L’alba dei robot giganti sul maggiore porto della Nuova Zelanda

Rigido è il sentiero della citazione letteraria, poiché scritto per definizione, con piuma d’oca, pennino aguzzo o rapida pressione dei caratteri sulla tastiera deputata. A un punto tale che, volendo richiamare la figura del leggendario investigatore Sherlock Holmes, tutto ciò che occorre è pronunciare quella frase simbolo piuttosto supponente: “Elementare, mio caro Dr. Watson” laddove avessimo il pallino dei sinonimi, altrettanto chiaro ed utile sarebbe dire “Logico” e ancor meglio, perché no: “Logistico, my friend.” Poiché niente rappresenta meglio quell’originale ed encomiabile visione, di un mondo schiavizzato ed instradato dalle norme della deduzione logica, che il campo delle soluzioni pratiche per massima eccellenza, ciò che corrisponde, in linea di principio, ai nostri volti sorridenti alla consegna esatta di una merce, un pacco, l’ultimo regalo degli accordi presi ore, giorni, settimane o mesi a questa parte. Lo stesso Gran Maestro della Deduzione londinese, detto questo, avrebbe qualche ragionevole difficoltà nell’approcciarsi a un simile mistero: un carrello a cavaliere alto circa 10-13 metri, dal peso approssimativo di 70.000 Kg a vuoto, avanza indisturbato lungo l’area riservata per gli spostamenti, in mezzo alla foresta di metallo dei container temporaneamente fermi per lo smistamento. Nessuno dei presenti, tutti lavoranti in uniforme del grande porto della città di Auckland, sembra in alcun modo preoccupato; il che rappresenta, di per se stesso, un qualche cosa di preoccupante. Poiché sarebbe assai difficile negare, al primo, secondo e terzo sguardo, che il dispositivo sia del tutto privo di cabina. E di un pilota. O di un qualsivoglia tipo di essere pensante a bordo, sostituiti da una strana sfera rotatoria posta sulla cima dell’impianto di sollevamento, vagamente simile all’insegna di un barbiere. Con precisione millimetrica l’oggetto (la creatura? Il dinosauro?) si avvicina quindi ad un container, quell’oggetto dal contenuto spesso misterioso abbastanza grosso da essere impiegato, al giorno d’oggi, per ricavarne dei completi mini-appartamenti. Con estrema facilità d’intento, quindi lo solleva a molti metri d’altitudine, ricordando la scena del ragno meccanico nell’eclettico cult movie Wild Wild West. L’investigatore che l’osserva tira una boccata dall’iconica pipa, quindi si rivolge all’accompagnatore. “Assolutamente orribile, mio buon dottore. Dietro a tutto questo, dev’esserci lo zampino del Prof. Moriarty.”
Ucronie vittoriane a parte, tuttavia, non si può fare a meno di restare con la bocca lievemente aperta dinnanzi alla notevole efficienza funzionale di quanto siamo chiamati a testimoniare oggi, tramite l’ennesimo video del divulgatore internettiano, nonché connazionale dell’indimenticato Sir. Arthur Conan Doyle, Tom Scott. La cui riconoscibile maglietta rossa figura questa volta sotto l’indumento di un gilet giallo di sicurezza e casco fluorescente, indossato come impongono le norme del più grande svincolo portuale del secondo più importante paese del consorzio d’Oceania. Particolarmente per quanto concerne la sua città più popolosa, situata nel rarissimo punto d’incontro strategico tra due bacini marittimi distinti: quello del Pacifico e la baia che conduce dritti al mare di Tasmania. Incuneato in modo alquanto problematico, tra l’altro, in uno spazio che non può permettere alcun tipo di ampliamento, a meno d’investire somme assai copiose nella costruzione di (ulteriori) isole artificiali. Ecco dunque la geniale idea dell’autorità POAL (Ports of Auckland) introdotta in due fasi a partire da gennaio di questo fondamentale 2019: poter contare su un diverso tipo di lavoratore dipendente, che non prende mai ferie, non si ammala, non sciopera e riesce ad operare con una precisione vertiginosamente prossima al 100%. Qualcosa di notevole a tal punto, e così tanto interessante, da giustificare la chiamata diretta di svariate personalità dei mass media, incluso quello disallineato del vasto e spesso incontrollabile Web…

Le nuove gru della POAL si spostano con assoluta precisione, senza mai commettere alcun tipo di errore. Detto questo, è innegabile un certo senso d’inquietudine quando si vede avanzare nella propria direzione qualcosa di tanto imponente e guidato unicamente grazie alla sapienza deduttiva dell’I.A.

Aperte le dighe dell’inevitabile ironia, le battute sul dominio degli automi e perché no, qualche sfrenata immersione nel regno irriverente delle cosiddette memes, dal termine puramente accademico inventato da Richard Dawkins per riferirsi all’unità minima capace di propagarsi tra una pluralità distinta d’individui ciascuno dotato del suo cervello. Ma assieme a tutto questo, la rara occasione di conoscere coi nostri occhi la notevole efficienza di un simile sistema, chiaro segno di quanto le generazioni tecnologiche siano riuscite a progredire, fino a un punto di drammatica e apparentemente inarrestabile accelerazione.
Grazie a un sistema come quello implementato dalla POAL che, nei fatti, trae il suo principale giovamento dall’approccio della società australiana Locata Corp, unica detentrice degli oltre 120 brevetti necessari a un nuovo approccio per la localizzazione istantanea nello spazio, in grado di andare ben oltre le prestazioni dell’universalmente noto sistema di posizionamento globale, comunemente noto con l’acronimo GPS. Denominato per l’appunto, con un notevole volo pindarico d’immaginazione (si far per dire) LocataTech e fondato su una serie di stazioni di rilevamento fisse dislocate su un’area variabilmente ampia, i cui segnali radio emessi al trascorrere di ciascuna frazione infinitesimale di secondo possono permettere a un’intelligenza artificiale di agire con la massima precisione nel mondo fisico e tangibile delle cose. Per una tale correttezza dei movimenti, concessa alle gigantesche gru a ponte portuali o straddle carriers che dir si voglia, tale da risultare del tutto irraggiungibile da qualsivoglia lavorante umano, non importa quanto dotato dell’esperienza che deriva da una lunga carriera. Ed alcuni vantaggi in più notevoli, quale il superamento della necessità di manovrare sulla base di precise linee tracciate sull’asfalto del porto per non ritrovarsi a rischiare l’impatto coi propri colleghi, evitando in questo modo l’usura eccessiva dello stesso con conseguente necessità d’interventi di manutenzione più costosi e frequenti. Aggiungete a questo il fatto che le nuove gru fornite già dotate degli automatismi, prodotte dalla società finlandese Konecrane, sono del tipo più imponente in grado di accatastare i container fino al terzo livello risparmiando ulteriore spazio, e capirete facilmente perché un simile approccio sia riuscito almeno temporaneamente a far allontanare dalle mire di un determinato ambiente politico il progetto, più volte paventato, di spostare fuori città il porto.
Detto ciò, risulta del tutto inevitabile dirigere la propria attenzione alla più importante, nonché notevole delle questioni collaterali: che ne sarà delle molte dozzine di posti di lavoro, al momento occupati da operai specializzati che hanno dedicato lunghi anni della propria vita al perfezionamento della guida di questi mostri meccanici? Persone con aspirazioni, una famiglia e professionalità decisamente rara da trovare in questi tempi impersonali e robotici, indipendentemente da quale sia il proprio paese di provenienza. Ebbene la risposta, almeno per il momento, è che il loro stipendio può dirsi al sicuro, in quanto nonostante la loro notevole precisione, i mezzi automatizzati non possono ancora eguagliare la rapidità di un lavorante umano, sopratutto nella prima fase di scarico direttamente dalle navi portacontainer, la cui tendenza ad oscillare sulle onde del porto non può in alcun modo essere compensata dalla costellazione di sensori della LocataTech. Ragion per cui, allo stato dei fatti attuali, l’evidenza prevede una collaborazione uomo-macchina destinata a durare a tempo indeterminato, benché determinate fonti abbiano già parlato di una successiva riduzione in grado di coinvolgere almeno 50 impiegati del porto. Un sacrificio da compiere, verso la progressiva riduzione dei sempre più inaccettabili problemi logistici della nostra Era?

Un padre porta la propria bambina a conoscere il deposito dei container, direttamente dalla cabina del proprio mastodonte meccanizzato. Una scena piuttosto rara ed infusa di uno spontaneo fanciullesco entusiasmo, che assai probabilmente, dovremmo prepararci a non vedere mai più.

Come in ogni aspetto del vivere contemporaneo, lati positivi ed altri meno, luci ed ombre di un progetto che nasce sempre e soltanto da quella singola pulsione dei nostri tempi: massimizzare i profitti, massimizzando il valore universalmente encomiabile dell’efficienza. Resta dopo tutto innegabile, in un mondo ideale, che l’integrazione nei ranghi di un processo lavorativo di quelle che sono e restano delle semplici macchine possa permettere di delegare nei loro confronti le mansioni più ripetitive e noiose, lasciando alle fervide menti umane lo spazio indefinito dei compiti d’interesse superiore. Un po’ come la classica dicotomia tra bassa ed alta manovalanza, il che non può prescindere, nel contempo, dalla dura legge dei grandi numeri.
Non può certo esistere un esercito composto di soli generali. E in un futuro assai prossimo potrebbe scomparire in maniera altrettanto completa, qualsiasi cosa che possa venire ricondotto direttamente al concetto di organizzazione autosufficiente umana. Sostituita molto probabilmente, da quella schiera di tecnici, ingegneri, programmatori necessari e far procedere l’intero carrozzone robotico degli eventi. A cui dovremmo essere più che mai grati! Perché alla fine, chi può dire per quanto tempo ancora potrà servire a qualcosa il più debole, impreciso e intuitivo… Di tutti gli esseri capaci di costruire un ponte logistico tra causa ed effetto?

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