Il vetusto retaggio dei 600 cubi atomici nazisti

A partire dall’inverno del 1944, il destino stesso del mondo fu precariamente appeso ad una sorta di lampadario, esposto all’interno dei sotterranei di una chiesa nello Hohenzollern , in quella che anticamente era stata la Prussia. Con centinaia, e centinaia di cubetti neri, dallo spigolo di 5 centimetri, dal sorprendente peso di 2,4 chilogrammi ciascuno, situati sopra un ingombrante cilindro di grafite, occasionalmente ricolmo di un liquido perfettamente trasparente. E sapete che cos’era quest’ultimo? Acqua, nient’altro che questo. Tuttavia riempita di deuterio in forma di ossido, a formare la versione cosiddetta “pesante” di quel dissetante fluido, verso l’ottenimento di una densità maggiore dell’11% del normale, assieme a proprietà biologiche, fisiche e chimiche di una diversa natura. E non credo neanche sia del tutto necessario specificare il materiale usato per l’arredo sopra descritto (uranio) né l’identità dell’uomo posto a supervisionare questo luogo con il camice da scienziato (il fisico Werner K. Heisenberg) perché sia possibile capire la portata drammatica del tipo di scoperte possibili in un simile laboratorio: poiché era ormai la fine della seconda guerra mondiale e proprio qui, in aggiunta ad altri due centri a Lipsia e Gottow, la Germania stava ricercando le applicazioni energetiche, e possibilmente belliche, della fissione nucleare. Come spesso avviene nel caso di simili propositi notevolmente avanti rispetto all’epoca vigente, tuttavia, la questione stava richiedendo un tempo più esteso del previsto, mentre giorno dopo giorno, il singolare reattore veniva posto in stato d’immersione, nella trepidante attesa di una reazione a catena che, per nostra e loro fortuna, non ebbe in alcun modo la maniera di realizzarsi. Questo perché, nonostante la misura di sicurezza di una ponderosa barra di cadmio da usare per l’assorbimento dei neutroni in caso di necessità, la quantità di radiazioni emesse in caso di successo sarebbe certamente bastata a condannare l’intero inconsapevole villaggio di Haigerloch.
E fu così che ad aprile del 1945, giungendo assieme all’esercito francese di liberazione presso questo luogo in un certo senso maledetto, un gruppo di persone molto speciali notò l’alto sperone di roccia sotto l’edificio ecclesiastico locale e soprattutto l’angusta caverna, attraverso cui gli scienziati tedeschi avevano fatto passare, al primo rischio dei bombardamenti alleati, la completa dotazione necessaria per la loro attività di ricerca. Sto parlando, nel caso specifico, dei membri dell’operazione Alsos, gestita di concerto da Stati Uniti e Inghilterra, finalizzata alla ricerca e l’acquisizione di tutte le attività atomiche in corso di realizzazione dai tedeschi. Naturalmente a quel punto, il premio nobel Heisenberg era già fuggito, a quanto si racconta pedalando energicamente sulla propria bicicletta, mentre portava in spalla uno zaino dalle dimensioni e il peso certamente significative. Stranamente cubico, nell’aspetto…

Lo spessore della roccia collocata sopra la cantina di Haigerloch era tale da poter proteggere il prezioso laboratorio al suo interno da qualsiasi attacco aereo. Una dote, quest’ultima, considerata particolarmente importante data la natura dei materiali contenuti al suo interno.

Ciò che segue nello svolgersi di una simile vicenda, sulla quale è stato già scritto un libro da parte del fisico e storico americano dell’Università del Maryland Timothy Koeth, attualmente in stato di valutazione come possibile ambientazione per un film hollywoodiano, è paragonabile al tipo di narrazione generalmente connessa alla scoperta della tomba di Tutankhamon (meno la maledizione): i numerosi cubetti di uranio, individualmente dotati di un certo valore sul mercato e particolarmente per la Russia sovietica, la grande potenza maggiormente indietro nella ricerca nucleare, iniziarono a ricomparire attraverso gli anni e nei luoghi più diversi. Una grande quantità di essi, tanto per cominciare, fu ritrovata seppellita in un campo a poca distanza da Haigerloch, grazie alle note presenti in della documentazione ripescata, successivamente alla fuga degli scienziati, nella latrina di supporto alla loro struttura sotterranea. Posti quindi sotto la supervisione di Samuel Goudsmit, consulente tecnico del gruppo Alsos, e Robert D. Nininger, supervisore dei materiali requisiti nell’area, vennero trasportati in un gran numero negli Stati Uniti, mentre una quantità ancor maggiore, semplicemente, sparì nel nulla.
Occorre considerare a tal proposito come un cubo d’uranio puro da 2,4 Kg, mai portato allo stato di criticità e dunque del tutto privo d’isotopi radioattivi pericolosi per la salute, possieda soltanto una lievissima dose di emissioni potenzialmente lesive prodotte dalla sua superficie, data l’elevata densità del materiale stesso di cui è costituito. Tanto che a quanto pare, almeno un cubo fu ritrovato dai bambini del villaggio senza conseguenze in un vicino torrente successivamente alla fine della guerra, che dopo averci giocato per qualche tempo senza problemi scoprirono come fosse solito emettere inquietanti scintille, ogni qual volta veniva gettato con forza contro il ruvido manto stradale. E sono di questo tipo, la maggior parte delle storie successive interconnesse a una simile faccenda, a metà tra il sentito dire e l’improbabile leggenda, con l’uno o l’altro cubo che ricompare all’improvviso dopo essere passato di mano in mano, spesso per il tramite di qualche trafficante disposto a venderlo dietro un lauto compenso, potenzialmente agli americani stessi. I quali tuttavia, già verso l’inizio 1945, avevano a disposizione una quantità di uranio più che sufficiente a portare a termine il progetto Manhattan, così che i cubi tedeschi finirono per essere acquistati a caro prezzo da scienziati senza nome, disposti a tutto pur di poter portare a termine i propri esperimenti dalla natura eccezionalmente misteriosa.
Per quanto concerne i cubi della cui posizione siamo a conoscenza, del resto, oltre a quello posseduto dallo stesso Koeth e usato come punto di partenza per la sua analisi storiografica, diversi si trovano all’interno dello Smithsonian, in un sotterraneo capace di ricordare quello mostrato nel finale del primo film di Indiana Jones, mentre almeno uno è all’interno del museo Atomkellar (la “cantina atomica”) che oggi occupa gli antichi locali sotto la chiesa di Haigerloch. Ma la maggior parte del carburante atomico usato dal team di Heisenberg, nonostante le lunghe e fervide ricerche, resta per lo più perduto agli occhi scrutatori della storia.

Nella maggior parte delle fotografie raffiguranti le gesta della missione Alsos, le caratteristiche maggiormente riconoscibili del paesaggio sono tagliate o censurate in qualche modo. Questo al fine di evitare, anche a distanza di tempo, il tentativo da parte di qualcuno di dissotterrare potenziali “tesori” atomici sfuggiti alle truppe alleate di allora.

Il che del resto, continua a costituire una perdita per lo più teorica, visto come l’intera quantità di uranio nascosta sotto lo sperone roccioso dello Hohenzollern non fosse comunque sufficiente, per le leggi universali della fisica, a sviluppare un qualsivoglia tipo di reazione nucleare autosufficiente. E questo nonostante i molti tentativi portati a termine dai tedeschi, i quali non potevano sapere, in effetti, quanto ci fossero andati vicini: è stato in effetti calcolato come sfruttando i princìpi messi in atto in questo luogo, un reattore atomico potesse venire sviluppato con una quantità di urano pari al 150% del totale dei circa 600 cubetti messi a bagno nell’acqua pesante, materiale che tra l’altro risultava essere, all’epoca del punto di svolta della seconda guerra mondiale, assolutamente in possesso della Germania. La quale, tuttavia, aveva commesso un grande errore: piuttosto che unire il suo intero pool di scienziati e materiali in un unico luogo, come fatto dagli americani, li aveva divisi in tre centri di ricerca differenti, indotti a una sorta di “proficua” competizione la quale in effetti, alla fin della fiera, si rivelò l’opposto. E se soltanto i vertici del potere nazista, esattamente come successe a più livelli della loro macchina bellica e tecnologica considerata un tempo imbattibile, avessero seguito le strade opposte della logica, chissà cosa sarebbe potuto succedere; perché sappiamo, fin troppo bene e da specifici scritti coévi, come lo sfruttamento dell’energia atomica per costruire una potente bomba non fosse assolutamente fuori dallo spettro del possibile. E sebbene Albert Einstein, Oppenheimer e gli altri fossero notevolmente più avanti verso la realizzazione di un simile, apocalittico esito finale, i capovolgimenti esistono nel campo della scienza così come altrove.
Successivamente catturato assieme ad altri nove fisici tedeschi, Heisenberg venne portato in Inghilterra all’interno di una residenza lontano da centri abitati, presso cui avrebbe appreso, il 6 agosto del 1945, delle bomba atomica su Hiroshima, tre giorni dopo seguìta da quella di Nagasaki. Senza sapere di essere segretamente dai suoi carcerieri, lo scienziato avrebbe raccontato ai colleghi di come, pur essendo in grado di progettare un’arma simile, si fosse sempre rifiutato di farlo, definendo quello che potremmo forse chiamare, tra i tanti altri, il suo più importante lascito a beneficio dell’umanità. La quale cionondimeno e pur senza il suo aiuto, era ormai giunta alle conseguenze di quel gigantesco errore. Ma se non altro, l’aveva fatto quando la guerra era ormai stanca e prossima a concludersi, con una coppia di catastrofiche, sanguinose ed assai probabilmente superflue detonazioni finali.

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