Alcuni validi argomenti contro la separazione tra i pesci e il riso

Rosso e verde, rosso in mezzo al verde. Non potremmo affatto crederci, senza averlo visto in prima persona: forme indistinte che si muovono, nel bel mezzo delle ordinatissime piantine. Piccole o medie creature dalle scaglie iridescenti, largamente affini a quelle che ti vendono in sacchetto presso i banchi della fiera. Pesciolini…
Certamente avrete già sentito l’espressione “Ne uccide più la penna” Il che diventa particolarmente importante quando, come anche suggerito in un certo best-seller di fama internazionale, la gente di un popolo ha trasformato le proprie spade in vomeri d’aratro. Letterali o anche figurativi, come quelli idealmente interconnessi alla principale fonte di sostentamento dei popoli della Cina meridionale, dove l’influsso stagionale dei rovesci monsonici renderebbe assai difficile coltivare, con ragionevoli speranze di successo, un qualcosa d’affine ai prototipici campi di grano sottintesi dal biblico Isaia. D’altronde chiunque abbia mai avuto modo di conoscere direttamente l’ambiente tipico di una risaia, ben conosce il tipo di problemi che si accompagnano a questa particolare branca dell’agricoltura: ovvero la presenza di vaste distese d’acqua stagnante, focolai perfetti per lasciar diffondere quel letterale inferno di parassiti, zanzare, insetti più o meno voraci e in ogni caso, nel maggior numero dei casi, potenzialmente nocivi per l’uomo. A meno di voler ricorrere all’uso di pesticidi dunque, una cura molto spesso peggio del male di partenza, e per di più particolarmente onerosa in certi territori ancora in via di sviluppo, l’unica speranza che rimane agli agricoltori senza più risorse sembrerebbe fare affidamento al succitato implemento di scrittura, possibilmente ancora saldamente unito al resto dell’uccello. Ah, l’effetto benefico del popolo dei cieli! Che ogni cosa divora, inclusi vermi, bruchi, larve ed altre antropodi diavolerie. Sarebbe assai difficile, tuttavia, immaginare un volatile insettivoro che non sia anche propenso ad assaggiare, di tanto in tanto, il gusto gradevole di un seme o due. Il che non va per niente bene, quando ciascuno di essi potrebbe corrispondere, a distanza di qualche mese, al principale accompagnamento di un pranzo degli umani. Ed è tutt’altra storia rispetto all’altra punta del tridente animale, di quelle creature che nuotano grazie all’impiego delle pinne. Le quali, pur non figurando nel proverbio di partenza, uccidono anche loro, almeno quanto l’arma simbolo della cavalleria.
Ne parlava la FAO nel video del 2016, dedicato alla premiata GIAHS (Eredità Culturale Agricola d’Importanza Globale) del villaggio di Longxian, contea di Qintian, provincia di Zhejiang. Quest’antica tradizione, risalente a un’epoca di almeno 1.000 anni fa, relativa all’unire l’utile all’utile (nonché dilettevole) ovvero coltivare il riso ed allevare, allo stesso tempo, la carpa commestibile nelle sue più diverse tonalità, un altro importante punto fermo della cucina locale. Attraverso una metodologia capace, per quanto viene sommamente spiegato, di risolvere una vasta serie di problemi potenziali, incrementando in modo esponenziale i presupposti di guadagno di colui che ha ricevuto in gestione quei validi territori…

Il sistema del pesce e del riso non è comunque appannaggio esclusivo di determinate regioni della Cina meridionale, trovando vaste applicazioni anche in altri paesi dell’Asia in cui il clima si presenta con dei presupposti adeguati, come il Vietnam, la Thailandia e l’Indonesia.

Praticato almeno fin dai tempi della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.) mediante l’impiego di carpe, come dimostrato dagli archeologi grazie al ritrovamento di alcune figure di terracotta nelle tombe coéve o immediatamente successive, oltre a svariati riferimenti letterari nei confronti de “Il piccolo pesce dalle scaglie gialle e la coda rossa allevato nelle risaie” che veniva usato “Per preparare la tradizionale salsa sichuanese della contea di Pi” questo sistema trovò probabilmente origine dallo spostamento incidentale verso la risaia di simili creature ancora allo stato semi-larvale, per l’esaurimento dello spazio a disposizione nei vicini allevamenti costieri. Quale miglior luogo, d’altra parte, per custodire i propri piccoli amici all’ingrasso, che una radura totalmente allagata per definizione, soggetta già al controllo quotidiano da parte dei suoi custodi e proprietari? Se non che un poco alla volta, ci si rese conto come non soltanto queste carpe crescessero più forti e in salute delle loro parenti nei recinti convenzionali, ma anche le piantine di riso stessero uscendo da una tale convivenza in maniera particolarmente proficua. La principale ragione di tutto questo, l’abbiamo già data ad intendere più sopra: è infatti proverbiale la capacità di tutti i pesci idonei a sopravvivere nell’acqua stagnante di fagocitare, con trasporto straordinario, ogni squisita larva galleggiante nella soluzione variabilmente trasparente omaggiata dalla propria pinnuta presenza. Il che include sopratutto quelle di zanzara, ma anche fulgoroidei, cicadellidi e gli altri rappresentanti delle oltre 100 specie che attaccano, comunemente, la tipica risaia. Ma non finisce certamente qui.
Uno dei tipici problemi delle piantagioni di riso è infatti la carenza di nitrogeno, sostanza necessaria ad effettuare con successo la fotosintesi clorofilliana. La quale può agilmente provenire, in grandi quantità, dalle costanti deiezioni dei piccoli amici nuotatori, i quali agiscono dunque come vere e proprie macchine utili alla trasformazione di un qualcosa di negativo (insetti) in vero punto di forza (concime). Il loro stesso passaggio reiterato tra gli innumerevoli steli, inoltre, garantisce un continuo movimento del suolo e increspature nella superficie soprastante, con conseguente migliore ossigenazione del riso. Preparando nel contempo il suol ad una migliore propagazione delle radici vegetali. Tutto questo, naturalmente, a patto che gli agricoltori abbiano compiuto i passi necessari a massimizzare il funzionamento corretto di un così antico sistema: bloccando attentamente l’ingresso di eventuali predatori non altrettanto produttivi oltre i confini della risaia, come pesci gatto, anguille o teste-di-serpente (fam. Channidae) disponendo reti per bloccare la venuta degli indesiderabili uccelli e scavando dei profondi canali, che i pesci possano usare per sopravvivere durante le stagioni di relativa siccità.

È importante tenere a mente come in Cina la carpa selvatica (鲫鱼 – Jìyú) sia considerata, indipendentemente dal colore, un animale completamente diverso da quella allevata come creatura domestica (金鱼 -Jīnyú) nonostante appartenga alla stessa specie. A nessuno verrebbe effettivamente in mente, persino in quel mondo culinario dai molti misteri, di mangiarsi l’amichevole cugino rosso del pesce Nemo.

E ciò senza neppure entrare nel merito degli effettivi profitti in proporzione all’estensione dei terreni disponibili, che attraverso un impiego ideale di un simile sistema diventano doppiamente produttivi, sia dal punto di vista vegetale che quello, per l’appunto, animale. La stessa FAO ha stimato a tal proposito come una risaia convenzionale appropriatamente riconvertita possa vedere l’aumento della produzione del cereale da 6,7 a 7,5 tonnellate per uno spazio equivalente, mentre nell’allevamento dei pesci si passa da 0,75 a 2,25 tonnellate. Entrambi fronti combinati all’interno di un singolo terreno, che normalmente riuscirebbe a garantire una resa alimentare o economica di meno della metà.
Apparirà dunque evidente come una simile “eredità agricola” per quanto risalente all’epoca soltanto apparentemente sorpassata del mondo antico, possa trovare ancora delle ampie applicazioni dovunque venga praticato l’allevamento della carpa. E non solo: si sta diffondendo infatti negli Stati Uniti dell’ultima decade, particolarmente in Florida e California, un tipo di risaia protetta dalla presenza dei cosiddetti crawfish (varie specie di gamberi) il cui posto di primo piano sulle tavole occidentali risulta essere, nell’opinione di molti, assai difficile da sopravvalutare. Mentre in altri luoghi d’Asia, attraverso i secoli, sono state usati con successo anche granchi o tartarughe. Nell’espressione praticamente istintiva, e notevolmente in anticipo, di quella che oggi viene definita la scienza dell’acquaponica, considerata una delle più importanti risorse contro un futuro di stagioni sempre più irregolari, con conseguenti carenze agricole ai danni dell’intera società umana. Purché la penna, un termine riferito stavolta all’implemento impiegato da un certo tipo di comunicazione politica e sociale proveniente da specifici paesi, non continui a negare l’evidenza di ciò che potrebbe aspettarci nell’immediato, se non prossimo futuro. Ovvero doverci mettere anche noi a nuotare tra piante parzialmente inabissate, sotto l’acqua delle calotte polari disciolte a causa di quel disastro che non può essere più fermato. Soltanto, per quanto possibile, allontanato.

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