge addirittura a mostrare coerentemente un uccello del tutto diverso. Laddove l’effettivo aspetto ed eleganza di questo intero genere d’uccelli, perfettamente esemplificato dalla specie di maggior diffusione G. immer (“comune” o “settentrionale maggiore”) avrebbe pienamente giustificato la sua inclusione in ogni tipo di pellicola, considerata la notevole livrea del piumaggio, con un campo nero punteggiato di macchie bianche notevolmente regolari, mentre la testa ed il collo risultano tinta unita fatta eccezione per il distintivo ornamento di una gorgiera a strisce, degna del miglior ritratto di epoca Elisabettiana. E un becco dalla forma e il senso di minaccia tipici di un vero e proprio pugnale, per l’appunto usato dall’uccello con crudeltà niente affatto minore, durante i lunghi tuffi in immersione effettuati fino alla profondità incredibile di 60 metri, alla ricerca di un’ampia varietà di piccole creature marine. Mentre la conformazione stessa del suo corpo, ad un più attento esame, si rivela per ciò che è davvero: perfetta coniugazione di fattori idrodinamici in una guisa tanto affusolata, da riuscire a sfidare l’innata resistenza delle acque maggiormente torbide e gelate. Le gambe arretrate, tali da ridurre l’agilità sulla terra ferma. Finendo per ricordare in effetti, piuttosto che l’anatra precedentemente menzionata, una sorta di vero e proprio pinguino volante. E che sa staccarsi, in effetti, da terra con estrema abilità e perizia, se è vero che talune gavie viaggiano fin dalle soglie dell’Artico per molte migliaia di chilometri, fino agli accoglienti laghi meridionali di California, Messico, Francia, Spagna e Portogallo, per trascorrere l’inverno tra una stagione e riproduttiva e quella successiva…

Essendo del tutto identiche nel piumaggio tra esemplari maschili e femminili, i sesso delle strolaghe si distingue primariamente tramite il comportamento ed il tenore dei loro richiami. Il che ne ha fatto un soggetto particolarmente apprezzato, ed interessante, per gli ornitologi dell’intero emisfero settentrionale.

Il fatto stesso che uccello di cui conosciamo solo di seconda mano l’aspetto, essendo la strolaga o gavia decisamente rara in Italia, mentre nulla di più familiare esiste che il suo verso, è quindi una mera conseguenza del processo culturale di globalizzazione, che inerentemente tende ad esportare e coniugare ogni particolare aspetto memorabile o persistente delle interazioni costanti tra uomo e natura. Così dei quattro possibili richiami, emessi in varie tipologie di circostanze da questi uccelli, vengono appropriatamente favoriti in cinematografia il tremolo e lo yodel, dalla natura più complessa e usati spesso dai loro autori al fine di proteggere e definire i confini del territorio e nel secondo caso, segnalare il proprio interesse alle femmine di passaggio. Mentre il wail e lo hoot, più brevi e diretti, rappresentano un semplice avviso e affermazione nei confronti dei propri simili della propria esistenza, al fine di coordinarsi, ad esempio, per sfuggire alla venuta di un predatore. Uccello forte, scaltro e marcatamente territoriale anche data la lentezza con cui riesce prendere il volo, la strolaga adulta riesce infatti a non temere un’ampia gamma di predatori, fatta eccezione per l’occasionale attacco di uno squalo o l’aquila che tenta di ghermire un genitore intento a covare. Creature come le volpi, ad esempio, vengono aggredite ferocemente dai genitori e beccate in prossimità del collo e degli occhi, riuscendo facilmente a metterle in fuga quando non addirittura ucciderle preventivamente. Mentre tutt’altra storia, in effetti, è quella delle uova stesse destinate a restare immobili per un periodo di 28 giorni all’interno di un nido particolarmente vulnerabile, fatto con erba e licheni in prossimità della costa, diventando il bersaglio ideale di mustelidi, lontre e soprattutto procioni, da soli responsabili del 40% delle predazioni subite. Prima di lasciar uscire il grazioso pulcino, inerme pasto piumato particolarmente gradito a gabbiani, corvi, rapaci di varia natura, nonché l’immancabile tartaruga azzannatrice, mostro carnivoro fuoriuscito dalle pagine più preoccupanti di un catalogo di bestie medievali. Nutrito da entrambi i genitori per un periodo di fino a 77 giorni, il singolo (o al massimo, la coppia) delle strolaghe raggiungerà quindi l’indipendenza, perfezionando quella tecnica di tuffo che già possedeva dal momento della nascita fino al punto di potersi sopravvivere contando unicamente sulle sue forze. Si stima, a tal proposito, che l’intero processo dalla nascita fino al “diploma” possa richiedere un gran totale di 423 Kg di pesce, formalizzando nei fatti la notevole voracità posseduta da questi uccelli, veri e propri predatori degli ambienti lacustri ove soggiornano durante la stagione riproduttiva. Notevole a tal proposito, e decisamente controproducente in molti casi, l’abitudine delle gavie a ricordare le caratteristiche dei propri laghi di nascita, tendendo a metter su famiglia in luoghi il più possibile simili, anche quando si palesano alternative migliori nel corso delle loro peregrinazioni. Il che le porta, purtroppo, a far nascere i piccoli in ambienti dal pH eccessivamente elevato, troppo angusti o poco nutrienti, così da condizionare la loro sopravvivenza fino all’ulteriore evento riproduttivo. Ciò detto, la popolazione complessiva delle strolaghe comuni è stimata attorno ai 612.000-640.000 esemplari su scala globale, facendone un uccello dall’assoluta successo come specie ed adattabilità evidente agli attuali mutamenti climatici e interferenze da parte dell’uomo. Una condizione largamente condivisa da tutte le altre varietà di strolaga fatta eccezione per quella dal becco giallo (G. adamsii) spostata dallo IUCN nella categoria di rischio superiore NT (Not Threatened) causa la caccia ed il consumo di sussistenza effettuato da talune popolazioni indigene geograficamente remote. Una pratica tradizionale, chiaramente proveniente da un’epoca in cui l’uomo e la natura vivevano un conflitto irrimediabile e per quanto abbiamo modo di comprendere, del tutto privo di quartiere. E prima del nostro assoluto, irrimediabile predominio.

Normalmente nemiche, ed in effetti occasionali cacciatrici delle anatre, le gavie possono anche diventare dei loro alleati. Vedi questo eccezionale caso sul lago Tomahawk in Wisconsin nel 2019, in cui una coppia che aveva perso il piccolo finì per adottare un anatroccolo smarrito, senza notare a quanto sembra l’evidente serie di differenze.

Volatile di rappresentanza dello stato americano del Montana (fatta eccezione, scherza qualcuno, per la zanzara) nonché beneamato simbolo presente sulla moneta da un dollaro canadese, al punto che quest’ultima viene chiamata in situazioni informali un loonie coin, la strolaga è una creatura notevole capace di connotare allo stesso modo le culture moderne e quelle di epoche ormai distanti. Vedi il ruolo posseduto nelle leggende del popolo canadese dei Micmac, in cui rappresenta l’aiutante sovrannaturale dell’eroe Gloscap, nonché la diffusa credenza in Scozia secondo cui esso potrebbe chiamare umide nubi tempestose con il suo verso, sia di un tipo materialmente apprezzabile che metaforico, inteso come guai per il malcapitato che dovesse ritrovare ad ascoltarlo. Forse proprio la fonte, quest’ultima, del ruolo reiterato che si è scelto di attribuire nella maggior parte dei suoi impieghi in campo cinematografico: timore, inquietudine, paura, paura. Perché non c’è nulla di più terribile, che un’ipotetica ribellione perfettamente coordinata di tutti quegli esseri che popolano i cieli di questa Terra: gli Uccelli (di Mr. Hitch..) Qualcuno dovrebbe, prima o poi, trovare il modo di farne un film.

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