L’uccello asiatico che incarna i princìpi contrapposti dell’esistenza

In origine fu il verbo e la parola. Una parola, in particolare: Fuoco. Ardente di passione, come quella dei due esseri primordiali nonché unici di questo mondo, la Dea-serpente Nüwa e il primo essere umano, colui che sarebbe diventato celebre, abbastanza presto negli alterni sentieri della storia, come l’Imperatore Fuxi. Dei quali si narra che vivessero sulla cima dell’alta montagna di Kunlun (l’odierno Huashan) poco prima che le fiamme accese da ciascuno per scaldarsi si unissero in un’unica vampata impressionante, alla luce della quale i due decisero, d’un tratto, di sposarsi. Scelta questa certamente inaspettata, considerato come fossero in effetti fratello e sorella, entrambi figli del gigante Pangu… Ma del tutto imprescindibile, per dar la vita a tutte le creature viventi, derivanti dalla loro unione. Ora, l’effettivo aspetto di Fuxi fu a lungo oggetto di discussione nella tradizione mitologica cinese: busto d’uomo e coda di rettile, secondo alcuni, mentre nell’opinione d’altri egli sarebbe anatomicamente indistinguibile da noi, in quanto personaggio storico vissuto effettivamente all’incirca 4 millenni fa, responsabile tra le altre cose di aver inventato la caccia, la pesca, l’addomesticazione degli animali e l’arte della cucina. Sotto il sigillo simbolo del proprio regno, rappresentato sulle tavolette, in opere scultoree e pitture tombali, dalle ampie ali, il collo sinuoso e la riconoscibile pelata vermiglia sulla cima di una testa coperta di piume. Caratteristica dell’animale noto in tali luoghi come Dāndǐnghè (丹顶鹤) ma che noi siamo soliti chiamare Grus japonensis o gru coronata rossa.
Al punto che nell’iconografia tradizionale, Fuxi viene spesso raffigurato a cavallo di uno di questi uccelli, mentre è intento a far ritorno temporaneamente nelle regioni dell’Empireo ove incontrò in origine la sua divina signora. Al pari dei molti Immortali riconosciuti dalla filosofia Taoista, che ne avrebbero seguito successivamente l’esempio. Ben poche creature appartenenti al regno naturale possono, del resto, vantare la stessa rilevanza folkloristica e nell’intero mondo dell’arte di una delle più grandi e rare appartenenti a questa famiglia d’uccelli, eternamente raffigurata o descritta nelle creazioni d’ingegno dei tre i paesi dell’Estremo Oriente: Cina, Corea e Giappone. Ove in merito a questo essere, nei fatti uccello molto longevo capace di raggiungere facilmente i 70 anni di età, si era soliti affermare che potesse sopravvivere oltre un millennio, acquisendo gradi di saggezza totalmente ignoti ai comuni abitanti della Terra. Nella cosiddetta terra di mezzo (中文 = Cina) il motivo della gru coronata in particolare iniziò a ricorrere nei bronzi cerimoniali delle due prime dinastie Shang e Zhou, prima di trasformarsi nel letterale filo conduttore di un’intera tradizione che nacque come religiosa, per poi diventar quasi scientifica nella ricerca di un metodo per prolungare la propria vita. Quella secondo cui i due primi esseri, Nüwa e Fuxi, avrebbero costituito la letterale equivalenza del “dare/ricevere” ovvero “passivo/attivo”, “negativo/positivo” e così via a seguire, come rappresentato al centro del diagramma degli Otto Simboli (o trigrammi) dell’Imperatore, un cerchio con due forme che s’inseguono a vicenda. Una bianca e l’altra nera, esattamente come le piume contrapposte dell’uccello che tanto a lungo, avrebbe volato sui paraventi. Al punto che oggi, in molti, sarebbero fin troppo inclini a definire un tale essere come soltanto leggendario, anche considerata l’infrequenza pressoché totale con cui capita di osservarlo dal vero. Eppure, difficile negarlo: la gru coronata vive ancora…

Le gru coronate rosse dell’Hokkaido sono l’unica popolazione stanziale del pennuto, limitata a spostamenti di meno di un chilometro anche durante i mesi più freddi dell’inverno. Difficile ipotizzare quanto un simile approccio al ciclo delle stagioni dovesse, un tempo, risultare diffuso in questa specie.

Molti passi sono stati fatti, del resto, dal momento di maggior pericolo al termine della seconda guerra mondiale, quando i naturalisti iniziarono a credere che gli ultimi esemplari in vita di questo uccello fossero i 33 tenuti in cattività presso diverse istituzioni dislocate in Asia ed altrove. Almeno finché negli anni ’60, un gruppo di contadini nell’isola settentrionale giapponese di Hokkaido non scoprì un’intera comunità di questi nobili animali, intenti a riscaldarsi presso una sorgente termale a poca distanza dalla remota palude di Kushiro, dando inizio così alla tradizione di lasciargli copiose quantità di semi sparsi attorno ad un simile luogo, da cui trarre l’invernale nutrimento. Così che ben presto la notizia ebbe modo di diffondersi ed alcuni membri della specie in età riproduttiva, sarebbero stati utilizzati per arricchire il pool genetico delle varianti continentali dello stesso uccello. Basta fare un balzo in avanti di qualche decade per ritrovare uno scenario ben diverso: esattamente come avvenuto con il panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) la cui popolazione complessiva oggi raggiunge circa il migliaio di esemplari, parzialmente reintrodotti in natura e del capaci di badare a se stessi, persino nel caotico contesto naturale corrente. Il che comporta, nel caso della gru coronata nata e cresciuta fuori dall’oasi felice di Kushiro (non a caso detta anche “della Manciuria”) il non-semplice circuito migratorio che la porta in estate e presso i suoi luoghi riproduttivi sulle sponde del lago Khanka, al confine tra Russia e Cina, per poi tornare verso l’inizio dell’autunno verso le regioni costiere di Jiangsu, Anhui e Zhejiang. Dove ancora oggi i gruppi sociali di questi esseri composti anche da qualche decina d’individui di entrambi i sessi tendono a inscenare le particolari danze e canti collettivi della loro specie, generalmente, ma non sempre, primo capitolo del rituale d’accoppiamento. Uno spettacolo comune ad altre specie di gru ma particolarmente affascinante nel loro caso, vista la maniera in cui le piume scure sulle ali tendono a confondersi con la piccola coda bianca, mentre la zona glabra sulla testa cambia più volte colore in funzione dell’impegno dimostrato da ciascuna di loro.
Terminato un simile momento d’esecuzione corale, quindi, le coppie di gru coronate sono solite ritirarsi nei rispettivi territori di 1-7 chilometri quadrati, attentamente definiti e ferocemente difesi anche dalle loro simili, prima di costruire il nido situato a terra dove lei si troverà a deporre una o due uova. Dalle quali, contrariamente a quanto avviene per la maggior parte delle appartenenti tassonomiche alla stessa famiglia, nasceranno spesso due pulcini altrettanto sani e destinati a raggiungere l’età adulta. Soprattutto in forza dell’indole bellicosa ed aggressiva dei propri genitori, alti fino a 150 cm, pesanti circa 10 Kg e capaci di spaventare un’ampia gamma di predatori. Inclusi volpi, lupi e nittereuti (il famoso “cane procione” giapponese) da loro aggrediti con enfasi ai fianchi, mediante una serie di beccate particolarmente dolorose. Soltanto l’avvicinamento eccessivo di un essere umano, comprensibilmente, viene spesso visto dalle gru come impossibile da contrastare, portando padre e madre a sollevarsi in volo, per poi sorvegliare da lontano i propri piccoli, nella speranza che non debbano soffrire le peggiori conseguenze di un così drammatico e purtroppo inevitabile abbandono.
Una volta raggiunta l’età adulta e conseguente indipendenza, quindi, i piccoli inizieranno a cacciare per se stessi nella maniera tipica della loro specie, consistente nel posizionarsi con le zampe in zone dove l’acqua è alta tra i 20 e i 50 cm, tuffando ritmicamente il becco nel tentativo di afferrare pesci, granchi, libellule, lumache, rettili, gamberi e qualche volta, anche i pulcini di uccelli acquatici più piccoli. Benché la gru coronata sia in effetti onnivora, nutrendosi anche di particolari varietà di piante necessarie per un apporto nutritivo che possa dirsi effettivamente completo. Stile di vita, questo, che necessita di un habitat ormai particolarmente raro nell’intero continente asiatico, particolarmente nelle regioni fortemente urbanizzate della Cina costiera, la Corea e il Giappone.

La danza delle gru è un concetto che ricorre nelle arti performative, marziali e strategiche dell’intero Estremo Oriente. Grazie al susseguirsi di una serie di tanto precisi gesti, oggi codificati in uno studio dei naturalisti Masatomi & Kitagawa (1975) in otto diverse categorie: lo stesso numero, guarda caso, dei simboli previsti nel diagramma dell’Imperatore Fuxi.

Tanto che al giorno d’oggi, un territorio in particolare si è dimostrato l’ideale per sostenere adeguatamente intere comunità di questi uccelli: la zona demilitarizzata (DMZ) tra le due Coree, situata tra copiose quantità di filo spinato, mine antiuomo ed altri problematici residui di una vecchia, invero mai del tutto sopìta guerra. Questo proprio in forza della comprensibile poca frequentazione di tali luoghi ad opera degli umani, mentre simili uccelli, a quanto è stato determinato dagli etologi interessati al fenomeno, risulterebbero abbastanza leggeri da non causare l’ultima deflagrazione della propria stessa esistenza.
Così che, nello stesso perpetuarsi dell’ostile interrelazione tra culture un tempo unite, il simbolo stesso alla base di un’intera civiltà può nuovamente prosperare, dando seguito alle nuove generazioni di pulcini dal riconoscibile piumaggio marrone. Poiché non c’è nulla che possa realmente separare, in ultima analisi, ciò che la stessa logica imprescindibile dell’universo aveva un tempo scelto d’unire. E una gru coronata può apparire a scomparire all’improvviso, come scoperto dal contadino giapponese del mito tradizionale Tsuru no Ongaeshi (鶴の恩返し- Gru che restituisce un favore) trasformatasi in sua moglie dopo che egli l’aveva salvata dalla trappola di un cacciatore. Per poi tessere segretamente, dalle sue stesse piume, un prezioso broccato che avrebbe permesso alla coppia di vivere negli agi. Almeno finché lui, spinto dall’umana curiosità, non fece l’ingresso nella stanza proibita. Per scoprire, a suo discapito, la verità. Poiché allora ella avrebbe fatto ritorno alla divina montagna di Kunlun per vivere in eterno con l’unica entità che potesse affermare, a tutti gli effetti, di averla mai capìta.

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