Un viaggio nella foresta dei cinghiali barbuti

Il dramma quotidiano del suino di ogni possibile nazionalità è più o meno sempre lo stesso. E potrebbe riassumersi nel fatto che ogni volta che tenta di pronunciare: “Buongiorno, signore. È stato portato alla mia attenzione che lei potrebbe avere del cibo. Potrebbe cortesemente confermare o smentire una simile presa di posizione?” l’unico suono che fuoriesce dal suo grugno appiattito parrebbe essere: oinkoinkoin-grunf-wiiiii e così via dicendo. Ed è soprattutto per questo che, nel tipo di dialogo interspecie che tende a portare un vantaggio gastronomico di qualsivoglia tipologia e un transitorio senso di soddisfazione da parte dell’umano di turno, diventa per lui essenziale sapersi esprimere attraverso il linguaggio del corpo. Spalancare quei tristi occhioni, farsi espansivo e pacifico, muovere le orecchie a ritmo col sussurrante richiamo della sua giungla, che può essere letterale, approssimativa o persino urbana (qualcuno potrebbe arrivare a chiamarla “Roma Nord”)… Oppure perché no, sorridere sotto un gran paio di affascinanti baffi. Come dite, i maiali selvatici, da quando Miss Piggy ha lasciato lo show-business, non possiedono alcun tipo di folti mustacchi? Questioni di punti di vista, come si suol dire pressoché ovunque. Oppure questioni di contesto geografico, come potrebbero affermare gli orgogliosi abitanti della più grande isola d’Oriente, suddivisa tra tre paesi che si sono spartiti una delle più vaste ed antiche foreste pluviali al mondo. Ma non c’è percezione alcuna dei confini tra Malesia, Brunei ed Indonesia, nella tranquilla esistenza del Sus Barbatus, comunemente detto babi hutan o suino pelosamente avvantaggiato. La cui caratteristica principale sembrerebbe essere, oltre al caratteristico ciuffo bilaterale sul muso, zampe particolarmente lunghe, forti ed agili, perfette per compiere lunghe migrazioni attraverso l’intero estendersi del proprio areale.
Il che costituisce, senz’ombra di dubbio alcuno, il nesso principale della questione: nulla di tutto ciò riesce a cogliere l’occhio potrebbe esistere, senza l’intervento puntuale, e continuativo, dell’amichevole quanto interessata genìa grugnente, il cui naso rosa è da sempre sinonimo di un qualche tipo d’indagine approfondita del sottobosco. Coadiuvata dall’impiego di un orologio biologico estremamente funzionale, che indica al suo possessore il momento esatto in cui l’eccezionale biodiversità vegetale dei un simile luogo d’appartenenza ha terminato la fase di fioritura, e sta per riversare a terra una vasta quantità di ghiande o altri frutti simili, alternativa naturale al continuo bisogno d’infastidire i custodi delle dispense umane. Il che avviene, secondo uno schema evolutivo tipico delle dipteracee, nutrita famiglia d’arbusti di cui fa parte la canfora del Borneo (Dryobalanops aromatica) con tempistiche scaglionate tra i diversi angoli della foresta, quasi seguendo un copione attentamente iscritto nel succedersi esatto delle stagioni. Una tempistica talmente importante per la sopravvivenza e prosperità del babi hutan, che esso arriva a pianificare la sua attività riproduttiva sulla base delle grandi migrazioni che ne derivano, affinché i piccoli siano sufficientemente grossi e forti da poter affrontare i molti pericoli della terra in cui dovranno, un giorno, riuscire a imporsi in qualità di onnivori e sostanziali dominatori. Ma sarebbe certamente superficiale, pretendere di esaurire una simile attività come mera funzione di accaparramento ed accrescimento personale, laddove l’attività dei maiali diventa effettivamente la via d’accesso, per la foresta stessa, ad un fondamentale metodo di propagazione attraverso il trasporto a rilevanti distanze di molte, molte migliaia di semi…

Una giovane madre di Sus Barbatus difende il cucciolo dall’interesse un po’ troppo marcato di un terribile varano. Simili rettili dal morso velenoso, una volta raggiunta l’età adulta non rappresentano più un pericolo per questi grossi e forti animali.

Formalmente inserito da tempo nell’indice delle specie a rischio secondo il catalogo dello IUCN, in funzione dell’areale relativamente ridotto e la caccia spietata che se n’era fatta fino all’inizio dell’epoca contemporanea, il maiale barbuto ha saputo tuttavia dimostrare notevoli capacità di adattamento. Sia per quanto riguarda la convivenza a stretto contatto con una fiorente industria del turismo, come dimostrato dal video di apertura ambientato presso la Abai Jungle Lodge del fiume di Kinabatangan, che nello sfruttare a proprio vantaggio una delle industrie ecologicamente più problematiche, quella per la produzione su vasta scala dell’amato-odiato olio di palma. Che come dimostrato da un recente studio collaborativo prodotto da due dipartimenti locali e l’Università di Berkeley, pur sottraendo ogni anno una parte considerevole dei territori naturali a disposizione delle specie endemiche del Borneo, finisce anche per fornire ai suddetti una fonte di cibo addizionale, attraverso la consumazione pressoché illimitata dei frutti, semi e altri prodotti collaterali della Elaeis guineensis, pianta nativa del Gambia e dell’Angola che condivide con tali suini una straordinaria ed innata capacità di adattamento. Tanto da permettere alle due parti di ricevere un mutuo vantaggio dalla forzata coesistenza, arrivando a far segnalare un aumento di fino a 100 volte il numero di maiali barbuti normalmente riscontrati all’interno di specifiche regioni sottoposte alle analisi demografiche rilevanti, mentre gli addetti alle piantagioni considerano le loro scorribande addirittura benefiche per la propria attività, poiché non ledono al prodotto vendibile, che si trova al sicuro e in alto sui rami della palma.
Ciò detto, l’ampliamento scriteriato dei territori adibiti a piantagione può arrecare lo stesso un danno notevole alla sopravvivenza della specie, causa una rimozione sistematica degli spazi dei quali i maiali hanno bisogno, invece, per altre attività primarie della loro esistenza, tra cui la riproduzione. Che viene tipicamente portata a termine in seguito alla costruzione di un vero e proprio “nido” (il termine usato in inglese è nest) messo assieme con fronde, rami e foglie di palma secche, possibilmente in cima ad un luogo ragionevolmente elevato. La maturità sessuale viene raggiunta dopo ai soli 18 mesi di età, successivamente ai quali i potenziali partner s’incontrano durante una delle fondamentali migrazioni, prima d’intavolare un tipico rituale d’accoppiamento che include una copiosa emissione di saliva da parte di un’apposita ghiandola situata sotto il labbro inferiore del maschio. La gestazione dura invece circa quattro mesi, al termine della quale vengono al mondo una quantità media di 2 o 3 cuccioli, decisamente inferiori a quelli tipici della versione nostrana dello stesso animale. Il che risulta ancor più sorprendente quando si nota il fatto che una femmina di questa specie presenta ben cinque paia di cappezzoli, la stragrande maggioranza dei quali resterà assolutamente inutilizzata. L’unica spiegazione possibile, dunque, è che la dimensione ridotta della cucciolata sia un’evoluzione piuttosto recente.

Nonostante il formale divieto di caccia in molti paesi del suo habitat, il maiale barbuto continua a rispondere a una parte considerevole delle esigenze alimentari dei popoli nativi, come i Punan di Sarawak e Kalimantan. Si tratta comunque di attività pratiche con metodi tradizionali e dunque, ampiamente sostenibili persino adesso.

Per quanto concerne le attività di ricerca del cibo, il Sus Barbatus è normalmente una creatura crepuscolare, attiva soprattutto al tramonto e all’alba. Mentre nel caso in cui si trovi a coesistere con una nutrita popolazione umana o durante il periodo delle migrazioni, il suo approccio alla sussistenza si sposta sopratutto nelle ore notturne, per una innata propensione a non attirare l’attenzione indesiderata dell’ormai rarissimo leopardo nebuloso (Neofelis nebulosa) suo principale predatore fin dall’alba dei tempi.
E non è affatto inaudito, in effetti, di trovarsi a scorgere nel ragionevole silenzio della foresta illuminata dalla luna quell’incredibile ammasso di almeno 100 esemplari suini, che deambulando con una notevole chiarezza d’intenti potranno attraversarvi la strada, quasi dovesse trattarsi di una sfilata delle anime in marcia verso le prime regioni dell’oltretomba. E neppure un singolo cane da pastore! Un situazione in cui, chiunque possieda una ragionevole quantità di conoscenza, non potrà far altro che fermarsi a guardare ammirato, rendendo mentalmente omaggio alle incredibili soluzioni create dal primo scienziato della Terra, l’imperscrutabile Natura. Un tipo di cognizione molto spesso, tende ad andare di pari passo con la capacità di portare con orgoglio una lunga barba e baffi. Questioni di affinità elettive, o per usare altri termini e un approccio decisamente prosaico, la saggezza del vecchio profeta-maiale.

Lascia un commento