Lo strano ponte che si srotola come una coda di scorpione

“Ebbene si, terrestre, la nostra consapevole eminenza ha familiarità con un concetto simile, che usiamo spesso sul pianeta [INTRADUCIBILE] per catturare i ladri, i traditori della quiete cittadina o chiunque altro vada contro il volere pubblico dell’Alveare. Simili implementi, disposti ai margini dei fiumi di mercurio che attraversano la nostra capitale, [INCOMPRENSIBILE] assumono l’aspetto del tutto convenzionale di un semplice collegamento tra una sponda e l’altra. Nel momento in l’entità non meritevole dovesse tentare di attraversarli, tuttavia, essi si ripiegano rapidamente su se stessi: pratico, veloce, funzionale! In un attimo, la striscia transitabile si piega e trasforma, formando un qualcosa di ragionevolmente analogo al vostro concetto di [GABBIA, GATTABUIA]. Ovviamente, a questo punto chi stava tentando di attraversare si ritrova in trappola come l’insetto Bzz’rogun’itrazput bloccato in un barattolo di melassa, mentre il ponte in questione diventa necessariamente inutilizzabile per gli almeno 200 anni della sua pena. Ed è per questo che nel corso dell’ultimo Grande Ciclo, abbiamo iniziato a costruire almeno parte delle nostre strutture sfruttando gli spazi della quinta dimensione.” Silenzio.
Alla luce tenue della fiamma del suo camino, l’architetto londinese Thomas Heaterwick congiunse pensierosamente le sue mani in prossimità del mento, ponderando le parole dell’essere di pura energia che si era materializzato a tarda notte nello spazio dietro il suo frigorifero, per fare uno spettacolare ingresso nel salone principale dove lui si trovava, bicchiere di super-alcolico alla mano, intento a leggere un buon libro sulla storia evolutiva delle rane: “Devo…Immagino… Mio caro alieno, ti dispiace se vi rubo l’idea? Credo di avere in mente il luogo perfetto per qualcosa di simile, giusto a qualche chilometro da qui…” Tipico comportamento dei migliori creativi: razionalizzare le proprie idee, non come straordinarie innovazioni frutto della propria superiorità mentale, bensì la conseguenza o ricombinazione di elementi già noti, in qualche modo rivisitati alla presenza di un dato nuovo. O come narrato nel qui presente aneddoto per lo più immaginifico, osservato attraverso il vetro di una lente d’ingrandimento sottilmente “obliqua” o “diversa”. Qualcosa che a suo modo, il rinomato designer tra le altre cose di strutture aghiformi come la scultura B of the Bang a Manchester (2002) o il padiglione britannico dell’expo di Shangai del 2010, per non parlare degli attuali e pur sempre iconici nuovi autobus a due piani di Londra serie Routemaster (2010) o l’inusitato edificio/opera d’arte The Vessel (2016) nell’ex-area industriale newyorkese Hudson Yards, specie di calderone alto 15 piani composto da un intreccio di scale che non portano da nessuna parte, sembra aver avuto modo, o ragione di fare in più di un caso. Fino alla costituzione del suo attuale studio-cum-atelier da oltre 180 figure professionali, senza contare i collaboratori esterni coinvolti di volta in volta nei progetti maggiormente alternativi, per cui tutto sembra possibile, purché rientri nella vasta cognizione umana che sconfina oltre i biechi margini della banalità. Niente di strano perciò, nella proposta che il grande architetto fece nel 2004 alla partnership per lo più privata della Paddington Waterside, con ampi finanziamenti da parte dei fratelli investitori ed uomini d’affari Reuben, da qualche anno già allora impegnati nel mandato di rinnovare e riqualificare l’area circostante l’omonima stazione ferroviaria situata nel centro esatto della city, a pochi isolati di distanza da Hyde Park; un luogo chiamato originariamente Little Venice perché attraversato, come lascia intendere quel nome, dalla serie di canali artificiali che un tempo costituivano il punto d’arrivo ultimo della via di collegamento idrica con Birmingham, per tutte le chiatte commerciali o tipiche longboats inglesi. E dove scorre l’acqua, si sa, niente ispira un senso di rinnovamento urbano quanto la collocazione di nuovi ponti. Nessuno ha mai detto, tuttavia, che debba trattarsi di strutture NORMALI…

Ponti verso una regione precedentemente inesplorata dell’insostanziale leggerezza cogitativa, il non-essere che unisce la realtà col più sfrenato e misterioso regno dell’immaginazione. Un luogo che i numerosi creativi del fantastico britannico, attraverso la lunga e articolata storia letteraria di questi luoghi, hanno già visitato in diversi casi.

Il Rolling Bridge di 12 metri (ponte rotolante) di Paddington, che molti affermano piuttosto ragionevolmente, dovrebbe in effetti chiamarsi Curling Bridge (ponte che SI arrotola) non è che la chiara dimostrazione di quello che possono fare una serie di cilindri idraulici disposti verticalmente, all’interno di una struttura metallica in otto segmenti creata dalla fonderia Littlehampton Welding Ltd e concepita per formare un elemento esagonale chiuso ogni qualvolta si richieda di dare la precedenza a un qualche tipo d’imbarcazione. Il che avviene in questo luogo ogni mercoledì e venerdì a mezzogiorno, quando il potente macchinario realizzato con la partecipazione ingegneristica degli studi Packman Lucas ed SKM Anthony Hunts e poi nascosto nella cantina di un palazzo vicino al fine di renderne del tutto inaudibile il funzionamento, inizia la propria reiterata opera meccanica tra lo stupore e la meraviglia dei turisti (e non solo). Benché sia necessario ammetterlo, permanga un che di sovrannaturale e sottilmente inquietante, nella maniera in cui l’oggetto misterioso si ripiega su se stesso al rallentatore come fosse l’arto retroattivo di un aracnide chitinoso, attento a conservare le sue forze fino al momento in cui potrà colpire col veleno la sua prossima preda.
Ed è perciò di certo una fortuna, il fatto che nel 2014 un diverso tratto del sistema di canali a Paddington abbia ricevuto un altro punto di attraversamento presso lo spiazzo indicato sugli stradari come Merchant Square (Piazza del Mercato) il cui aspetto altrettanto appariscente risulta essere, di contro, certamente privo di possibili orrorifiche interpretazioni. Il suo nome, per così dire, pubblico: Fan Bridge ovvero ponte a ventaglio, per le insolite modalità del proprio meccanismo di sollevamento. Frutto, questa volta, dello studio architettonico specializzato in ponti Knight Architects e in particolare il loro associato Bartlomiej Halaczek, probabilmente visitato da un altro tipo di creatura interdimensionale in un qualche momento d’introspezione pregressa. Piuttosto difficile sarebbe, altrimenti, concepire il suo particolare sistema di contrappesi posti all’estremità delle cinque “dita” da 20 metri del ponte, ciascuna del peso unitario di 6,6 tonnellate, separate in senso longitudinale per alzarsi in posizione obliqua, ciascuna più alta delle altre di una certa quantità di gradi al fine di ricordare in qualche modo il tipico funzionamento di un ventaglio pieghevole d’Oriente. Soluzione altamente scenografica e di nuovo idraulica, quest’ultima, con la giustificazione principale di sorprendere gli spettatori e un costo funzionale decisamente inferiore all’apparenza proprio perché dopo tutto, il peso complessivo della struttura da far muovere resta invariato. Mentre l’unica domanda che resta da porsi, è se fosse effettivamente opportuno fissarne i sollevamenti settimanali, ad opera del personale del Paddington Basin, proprio negli stessi giorni ed ore del Rolling/Curling bridge. Impedendo, sostanzialmente, di assistere contestualmente ad entrambi i tecnologici show.

Fare il passo più lungo della gamba: un qualcosa che le amministrazioni cittadine tendono anche troppo spesso a fare, guidate da intenzioni o interessi non sempre allineate col volere dei propri cittadini. Persino quando le figure coinvolte risultano essere, dal canto loro, straordinariamente abili e capaci.

Ha d’altra parte già trovato ampie ragioni di conferma, la particolare e sorprendente relazione che gli enti amministrativi londinesi sembrano aver intrecciato nell’ultima decade con il concetto di opere pubbliche fuori dal comune, soprattutto se posizionate in prossimità o sopra i loro corsi d’acqua, siano essi artificiali o del tipo creato dalla natura. Come nel caso dell’altro importante progetto ultra-fluviale che avrebbe dovuto coinvolgere proprio lo studio del sempre affidabile Heaterwick, per la creazione di un fantastico Garden Bridge da 366 metri (ponte giardino) sopra il Tamigi, situato tra i due attraversamenti di vecchia data del Waterloo e del Blackfriars. Idea nata nel 2016 e con il veemente supporto dell’allora sindaco Boris Johnson e che purtroppo avrebbe naufragato l’anno successivo, ad un nuovo studio di fattibilità sui costi realizzativi potenzialmente superiori ai 200 milioni di sterline, giudicati semplicemente troppo alti per una struttura giudicata per lo più turistica e adibita soltanto all’attraversamento pedonale (nonostante a quel punto, ingenti somme fossero già state spese per prenotare la collaborazione delle aziende costruttrici).
Il che in ultima analisi lascia comprendere come abbattere le convezioni sia sempre attraente in linea teorica, benché si debbano pur sempre considerare i propri limiti e piani operativi di funzionamento. Altrimenti, dove sarebbero i meriti immanenti della figura dell’eroe? Colui che irrompendo attraverso il velo della semplice coscienza, riporta indietro strane o ineccepibili visioni di un altro luogo. Talvolta piccole, piuttosto che enormi, e proprio per questo realizzabili senza significative problematiche impreviste. Il che in ultima analisi, è la misura certamente valida di un merito importante: la ragionevolezza. Forse l’unico aspetto, tra tutti quelli pregressi, che non potremo mai decidere d’accantonare…

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