Il passero che ha studiato la nobile arte del cucito

Una sorta di sacchetto sospeso ai rami più alti di un albero di euforbia, abilmente intessuto con un paio di foglie e un lungo filo d’erba fatto passare sopra e sotto in alternanza al velo esterno dell’involucro color smeraldo. Chi l’ha costruito, e perché? Si chiese la piccola mangusta Rikki-Tikki-Tavi, recentemente accolta per l’inizio di una nuova vita, sotto la supervisione di coloro che mai avrebbe, in precedenza, avuto modo d’incontrare. Finché al sibilo del vento, prese ad affiancarsi un altro tipo di suono, il reiterato pigolìo di un’intera famiglia intenta nell’arduo mestiere dell’esistenza. E fu proprio in quel momento, accompagnato da uno svelto frullar d’ali, che ebbe modo di udire l’avviso fatale: “Attento a quella serpe, voltati e combatti, amico mio!”
Molte sono le meraviglie, culturali, naturali e paesaggistiche, che il figlio di un ufficiale coloniale inglese all’estero avrebbe avuto modo di conoscere durante la lunga trasferta della sua famiglia, particolarmente sullo sfondo dell’India della fine del XIX secolo, sospesa tra natura e civilizzazione, l’epoca antica e quella moderna. I suoni ed il brusio dei popoli, intenti a celebrare plurime divinità. I colori straordinari di un diverso tipo di stagioni, condizionate dall’arrivo di venti e fenomeni meteorologici spropositati. Nonché probabilmente l’aspetto maggiormente sorprendente ai suoi occhi, l’esperienza diretta del conflitto di sopravvivenza darwiniano, tra insetti, uccelli, rettili e altri piccoli animali, per come poteva essere sperimentato direttamente nel proprio giardino. Di un mondo totalmente privo del concetto di Provvidenza, fatta eccezione per la nostra capacità di andarcela a cercare, con le unghie e con l’affilatezza della nostra arma più temibile, le cellule composte di materia grigia. Come dimenticare, del resto, in qualità di narratore di una simile sequela di frangenti ai nostri occhi, la figura di scrittore, giornalista e poeta inglese Rudyard Kipling? Un personaggio celebre sopra ogni altra cosa per il suo racconto facente parte della raccolta antologica “Il Libro della Giungla”, sulle (dis)avventure didascaliche del piccolo Mowgli, rimasto separato dalla sua famiglia durante una spedizione ed allevato dalle fiere della foresta. Mentre relativamente meno nota, per lo meno fuori dai paesi anglosassoni, è la vicenda di un altro bambino dalla simile storia pregressa, abbastanza fortunato da restare in mezzo ai propri simili ma cionondimeno, soggetto all’usuale carico di peripezie riservato ai personaggi dei romanzi. Teddy era il suo nome, e una pericolosa coppia di serpenti i principali antagonisti della storia. Ma non tutti gli animali, persino nell’arcano mondo della fantasia, sono altrettanto malevoli o del tutto indifferenti al pericolo corso dai loro vicini…
Così narra la vicenda di due cobra, Nag e Nagaina, sommamente avversi nei confronti di coloro che provengono da fuori. E del già citato giovane esponente della famiglia Herpestidae, ordine Carnivora dal nome ricco di assonanza con i versi della propria incerta specie, che sforzandosi orgogliosamente “Nonostante il gelido timore in fondo al proprio cuore” avrebbe consentito al trio d’inglesi, padre, madre e figlioletto, di sopravvivere fino a una nuova alba delle circostanze. Ma non senza l’aiuto, e l’assistenza, di due piccoli aiutanti svolazzanti…

L’efficacia di un simile nido appare estremamente evidente allo sguardo, in modo particolare successivamente alla schiusa delle uova e quando pieno del suo carico di nuovi nati. Ma non sempre questo basta a garantire ai piccooli il raggiungimento dell’età adulta…

Chi sono, dunque, i fabbricanti dello strano nido citati nel racconto come Darzee e consorte, definiti dall’autore con il termine del tutto anglofono di tailorbirds (uccelli sarti) e nessun tipo di ulteriore approfondimento tassonomico? Perché ovviamente, non era quello l’obiettivo della storia. Volendo far ricorso a un tipo di speculazione assai probabile sulla base di descrizione ed abitudini, possiamo facilmente individuare come specie di appartenenza quella dell’Orthotomus sutorius, altrimenti detto uccello sarto comune o uccello calzolaio, principale rappresentante di un particolare metodo per accudire i propri piccoli e tenerli ben nascosti dai pericoli del mondo, fondato sulla metodologia istintiva proveniente da innumerevoli generazioni pregresse. Non è d’altra parte semplice, nei fatti, immaginare quanto tempo sia necessario affinché una creatura dai processi mentali tanto semplici e diretti possa riuscire ad acquisire l’arte, assai complessa, di creare un simile implemento abitativo, preoccupandosi persino d’imbottirlo con un generoso apporto di sterpaglia, rametti e filo di ragnatela (molto apprezzata a tal fine la fibra prodotta dall’albero di kapok, trattato proprio in questa sede verso l’inizio della scorsa settimana). E dunque non è arduo immaginare lo stesso Kipling, nei suoi anni formativi dell’infanzia trascorsa a Bombay, che osserva ammirato questa insolita presenza nel giardino di suo padre, il professore di arte e architettura occidentali presso la recentemente fondata scuola di Sir Jamsetjee Jeejebhoy. E come lui il suo personaggio Teddy, poco prima d’incontrare, totalmente per caso, la mangusta rimasta orfana che in seguito gli avrebbe salvato la vita non una, bensì due volte.
Ma come mai in questa breve creazione letteraria, sufficientemente poetica e ricca di simbolismo da venire occasionalmente scambiata per “L’adattamento di un’antica leggenda indiana” (quando in effetti, le qualità più basilari derivano dalle fiabe di Esopo il greco) proprio gli uccellini sopra l’albero di euforbia si trasformano in saggi assistenti dell’eroe quadrupede contro i suoi striscianti nemici? Si tratta, molto probabilmente, di una velleità creativa, usata per descrivere un particolare aspetto affascinante dell’ecologia locale. Ma anche finalizzata a dare spazio a un’evidente associazione tra questo particolare animale e l’innata saggezza di tutte le creature, ritrovata nell’esplicita avvenenza del loro modo d’interfacciarsi con l’ambiente. Di uccelli cosiddetti sarti, del resto, esistono numerose specie nessuna delle quali a rischio di estinzione, per lo più raccolte nella famiglia dei piccoli passeri Cisticolidae ma non solo, di cui ad ogni modo l’O. Sutorius resta il maggiormente rappresentativo. Generalmente incline a riprodursi due volte l’anno e durante le stagioni maggiormente piovose, questo è un passero che ha fatto della collaborazione tra partner per l’accoppiamento una fondamentale certezza della sua vita. Cosicché non è affatto insolito vedere lei che corre a prelevare il materiale, mentre lui opera sapientemente quella tecnica consistente nell’intreccio attento e cadenzato, verso la creazione della futura nursery per i pigolanti eredi. Che verranno quindi covati a turno, mentre l’altro oppur l’altra s’industriano a procurare il cibo necessario a sopravvivere, nel tentativo, spesso ahimé futile, di proteggere le uova dai predatori. Assai nota, in effetti, è la vulnerabilità di molte di queste specie all’assalto di rettili terribilmente affamati ed almeno due specie di volatori parassiti, il cucal maggiore (Centropus sinensis) ed il cuculo lamentoso (Cacomantis merulinus) più che mai pronti a infiltrare i propri piccoli tra i figli inconsapevoli dei passeri, che verranno quindi spinti fuori e destinati a morte certa.

Tra i tratti maggiormente rappresentativi del common tailorbird figura la sua coda portata eretta e spesso agitata da una parte all’altra, nonché la macchia scura tra le piume del collo che diventa visibile durante la produzione del caratteristico richiamo.

Ed è forse proprio come avviso e/o contromisura contro simili evenienze, che il richiamo del passero sarto avrebbe assunto attraverso il trial & error evolutivo l’attuale tono estremamente ripetitivo nonché riconoscibile, che Kipling ebbe l’iniziativa artistica di trasformare nell’avviso salvifico rivolto da Darzee a Rikki-Tikki-Tavi, permettendogli di affrontare a viso aperto il cobra Nag, fermamente intenzionato a mordere mortalmente il suo padroncino umano di discendenza inglese.
Evento a cui sarebbe seguito, per britannica fortuna assistita dal senso d’iniziativa e la tecnologia, l’impiego da parte del padre di Teddy di una provvidenziale quanto risolutiva doppietta caricata a pallettoni, arma in grado di risolvere una vasta quanto imprevedibile serie di problemi. Mentre sarebbe stata la mangusta e soltanto lei, armata del coraggio e l’iniziativa tipica della sua specie, a penetrare nella tana sotterranea per uccidere la possibilmente ancor più malvagia e subdola Nagaina, consorte vendicativa del defunto, quanto indesiderato signore di quel giardino. Ma poiché come in tutte le fiabe che si rispetti, la morale desumibile da una simile vicenda non una soltanto, a questo punto sarebbe assai lecito chiedersi chi fosse il vero cattivo della storia. Forse il mordace serpente, indotto dall’istinto a proteggere quello che considera il suo territorio? Oppure il colonialista inglese con i suoi edifici in muratura, costruiti nei dintorni di città che un tempo avevano confini assai più chiaramente definiti? Di certo non l’uccello nell’alto mini-appartamento di tessuto vegetale, e neppure la mangusta… In troppo numerosi e significativi aspetti, così straordinariamente simili a noi.

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