Cavalletta verde o cavalletta rosa? Come sceglie la natura, non si sa

“È stata Katy, non è stata Katy. È stata Katy, vero?” Implacabile questione, infinitamente riproposta dalla voce che discute in mezzo al mare d’erba campagnolo. Katy-did (katydidn’t, katydid, shedidn’t?) Questo il nome ed il cognome, non per niente, della piccola creatura che di salto in salto, pone la sua forma simile a una foglia sopra un filo, un ramo, oppure un qualche tipo di macigno. E inizia soavemente a STRIDULARE. Il che sottintende in primo luogo, la presenza di due organi particolari: il plettro e il pettine, integrati rispettivamente in corrispondenza delle ali anteriori e sulla parte superiore delle zampe. Come violinisti innamorati, affidandosi con piglio all’unica difesa che possiedono: la colorazione verde-mela, più che sufficiente per passare inosservati in molte situazioni. Ma la legge della variazione di natura, stessa che permette a nuove varietà genetiche di emergere dal maelström delle potenziali forme biologicamente concepibili, può talvolta ricadere nella tentazione di giocare brutti scherzi; come potrebbero narrare, tra un richiamo e l’altro nei confronti della loro amata, quei Katydidi (o Tettigonidi che dir si voglia) diffusi in tutti i continenti, la cui livrea oscilla dal giallo al fuchsia, all’arancione ad un appariscente rosa antico. Li avevate mai visti? Beh, questo lo immaginavo! Non per niente, stiamo parlando di creature la cui rarità si aggira sul singolo esemplare ogni 500, ovvero abbastanza pochi da comparire raramente sotto gli occhi dei non specialisti, ma non talmente infrequenti da permettere ai naturalisti di trattarli come insolita e insignificante anomalia.
Giungendo a costituire, piuttosto, una questione oggetto di contrastanti ipotesi, fin da quando furono descritti scientificamente per la prima volta, nel 1874. Permettendo quindi all’entomologo di Harvard, Hubbard Scudder di elaborare una prima ipotesi piuttosto interessante: è possibile che alcuni dei più scaltri, o fortunati, tra i grillini fogliformi della situazione, avesse appreso come mutare livrea in autunno, per meglio mimetizzarsi tra le foglie secche ormai rimaste prive della verde clorofilla? Bello, rispose il suo collega e mirmecologo William Morton Wheeler nel 1907, peccato che il mio team abbia trovato svariati esemplari rosa nelle campagne del Wisconsin ed Illinois nel bel mezzo del mese di luglio. Il primo tentativo di fare chiarezza, quindi, prese forma nel 1916, quando allo studioso degli insetti di Chicago Joseph Hancock venne finalmente in mente di prendere due esemplari dall’anomala colorazione e sessi contrastanti, quindi metterli dentro una gabbia ed attendere con entusiasmo la deposizione delle uova. Al che venne confermato quello che già in molti avevano provato a sospettare: che il non-esser-verdi era in questa famiglia, una questione ereditaria. Particolarmente dovuta, almeno in apparenza, a un gene recessivo simile all’albinismo. Spiegazione ritenuta valida per oltre quasi un secolo, almeno finché nel 2008, una particolare nuova ricerca giunse dimostrò qualcosa che NESSUNO, neanche la leggendaria Katy in persona, avrebbe mai avuto modo né ragione di sospettare…

Nota: la rara cavalletta rosa mostrata in apertura è stata ripresa da Sultan Serangga, fotografo d’insetti di Denpasar, Indonesia. L’esatta specie risulta essere, per prevedibili ragioni, assai difficile da interpretare.

Il normale katydide, o tettigonide che dir si voglia, può presentare molti elementi mirati a ricordare la forma e l’aspetto di una foglia, come le precise venature presenti sulle ali di questo Amblycorypha oblongifolia americano.

Il nome della condizione presa in considerazione risulta essere, per la cronaca, eritrismo (o rutilismo). Esattamente la stessa, tutt’altro che rara, che porta alla nascita di umani dalla colorazione dei capelli rossa, in realtà deriva atipica dei melanosomi di una cute normalmente tendente al biondo, influenzati da un’anomala produzione di pigmenti fuori dallo schema della noiosa, paglierina normalità. Situazione analoga a quanto si verifica, assai più raramente, in specie animali come piccoli mammiferi, lepri, cani, mustelidi o così via a seguire, con il folto manto che diventa indistinguibile, in materia di tonalità, a quello tipico di una volpe in caccia nei boschi tipici di un’Europa d’altri tempi. Trattasi nello specifico, per usare terminologia dal taglio mendeliano, di un gene recessivo che viene trasmesso solamente nel raro caso in cui entrambi i genitori lo possiedano, mentre la presenza nel patrimonio di uno soltanto genererà un piccolo del tutto privo d’anomalie. Il che spiega chiaramente, fu pronto ad esclamare l’intero mondo accademico, la rarità di queste cavallette! Siamo chiaramente di fronte a un qualche tipo di disfunzione dei caratteri del nascituro, o per meglio dire un binario controproducente dell’evoluzione, data l’importanza del mimetismo per la sopravvivenza continuativa di questa specie. Almeno finché esattamente undici anni fa, presso l’Insectarium e Casa delle Farfalle dell’Audubon Nature Institute di New Orleans, all’entomologo Jayme Necaise coadiuvato da un’entusiasta cooperativa di colleghi non venne in mente di rimettere mano all’ormai antico esperimento, sfruttando questa volta una schiera ben più nutrita di katydidi dalla colorazione fuori norma. Letterali dozzine di ensiferi, questo il nome del loro sott’ordine, abbastanza variabili nella loro colorazione da costituire quella che lui avrebbe definito “la sua gabbia arcobaleno” affiancata da svariate altre in cui rinchiudere esemplari in età d’accoppiamento dell’una oppur l’altra tonalità. Primo passo di una serie d’esperimenti destinati a durare qualche settimana (tanto il tempo necessario dal concepimento alla schiusa delle 30-35 uova per esemplare) seguita dalla precisa annotazione cromatica dei nascituri. Ed ecco quindi l’attimo della scoperta precedentemente accennata: che non soltanto una femmina rosa accoppiata con un maschio rosso possa produrre, in un rateo di 3 ad 1, alcuni esemplari perfettamente rosa (contrariamente a quanto dovrebbe succedere per la teoria del gene recessivo) ma che anche nel caso in cui entrambi i soggetti dell’esperimento siano perfettamente verdi, avendo avuto un solo genitore di colore rosa, la terza generazione potrà comunque nascere occasionalmente di quello stesso, anomalo colore. Impugnando a questo punto il prototipico rasoio di Occam, strumento scientifico per cui una volta eliminato l’impossibile, resta l’unica, improbabile spiegazione, quale conclusione possiamo trarre da tutto questo? Siate forti, sedetevi se necessario: che il gene recessivo in realtà è quello che dona alle cavallette il colore VERDE e che quest’ultime naturalmente, senza interferenze esterne di nessun tipo, dovrebbero essere TUTTE ROSA, dalla prima all’ultima. In altri termini “il gemello cattivo” inteso come anomalo rispetto alle premesse di partenza, è proprio quello che è riuscito a guadagnarsi un posto nel mondo, fuori dalla metaforica cantina delle possibili alternative di partenza. Incredibile, nevvero?

L’unica situazione in cui la cavalletta rosa potrebbe presentare un qualche tipo di vantaggio: quando si posa sopra un fiore, o bocciolo, dello stesso identico colore. Il che, data la natura migratoria di queste creature, non può che avvenire in casi piuttosto rari.

Che cosa può mai aver garantito nel progredire delle epoche, dunque, la preponderante superiorità delle cavallette di colore verde… A ben pensarci, esiste una sola possibile spiegazione: che tutte quelle incapaci di mimetizzarsi, finendo ben più facilmente nella pancia dei predatori, riescano soltanto raramente ad arrivare all’età dell’accoppiamento. E questo indipendentemente dal colore, più o meno recessivo, del proprio partner d’occasione. Per tornare dunque alla nostra monumentale rivelazione, tutte le cavallette sarebbero rosa, se soltanto, tutte le cavallette rosa non venissero sistematicamente fagocitate!
È una straordinaria finestra rivelatrice, questa, sulla maniera esatta in cui funziona la selezione naturale. Che non prevede affatto, come nella vicenda della “nuova razza umana” emergente nei fumetti degli X-Men, un mero rapporto conflittuale tra i fattori esterni e la genetica alla base di utili mutazioni, semplicemente perché sono proprio quest’ultime, nel caso delle cavallette, a risultare vincenti fin dal primo momento in cui emergono nelle floride circostanze di un possibile mondo, presente o futuro. Particolarmente nel caso della cavalletta rosa, che proprio essendo “forma naturale” a differenza di quelle arancioni o gialle, presenta tale livrea fin dal momento stesso in cui viene al mondo.
Un po’ come l’insegna di un negozio di caramelle, che invita i passanti a banchettare di quella gustosa forma, ben prima che la beneamata Katy possa giungere a salvarle, portando il dono dell’altrui genetica continuità.

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