Ostriche falliche con trivella, le misteriose termiti dei tronchi abissali

Nel silenzio che precorre l’arrivo di una tempesta alle prime luci dell’alba, un brontolio improvviso rimbomba nella foresta. Quindi un fulmine verticale, affilato come una freccia, colpisce dall’alto la cima di un vecchio faggio sulla riva di un torrente senza nome. Che immediatamente, prende fuoco. Le fronde annerite, i rami consumati, il tronco improvvisamente si spezza in due. Dapprima in maniera lenta e flemmatica, quindi con tutta la rapidità concessa dall’inerzia gravitazionale, svariati quintali di legno parzialmente carbonizzato s’inclinano e iniziano a scivolare lungo l’argine, fino ad inabissarsi al di sotto della superficie delle acque agitate. Sta piovendo, ormai, con tutta la furia di un acquazzone rimandato per lungo tempo, mentre il cielo elettrico lancia i suoi strali da una parte all’altra di quel mondo semi-addormentato. Tanto che il corso delle acque s’ingrossa, minacciando di fare lo sforzo ulteriore, necessario per straripare. Ma la natura, si sa, non vuole questo. In tal modo seguendo la via di minore resistenza, aumenta la velocità di quel flusso, trascinando il defunto legno verso il basso e in avanti, a un ritmo abbastanza sostenuto da discendere la collina, oltrepassare la pianura e sfociare, finalmente, in mare. Passano giorni, quindi settimane. Poiché la decomposizione del legno sott’acqua è notoriamente rapida, non avviene certo spontaneamente. Necessitando, piuttosto, l’intervento di QUALCUNO… O QUALCOSA.
Per quanto concerne la questione dei rari animali capaci di digerire la cellulosa, tra cui principalmente insetti, molluschi e qualche raro caso di mammifero (i.e, castori) si ama indifferentemente dire che essi: “Hanno stabilito una relazione simbiotica con batteri xilofagi presenti all’interno del proprio apparato di conversione dell’energia” il che lascia intendere come in ere preistoriche dimenticate, creature dal grado di sofisticazione maggiore abbiano in qualche modo “accolto” o scelto di “ospitare” microbi capaci di scorporare molecole lignee dall’impossibile digestione. Laddove la realtà, in effetti, può anche venire interpretata in maniera opposto: chi può realmente affermare, dal canto suo, che la suprema intelligenza che governa l’andamento dei processi di questo mondo non derivi principalmente dal molto piccolo verso il consorzio di coloro che credono, erroneamente, di avere il controllo supremo? Di certo non i molluschi bivalvi (alcuni li chiamerebbero ostriche, oppure vongole) dell’ordine Myida, che includono creature con conchiglia come la riconoscibile Pholadidae (anche detta piddock o Ali d’Angelo) o la temutissima famiglia dei Teredinidae (Vermi delle Navi) che per lunghi secoli fecero dei più possenti galeoni le loro abitazioni da trasformare, progressivamente, in segatura. Un consorzio decisamente eterogeneo, dunque, che dall’inizio di aprile potrà trovarsi arricchito di ulteriori tre categorie, grazie alla più recente ricerca portata a termine dalla biologa marina Janet Voight, curatrice del rinomato dipartimento zoologico del Chicago’s Field Museum. Un gesto di pura scienza consistente, essenzialmente, nel posizionare una serie di grossi tronchi a migliaia di metri sotto il mare (Quanti esattamente? Ecco un’altra risposta nascosta dietro il consueto paywall) in corrispondenza di specifiche coordinate a largo della California, nel Mar dei Caraibi e nell’Atlantico Meridionale. Per poi passare al recupero, mediante il poderoso sommergibile oceanografico statunitense DSC Alvin dopo un periodo di 10 o 24 mesi, allo scopo d’identificare esattamente le conseguenze possibili di un tale gesto. Immaginate dunque la sua sorpresa, per non dire vera e propria soddisfazione, quando gli oggetti in questione tornarono sotto la luce del Sole non soltanto macchiati, bensì letteralmente ricoperti da una quantità incalcolabile di brulicanti creature. Tutte assembrate, in un modo oppur l’altro concesso dai propri percorsi evolutivi, attorno all’opera delle più efficienti e specializzate tra loro. Buchi profondi e diritti, come quelli di un trapano da falegname, verso il nocciolo centrale dell’intera questione…

Pegni derelitti ed erosi, rimasugli di una qualche fatale, drammatica settimana d’abbandono. Appena? Ma neppure il pirata Barbanera in persona, avrebbe potuto sognare di mettere le proprie mani su un così occulto “tesoro”.

Le diverse testate scientifiche di Internet si sono affrettate quindi, come loro tipica prerogativa, nel ribattezzare le creature in questione in qualità di “molluschi-pene” o “forme di fallo” mentre alcuni tabloid inglesi hanno guardato in direzione opposta, giocando sul doppio senso del termine clam (ostrica) talvolta usato in tale lingua allo scopo di riferirsi ad una particolare parte dell’apparato riproduttivo femminile. Uno di loro, quindi, si è sbizzarrito creando un titolo in cui questi piccoli animali vengono definiti “Vibratori affusolati che penetrano in profondità”. Una descrizione, quest’ultima, innegabilmente carica di un valore descrittivo aggiunto. Laddove la nomenclatura scelta dalla Prof.sa Voight ricorre opportunamente alla ben più formale lingua latina, scegliendo per i due generi emersi letteralmente dalla sua ricerca Abditoconus (cono nascosto) e Spiniapex (punta acuminata), mentre nel caso delle specie subordinate ad essi è ricorsa a termini come feaya e gilsonorum, fatti derivare direttamente dai cognomi di alcuni famosi benefattori del suo museo. Un processo al termine del quale, eccezionalmente, l’intero repertorio delle ostriche abissali mangiatrici di legno note all’uomo era stato incrementato all’incirca del 20%:; a tale punto, stiamo parlando di creature remote e difficili da raggiungere con metodi convenzionali. Risulta in effetti di per se alquanto sorprendente, che possa esistere un intero ecosistema capace di ruotare attorno al trascinamento occasionale di un tronco fino alle profondità remote dell’oceano, dove altre fonti di cibo, presumibilmente, risulterebbero decisamente più frequenti. Vedi ad esempio l’immagine tipica e un po’ stereotipata della balena defunta, che poco alla volta precipita fino al suolo, dove verrà progressivamente scorporata da uno spropositato esercito di microrganismi. Che nel caso della sua corrispondenza funzionale lignea e proveniente dal mondo di superficie, non sono più solo, oppure soltanto invisibili ad occhio nudo. Includendo piuttosto improbabili veri e propri sciami, provenienti non si sa da dove, di queste appuntite vongole la cui massa individuale può andare dai pochi centimetri di lunghezza alla forma approssimativa di un pisello (l’ortaggio, s’intende). La cui capacità di perforare deriva, nei fatti, dalla particolare conformazione della loro stessa conchiglia, ricoperta al di sopra dell’involucro esterno denominato periostraco da una nutrita serie di minuscoli denti abrasivi, facendo scorrere i quali tritano, e progressivamente polverizzano, la sostanza dell’ex-albero oramai defunto. Dovete considerare, a tal proposito, il fatto che il legno umido risulti essere inerentemente piuttosto molle e quindi vulnerabile ad un simile approccio distruttivo. Non proprio come la sabbia di una comune spiaggia, ma quasi… E ciò senza neppure considerare come, una volta triturato il legno, le minuscole creature potranno trarre immediatamente giovamento, nutrendosi della segatura risultante.

L’abilità innata delle vongole di seppellirsi nel giro di pochi secondo connota da tempo immemore le prime esperienze dei loro più tipici cacciatori umani. Poiché sembra impossibile che un’animale del tutto privo di arti tranne il sifone attraverso cui respira, possa portare a termine un compito tanto complesso ed almeno all’apparenza, faticoso. Eppure!

Si tratta di una trasformazione ciclica in carburante assai facile da trascurare, come l’ennesima anomalia dei metodi attraverso i quali l’universo, per quanto ci è dato comprendere, è solito riciclare se stesso. Laddove l’opera di personalità come la Voight, attraverso le ultimi decadi di applicazione del metodo scientifico alle più remote derive dell’evidenza, hanno saputo inquadrarla per ciò che realmente rappresenta: il più importante sistema attraverso il quale la natura può riciclare i nitrati e le altre sostanze chimiche contenute nel legno finito alla deriva, rendendole in qualche modo utili a supportare la vita in quei profondi recessi che coprono il 70% del nostro pianeta e dei quali, nei fatti, sappiamo anche meno della superficie di Marte. Ed ecco la ragione dei plurimi organismi, vermi lumache ed altri, che ricoprivano i pezzi di legno ripescati dal sommergibile Alvin, la termine di una così risolutiva ricerca capace di richiedere oltre due anni d’attesa.
Non si può dopotutto pretendere di capire il funzionamento dei molluschi, senza diventare almeno in parte, simili a loro. Indifferenti alla durata e il significato di una transitoria esistenza nel regno dei viventi, verso il perseguimento di un obiettivo singolo e irraggiungibile: il continuo, imperituro trasferimento della materia. Che si tratti di atomi effettivamente dotati di un peso, oppure materia grigia composta dalle intangibili geometrie della conoscenza.

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