Le case che galleggiano quando si verifica un’inondazione

Come ogni anno, con l’avvicinarsi della stagione delle piogge un senso d’aspettativa e terrore latente inizia a pesare sulla vita quotidiana di coloro che abitano attorno al delta del Mekong. Il grande fiume vietnamita, fornitore di acqua per l’irrigazione fin dall’epoca del ferro e per tutta la durata dell’impero millenario dei Khmer, un tempo associato unicamente a un lungo elenco di connotazioni positive. Ma che oggi, a causa del mutamento climatico e l’aumento di livello delle acque terrestri, è solito dare il benvenuto ai monsoni straripando copiosamente, per andare a sconfinare con estrema prepotenza negli spazi maggiormente cari agli umani. Il che comporta, il più delle volte, gravi conseguenze immediate per le piccole comunità e i villaggi della zona, occupati da una fascia di popolazione che possiede molto poco, in aggiunta alla singola e modesta abitazione familiare. È una terribile incertezza realizzata dalla meteorologia, tutto questo, di un disastro annunciato quanto irrimediabile, in grado non soltanto di avere un prezzo in termini di vite animali ed occasionalmente, persino umane.
Secondo le ultime notizie divulgate dalla GRP (Global Resilience Partnership) una cooperativa internazionale di enti a scopo umanitario finanziata in parte dalla Zurich Foundation, la situazione potrebbe andare presto incontro a un cambiamento positivo. Questo grazie al concorso recentemente indetto per gli enti di ricerca e le aziende interessate, intitolato Water Window Challenge e concepito allo scopo di stanziare 10 milioni di dollari, per un progetto in grado di arginare i danni da inondazione subiti dalle popolazioni svantaggiate di una buona metà del mondo. Missione che parrebbe ormai quasi certamente assegnata alla Prof. Elizabeth English del Water Institute presso l’università di Waterloo, in Canada, per la sua acclarata capacità di trasferire in simili contesti operativi un concetto particolarmente efficace: la cosiddetta casa anfibia o casa (talvolta) galleggiante. Che non è, sia questo immediatamente chiaro, una sorta d’imbarcazione o altro costoso implemento, bensì l’effettiva equivalenza della biblica Arca di Noè, costruita sulla terra ferma per lasciarla, sollevandosi verticalmente, nel momento stesso in cui quest’ultima dovesse trovarsi a scomparire sotto il pelo dell’acqua.
È un approccio semplice, ed al tempo stesso estremamente risolutivo, all’annosa e problematica questione. Non per niente mutuato direttamente da un paese occidentale che le inondazioni ha avuto modo di conoscerle fin troppo bene attraverso il verificarsi della sua storia antica e recente: l’Olanda. Per quanto riguarda la documentazione online in lingua inglese sull’argomento, tutto quello a cui si trova riferimento è l’opera della compagnia di costruzione Dura Vermeer di Dick van Gooswilligen, che attorno al 2005 ebbe modo di costruire un’intero villaggio composto da 37 di questi edifici, presso la piana alluvionale del fiume Maas. E benché qualcosa di simile fosse stato tentato come approccio anche dagli architetti inglesi dello studio londinese Baca, per un’insolita casetta panoramica sulle rive del Tamigi (Richard Coutts, Robert Barker) appare evidente come questa applicazione marcatamente umanitaria del progetto possa rivelarsi nei prossimi anni non soltanto la più meritevole d’encomio, ma anche quella a maggiore diffusione ed utilità risolutiva di un qualsivoglia scopo.
Sopratutto per la capacità, dimostrata dal team degli accademici operativi in-sito, di fornire ai nativi un approccio valido a riconvertire le loro case tradizionali pre-esistenti, facendone un letterale punto d’approdo nel mezzo dell’annunciata tempesta stagionale…

Come molti progetti di tale natura, l’obiettivo delle case anfibie è stato perseguito attraverso la partecipazione di maestranze locali. Questo perché, una volta ritornati al proprio paese di provenienza, la popolazione possa continuare ad avvalersi del know-how tecnico precedentemente acquisito.

Per quanto concerne il funzionamento delle case anfibie, tutto si basa sull’inclusione dell’elemento architettonico chiamato, per antonomasia, fondamenta galleggianti. Benché almeno nel caso delle abitazioni vietnamite presso il delta del Mekong, un tale strato di bottiglie in plastica, polistirolo o altri materiali in grado di fluttuare sulle acque, tenda a trovare posto in una posizione completamente esposta, sotto le corte palafitte usate fin da tempo immemore dagli abitanti di questo ambito geografico, eternamente condizionato dalla furia imprevedibile del fiume. Un importante valore aggiunto deriva dai quattro pali saldamente piantati nel terreno, corrispondenti agli angoli retti della semplice struttura, alla quale essa stessa risulta quindi assicurata, così che al momento dell’arrivo delle acque, questa non venga trascinata via assieme al letterale tsunami di detriti, tronchi e altri oggetti provenienti dalla vicina foresta inondata.
L’impiego di questo particolare approccio concede significativi vantaggi, tra cui quello più immediato è relativo ai costi: stiamo effettivamente parlando di un sistema inerentemente più accessibile dell’alternativa su palafitte, poiché non deve sostenere costantemente il peso intero della casa, permettendo inoltre di accedervi indipendentemente dalle proprie difficoltà motorie, il che non è un vantaggio da poco, quando ci si trova in luoghi dove l’elettricità per eventuali sistemi di sollevamento può essere discontinua del tutto assente. Per quanto concerne invece la soluzione dell’integrità strutturale, il team della Prof. English ha elaborato un sistema integrato capace di unirsi e sostenere la struttura pre-esistente, dotato di letterali “cordoni ombelicali” di sicurezza in grado di scollegarsi autonomamente dalle tubature del gas e dell’acqua, evitandone in questo modo il danneggiamento. Una soluzione estremamente originale, che deve aver contribuito in modo significativo all’assegnazione del finanziamento da parte della GRP.
Apparirà dunque chiaro come stiamo parlando di una serie di scelte tecniche a tal punto configurate sulle specifiche esigenze e competenze disponibili nell’oriente vietnamita, da far pensare a un’elaborazione specifica di quel contesto geografico distante. Laddove tutto questo vanta un’eredità, piuttosto, marcatamente nordamericana. Come narrato in alcune interviste dalla stessa autrice canadese dell’idea…

La diffusione delle case galleggianti della BFP in Louisiana ha avuto un certo successo, particolarmente presso le comunità di pescatori della zona di Old River, soggette allo straripamento periodico del fiume Mississipi.

Tutto inizia e finisce, ancora una volta, nell’occhio di uno degli uragani più terribili a memoria d’uomo. Proprio mentre Gooswilligen costruiva le sue case anfibie in Olanda, l’intero stato della Louisiana veniva colpito nell’estate dal 2005 da Katrina, il distruttore d’innumerevoli acri di estrema rilevanza urbanistica e come conseguenza ulteriore di tutto questo, costato tragicamente la vita a quasi 2.000 persone. Fu allora quindi che, attraverso la costituzione della sua BFP (Buoyant Foundation Project – possibile un doppio senso in lingua inglese tra “fondamenta” e “fondazione”) la English iniziò a mettere in pratica il concetto della casa anfibia. Presentata ai media nella versione preliminare dell’idea come metodo diretto di riconversione della tipica shotgun house del meridione statunitense, costruita con materiali diversi ma in maniera concettualmente simile alle abitazioni vietnamite del delta del Mekong. Il che ebbe modo di presentarsi a un pubblico di sopravvissuti, a quel tempo più che mai pronti ad elevare le proprie case sulle già citate palafitte, rovinando essenzialmente l’estetica ed il senso comunitario d’insediamenti dalla storia pregressa relativamente stratificata. Mentre come possiamo ormai affermare grazie all’intercorsa conferma operativa, tutto ciò che poteva risolvere il problema era la ricerca di un modo per sollevarsi una volta ogni tanto, nel momento transitorio dell’urgenza.
Se tutto ciò potrà dunque funzionare anche in Vietnam e in Bangladesh, l’altro paese dove BFP sta attualmente fornendo assistenza per la costruzione di edifici galleggianti ex-novo (costruiti secondo i princìpi dell’antico sistema architettonico Vastu Shastra) è certamente troppo presto per dirlo. Ma come gli abitanti di tali luoghi sanno fin troppo bene, si tratta soltanto di una questione di tempo: l’acqua arriverà di nuovo, arriverà ancora e sarà come al solito, caratterizzata da quel tipo di spietatezza che deriva dall’assoluta incoscienza dei fattori collaterali. Perché in quale modo il nostro sofferente pianeta dovrebbe preoccuparci di ledere gli interessi dei propri abitanti quando siamo noi, per primi, a dimostrare quella legge universale riassumibile nell’espressione “ciascuno pensi soltanto a se”? Fatta eccezione per chi costruisce spazi abitativi, l’equivalenza statica di un fattore di necessità inerente. Il che non esclude, del resto, che possano sollevarsi verticalmente su un tappeto volante di damigiane color blu cobalto… Miracoli dell’arte di sopravvivere, quando il vento soffia in direzione contraria. E soltanto l’ingegno può guidarci nella direzione di un luminoso (!) futuro.

Questo rendering permette di notare l’importanza della struttura di sostegno, finalizzata a sostenere le ponderose mura dell’abitazione posizionata sopra la linea di galleggiamento.

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