Il solo predatore che sconfigge lo scoiattolo al suo stesso gioco

Tra i mammiferi dei luoghi situati a settentrione, particolarmente quelli di grandi dimensioni sia erbivori che carnivori, è assai diffusa la particolare soluzione biologica per il superamento dei mesi invernali, che consiste nell’abbandonarsi a uno stato di sonno che può durare molte settimane o mesi. In questo modo, nel periodo in cui scarseggia il cibo, essi possono tirare avanti grazie ad un metabolismo rallentato, che prescinde dal bisogno di aumentare la propria attività e di conseguenza, il consumo di quelle stesse risorse caloriche che avrebbero bisogno di conquistare. Ma che cosa succede a chi è abbastanza piccolo, e dotato di un’abilità parimenti straordinaria, nel trarre un valido vantaggio dall’altrui torpore? Quando si parla di martora ci si riferisce nella maggior parte dei casi ad una delle due specie, l’europea (Martes martes) e quella statunitense (M. americana) molto simili sotto quasi ogni aspetto tranne, nella maggior parte dei casi, il colore. Non che un simile fattore sembri avere una specifica importanza di sopravvivenza. Laddove simili rappresentanti della famiglia dei mustelidi (piccoli e agili carnivori) pur essendo a loro volta una facile preda degli uccelli rapaci, non sembrano aver sviluppato attraverso il proprio percorso evolutivo la stessa propensione di altri al mimetismo, né tanto meno la colorazione candida della volpe artica, rendendo, sia il marrone chiaro focato della versione da noi geograficamente più lontana, sia il rossiccio/grigiastro della nostra coabitante in quel del Vecchio Continente, assai visibili mentre corrono e si arrampicano sugli alberi con la loro lunghezza di fino a 40 cm esclusa la coda soffice e vaporosa. Mentre camminano con l’eccezionale equilibrio che le caratterizza lungo i rami trasversali al tronco. Mentre inseriscono il musetto appuntito nei preziosi spazi cavi della pianta. E lo tirano nuovamente fuori, stringendo tra le fauci insanguinate il fin troppo pigro abitante dello spazio ingiustamente ritenuto sicuro.
Il che in realtà, soprattutto nel Regno Unito, costituisce uno scenario tutt’altro che deprecabile da parte degli umani. Dovete infatti sapere come nel particolare mondo di quelle isole verdeggianti, ormai da tempo si verifica una strana e problematica convivenza: tra lo scoiattolo rosso nativo di quelle parti (Sciurus vulgaris) e quello grigio americano (Sciurus carolinensis) specie introdotta in modo accidentale nel suo stesso ambiente. Il che costituirebbe, in realtà, tutt’altro che un problema grave (un roditore trova sempre da mangiare) se quest’ultimo non fosse quasi sempre il portatore sano del virus SPPV, causa di tumori ed anche detto peste degli scoiattoli, in grado d’indurre nel cugino dai colori più accessi una morte lenta e particolarmente travagliata. Benché tale malattia non sia per fortuna trasmissibile ad alcun altra specie, inclusi gli umani, ogni qualvolta una comunità di grigi s’incontra con lo sciuride volgare, si può contare sul fatto che i primi annientino ben presto i secondi, restano gli unici abitanti del territorio. A meno che la martora arboricola (in lingua inglese chiamata “dei pini” per distinguerla da quella “delle rocce” la quale sarebbe in effetti, nient’altro che la faina) non faccia ciò che gli riesce meglio: catturare sistematicamente ed uccidere non tutti gli scoiattoli indiscriminatamente, bensì soprattutto, quelli potenzialmente ammalati, proprio perché lo sciuride carolinense, come propria imprescindibile caratteristica, risulta meno agile e sfuggente della sua controparte inglese. Detto questo ed escluso un tale specifico componente della sua dieta, ci sono ben pochi casi in cui un agricoltore o allevatore abbia mancato di maledire quell’aguzza ed intrigante portatrice di fauci affilate come lame…

Tra tutti i mustelidi, la martora dei pini è uno di quelli maggiormente adattati alla vita in territori ricoperti di neve, il che gli permette di ricavare con facilità il cibo proprio da quelle nicchie dell’ecologia ed ambienti che risultano inerentemente avversi alle altre appartenenti alla stessa famiglia, muovendosi rapidamente sopra e sotto il manto candido e ingioiellato.

Rappresentata molto spesso nell’arte e nella cultura popolare nordamericana come un simbolo della natura incontaminata e dell’inverno, ed amata in modo particolare nei libri per bambini in funzione del suo aspetto esteriore innegabilmente grazioso, la martora dei pini costituisce in realtà un problema non sempre facilissimo da gestire negli occasionali casi di convivenza con gli umani. Poiché nel momento in cui gli scoiattoli escono dal proprio letargo diventando più svelti e difficili da catturare, e la loro bestia horribilis inizia allo stesso tempo ad incrementare la propria attività di caccia, non mancherà dall’orizzonte degli eventi l’opportunità di uccidere spietatamente polli e conigli delle fattorie, per non parlare dell’occasionale capra o agnello lasciati momentaneamente incustoditi. Il maschio della martora in particolare, dalle dimensioni sensibilmente maggiorate in forza di un marcato dimorfismo tra i due sessi, è noto per la sua tenacia come cacciatore, nonché l’incapacità di ritrovarsi scoraggiato dinnanzi alla dimensione della preda d’occasione, ricordando in siffatta maniera l’attività del suo parente più temibile, la volverina o ghiottone (Gulo gulo) delle zone artiche americane, terrore diabolico di caprioli, cervi mulo, renne e persino alci, quei letterali dinosauri della taiga settentrionale. Detto ciò, entrambe le specie di martora sin qui citate posseggono anche la dote particolarmente insolita tra i mustelidi di poter sostenere una dieta sostanzialmente onnivora, aggiungendo occasionalmente al gusto selvaggio delle proprie incolpevoli prede parti di frutta, altra vegetazione commestibile e insetti. Altro tratto distintivo certamente degno di nota è il possesso di artigli parzialmente retrattili paragonabili a quelli dei gatti, che l’animale può riporre come altrettanti piccoli coltelli a serramanico nella struttura stessa delle sue zampe, allo scopo di arrampicarsi o correre con maggiore rapidità.
Contrariamente ad taluni altri esponenti della sua classe di piccoli carnivori, ad ogni modo (tra tutti, la Mustela putorius furo, comunemente detta furetto) la martora mantiene una pessima combinazione tra un temperamento ostile la prontezza a mordere tutto ciò di cui diffida, il che la rende sostanzialmente impossibile interfacciarsi amichevolmente con lei, a meno di presentare le proprie mani sempre cariche di copiose regalie alimentari. Il che, in ultima analisi, è un fattore certamente positivo in quanto azzera la cattura con finalità d’allevamento, sopratutto quando si considera la progressiva riduzione di specifiche popolazioni decentrate, tra cui sopratutto quella d’Inghilterra ed Irlanda, il cui fondamentale ruolo ecologico abbiamo ampiamente descritto in apertura.

Questo esemplare martora inglese, riconoscibile da quella americana dalla colorazione più scura, è stata recentemente accolta presso il British Wildlife Centre di Newchapel, Lingfield, dove ha dimostrato una propensione a fidarsi degli umani decisamente superiore alla media. Viene da chiedersi inevitabilmente, a questo punto, se sarà mai possibile restituirla alla natura.

In termini riproduttivi, le martore risultano essere poligine (un maschio si accoppia con più femmine) e notevolmente prolifiche, con frequenti periodi di ricettività sessuale divisi da intervalli di soli 6-17 giorni tra giugno ed agosto, fino alla nascita di un numero variabile tra 1 e 5 cuccioli dopo un lungo periodo di stasi degli embrioni all’interno dell’utero (220-225 giorni) finalizzato a lasciar trascorrere l’intera stagione invernale. Una caratteristica in realtà piuttosto diffusa tra i mustelidi, capace di garantire ai piccoli maggiori chance di sopravvivenza.
Non che la caccia sistematica abbia mancato, nel caso di questa specifica creatura, di ledere nelle epoche trascorse alla continuativa esistenza di queste specie: particolarmente celebrata risultava essere infatti, da entrambi i lati dell’Atlantico, la morbidità e il pregio del loro pelo dalla colorazione così interessante, usato con trasporto per produrre copiose quantità di pellicce dai tagli più disparati. Soltanto in epoca recente e per specifiche popolazioni e sottospecie, d’altra parte, è stata varata una normativa specifica di protezione sia in Europa che negli Stati Uniti, trovandoci comunque dinnanzi ad una creatura ben lontana da un qualsivoglia rischio d’estinzione. In Italia la Martes martes resta una presenza rara ma frequentemente attestata, con popolazioni sparpagliate a partire dai 2.000 metri di altitudine o talvolta anche in pianura, soprattutto sulle isole di Sicilia e Sardegna, dove mancano altri carnivori in grado di condividere le sue stesse prede.
E voi, l’avete mai vista correre in salita, alla ricerca delle piccole prede addormentate nell’attesa inconsapevole della propria drammatica fine? Avete notato l’espressione attenta e predatrice di quel muso pieno di pericoli, nei confronti di chiunque non sia almeno due volte più grosso di lei? Noncurante del progressivo ridursi degli spazi adatti alla sopravvivenza, la martora di entrambi i mondi prosegue la sua caccia lungo i mesi gelidi del triste inverno. Ben sapendo, che alla fine, il sole sorgerà di nuovo a illuminare l’avvenire della sua genìa.

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