La straordinaria sinergia riproduttiva dell’orchidea con secchio incorporato

Amore, anelito, il profondo desiderio. Amore, il lampo che riecheggia in un distante temporale. Amore, il rombo dell’acqua che scorre, mentre il fiume straripa e pervade la radura. Amore, il suono. Amore, il tuono. Amore, il complicato marchingegno evolutivo di quest’orchidea, che una volta messa in trappola l’alata innamorata, ne fa un ingranaggio del sistema. Dapprima trattenendola, quindi attaccandogli un Qualcosa sulla schiena: “SCEMO chi legge!” Dove SCEMO vuole dire, stranamente, UTILE, per quanto inconsapevole del proprio ruolo. Soprattutto quando quel qualcuno è un tipico rappresentante della tribù degli Euglossini, particolari api solitarie dal color metallizato che abitano il Centro e Sud America, prive della complessa struttura sociale delle loro cugine a noi più familiari. Ma dotate di un’invidiabile propensione all’impiego di risorse biologiche di provenienza floreale, con lo scopo di rincorrere ed affascinare le potenziali partner per l’accoppiamento. Il primo a notarlo, probabilmente, già lo conoscete: niente meno che Charles Darwin, il quale tuttavia, anche in forza dei limitati strumenti di registrazione e ingrandimento disponibili verso la seconda metà del XIX secolo, sembrò temporaneamente mancare il punto, causa aver pensato, per errore, che le “operaie” color gazzilloro fossero di sesso femminile, il che non spiegava la ragione dei loro strani comportamenti. Finché grazie all’uso della logica, il grande studioso della natura non acquisì la chiave di volta e il nesso fondamentale di una simile questione: che i ronzanti spasimanti inclini a posarsi sul labellum (grande petalo frontale modificato) di alcune particolari specie d’orchidea, erano soliti farlo soprattutto per catturarne coi peli sulle proprie zampe la potente essenza profumata. In un olio prodotto dalla pianta con la doppia finalità di offrirgli soddisfazione, nonché trarre, in un saliente modo, l’ultimo e più positivo dei vantaggi a propria disposizione: un utile passaggio per il polline, in cerca della pianta femmina da inseminare. Ora, le orchidee studiate da Darwin rientravano in larga parte nel genus epifita (“che cresce sul tronco di altre piante”) delle Mormodes, benché esista all’interno della stessa tribù delle Cymbidieae, un’altro insieme di particolari specie, la cui metodologia a tal scopo risulta connotata da un sistema così complesso, da sembrare frutto della fervida fantasia di un autore di fantascienza…

Le api della tribù Euglossini sono suddivise in circa 200 specie di cui una soltanto risulta essere diffusa a settentrione del confine messicano. Sono tra le poche categorie d’insetti dotati di corbicula (struttura pilifera per il trasporto del polline) a non fare parte di complesse strutture eusociali.

Basta poco per notare, in effetti, la straordinaria varietà di forme, colori e sfumature di quel complesso recesso dell’albero della vita ove attacca le radici il vasto consorzio delle orchidee. Fiori dall’aspetto notevole ed alieno, in cui molto giustamente, ciascuna arcana geometria è stata perfezionata, attraverso i secoli e i millenni, per assolvere a una specifica funzione. Affermazione tanto maggiormente vera, questa, quando si parla delle Coryanthes o orchidee a secchio del Nuovo Mondo, esseri creati per trarre beneficio da un particolare, antico stratagemma. Le cui modalità abbiamo, sin qui, soltanto accennato; ragion per cui, chi meglio può spiegarcelo, che l’ape stessa? “Buzz, grazie mille per la parola. È una faccenda molto semplice. L’ho visto capitare moltissime volte: noi entità mobili/volanti ci avviciniamo al bordo superiore del calice che il fiore ospita al di sotto del labellum, ben sapendo come proprio all’interno di esso sia custodito il fluido di cui abbiamo bisogno per attrarre la nostra signora. Quindi dopo qualche minuto per rompere il ghiaccio, volenti o nolenti, finiamo per scivolare al suo interno. Dove a causa di una serie di peli rivolti verso il basso e la forma bulbosa delle pareti, ci riesce impossibile uscire passando per la stessa strada. Orribile, nevvero? Non proprio, una volta che ci riesce d’individuare il BUCO…”
Già, il buco: una sorta di tunnel, a voler essere più descrittivi, integrato nella forma stessa del calice ripieno di olio profumato sotto i petali, grande esattamente il giusto per lasciar passare la “fortunata” ape. O per meglio dire, grande leggermente meno dell’ideale, costringendo quest’ultima a penare faticosamente mentre tenta di spingersi oltre un millimetro alla volta, per un tempo misurabile tra i 30 e i 45 minuti. Tempo sufficiente perché possa compiersi, neanche a dirlo, il gioco segreto della pianta: poiché più l’ape spinge per passare nuovamente verso la rampa di lancio del labellum, maggiormente i suoi sforzi causano una sollecitazione di un’altra struttura speciale nella parte superiore del fiore, detta colonna, con all’estremità lo stigma con il suo carico di polline, vitale ausilio alla riproduzione. Ecco dunque quello che dovrà succedere, nei salienti momenti a seguire: nel perfetto collimare di ciascun fattore in gioco, tale anatomia vegetale si poserà delicatamente sulla schiena dell’insetto intrappolato. Quindi una speciale colla presente nel vero e proprio “sacchetto” di polline inizierà subito a far il suo lavoro. E volete provare a indovinare quanto, grosso modo, possa mettersi per asciugarsi del tutto? Esattamente: 30-45 minuti. Un metodo sicuro per assicurarsi che l’ospite imenottera, volandosene in giro, non possa perdere il prezioso carico prima di giungere a disposizione. Proprio perché l’unico solvente realmente efficace per staccare tale orpello, nei fatti, risulta essere lo stesso olio profumato che l’ape continuerà a cercare, si spera questa volta presso un’esemplare femmina dello stesso fiore rampicante. Che soluzione pratica per un problema complicato! Quale convenienza nell’impiego di risorse inerentemente limitate…

Se soltanto Charles Darwin avesse avuto a disposizione fotocamere moderne, e lo strumento informatico per inscenare utili ricostruzioni sopra cui meditare… Chissà quanto prima, ci saremmo avvicinati ai misteri biologici dell’Universo?

Nascere con un destino già perfettamente definito, impossibile da modificare pena la rinuncia nei confronti del proprio stesso essere, per un fatidico giorno e tutti quelli successivi: ecco una scelta che nessuno, tra gli appartenenti al vasto consorzio umano, può sinceramente dire di essere stato portato a fare. Salvo una riduzione in termini dei presupposti, all’interno delle artificiali sovrastrutture faticosamente edificate sopra le fondamenta stessa della Natura.
Ma l’ape esiste, dal punto di vista della pianta, unicamente allo scopo d’impollinare. E il fiore esiste, secondo l’ape, soltanto per fornirgli il fluido necessario a proiettare i propri geni verso il domani. Mentre noi, possessori di un complesso ego e l’ampia collezione di aspirazioni integrate in esso, dovremmo forse farci definire dall’idea che ALTRI conservano su di noi? Beh, dipende. Da quanto sia forte il potere di un simile profumo…

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