L’automobile costruita vent’anni prima della Rivoluzione francese

Titolare di un periodo di regno incuneato tra quello straordinariamente significativo del suo bisnonno, il Re Sole, e il suo nipote ed ultimo sovrano di Francia, ribattezzato il Cittadino Louis Capet negli ultimi drammatici mesi prima della condanna alla ghigliottina, il monarca Luigi XV è una di quelle figure ingiustamente menzionate a margine nei libri di storia generalisti. Notoriamente influenzato, secondo le dicerie di corte, dalla sottile mente della sua amante Madame de Pompadour, nonché esimio sconfitto nella sanguinosa guerra dei sette anni per il controllo del Canada contro gli inglesi, pur trattandosi di un uomo capace di guidare il paese più influente della sua epoca per ben 72 anni, è singolare che in molti tendano a dimenticare il modo in cui favorì, e diede spazio, alla corrente di pensiero che avrebbe presto cambiato il mondo. Grande mecenate delle arti, della letteratura e filosofia, proprio grazie all’educazione ricevuta da quegli uomini di scienza, per lo più gesuiti, che avrebbe fatto perseguitare a partire dal 1764, il re ospitò a corte numerosi poeti, tra cui la stessa figura monumentale di Voltaire, primo teorico dell’Illuminismo. E come spesso avviene nella storia delle catene di comando, questa propensione alla ricerca di un nuovo metodo di fare le cose ebbe ripercussioni fino alle più remote province del regno, dove inventori e ingegneri avevano modo di farsi strada, ricevendo encomi per le loro opere più eclettiche e ogni punto di rottura con il passato. Individui come Nicolas-Joseph Cugnot, membro del genio militare che aveva ricevuto la sua formazione presso Void-Vacon, in Lorrena e del quale non sapremmo in realtà quasi nulla, se non fosse che il suo principale capolavoro, portato a termine nel 1769, esiste ancora e si trova custodito, perfettamente integro, presso il Musée des Arts et Métiers di rue Réaumur, nel pieno centro di Parigi. E non è difficile immaginare quel surreale oggetto a tre ruote, sferragliante e sbuffante in un’impressionante quantità di vapore, mentre procedeva a passo d’uomo lungo il cortile dell’Arsenale, sotto l’occhio attento del generale Gribeauval e il duca di Choiseul, suoi principali sostenitori dinnanzi alle legittime obiezioni dei militari maggiormente tradizionalisti. Con l’inventore stesso al comando, intento a manovrare la caldaia anteposta al sedile con un lungo bastone, mentre con l’altra mano roteava freneticamente, sempre più freneticamente la manovella dello sterzo. Un gesto destinato ben presto a rivelarsi inutile, quando le due tonnellate e mezzo dell’astruso veicolo impattarono fragorosamente nel muro dell’edificio antistante, causando un crollo dalle conseguenze terribili nonché immediate.
Vuole infatti la leggenda, poiché di questo si tratta in assenza di testimonianze scritte ufficiali, che l’inventore di quella che viene talvolta definita la prima automobile sia stato anche il primo ad essere incarcerato per la propria mancanza di cautela al volante, benché la colpa maggiore di cui si fosse macchiato, nell’opinione dei suoi due “angeli custodi” fosse stata quella di avergli fatto fare una pessima figura, sperperando inappropriatamente i soldi del re. Il che da un certo punto può essere anche capito: il fardier (carro pesante) à vapeur, pur essendo il frutto diretto dell’esperienza pregressa di Cugnot nel corso della guerra nelle distanti Americhe, in cui era stato inviato come parte del corpo di spedizione, presentava numerosi problemi in grado di renderlo, essenzialmente, una delusione. In primo luogo la sua caldaia, ben più piccola di quella delle prime macchine a vapore che stavano prendendo piede come metodi per pompare l’acqua fuori dalle miniere, o far funzionare i primi timidi tentativi di fabbriche parzialmente automatizzate, era sostanzialmente insufficiente a spostarne la massa indubbiamente ponderosa, donando al veicolo un’autonomia funzionale di appena 15 minuti. A seguito dei quali, ogni volta, era necessario attendere che il serbatoio dei liquidi fosse ritornato a una  temperatura adatta ad essere riempito, il che limitava ulteriormente l’utilizzo del carro. L’altro problema era inerente al meccanismo stesso di trasformazione della pressione del vapore in un movimento rotatorio capace di trasportare cose o persone il quale, per quanto fosse indubbiamente rivoluzionario per l’epoca, risultava in grado di sviluppare una velocità massima di appena 4 Km orari. Ora aggiungete a tutto questo l’ovvia inesistenza all’epoca di un sistema di sospensioni realmente efficace, o pneumatici ad aria da usare per il movimento su strada o meno, e capirete presto come l’idea originaria venduta ai rappresentanti del governo, relativo all’impiego per il trasporto diretto di una bocca da fuoco sul campo di battaglia (costituendo, essenzialmente, il primo prototipo del carro armato) fosse ben più di una remota speranza, quanto piuttosto un’evidente impossibilità funzionale. Eppure sarebbe assurdo, pensare anche soltanto per un attimo, che l’opera di un tale eclettico inventore non abbia lasciato un profondo solco nella storia futura dei mezzi di terra concepiti dall’uomo…

Ci sono diversi approcci per ricreare un impressionante veicolo antecedente al concetto stesso di automobile, ma non importa che siate americani o (come in questo caso) francesi: indossare il tricorno è un letterale obbligo delle circostanze.

Tanto che di ricostruzioni funzionanti dell’anacronistico fardier à vapeur, basate sulle reali misure e caratteristiche dell’esemplare custodito a Parigi, ne esistono ben due, la prima delle quali (mostrata in apertura) fu l’opera nel 2010 di Alan Cerf, direttore del Museo Americano dell’Automobile di Tampa Bay. Il quale, durante una lunga trasferta in Francia per procurarsi gli stessi materiali, incluso il legno per le ruote impiegato nella Lorrena del XVIII secolo, tuttavia coadiuvato da una caldaia costruita in Connecticut, riuscì a completare l’opera poco prima dell’importante Expo Retromobile del 2011, occorrenza annuale dedicato alla storia dell’automobilismo in ogni sua forma pregressa, non importa quanto poco pratica o rinomata. Un esempio ben presto seguito, grazie al successo di pubblico e negli articoli della stampa internazionale, dalla comunità della cittadina di Void-Vacon, che per onorare il suo membro rinascimentale più famoso fece costruire ben presto, grazie a una collaborazione tra il Musée des Arts et Métiers e il politecnico universitario Métiers ParisTech, una sua versione della stessa idea. Vedere il carro pesante in funzione rappresenta in effetti uno spettacolo memorabile, particolarmente per le sue scelte progettuali frutto di un’inesperienza storica da parte di ogni personalità coinvolta al tempo. Il che dimostra quanto sia importante, anche in presenza di un’idea geniale, poter disporre di un catalogo degli errori compiuti dai propri predecessori.
L’individuo incaricato d’interpretare volta per volta Cugnot, o un suo ipotetico pilota sperimentale, prende in effetti posto esattamente dietro la caldaia, trovandosi sostanzialmente investito ed avvolto dal fumo, con conseguente riduzione della visibilità stradale. Mentre il peso eccessivo della parte frontale del veicolo lo rende straordinariamente poco maneggevole, con un raggio sterzata troppo ampio persino per le bassissime velocità a cui riesce a spostarsi. È stato ipotizzato, a tal proposito, che la presenza di un ipotetico cannone situato nella parte posteriore del triciclo avrebbe restituito un certo equilibro all’insieme nella sua totalità, possibilmente sui campi di battaglia dei nascenti Stati Uniti contro il colonialismo inglese, se non che il progetto venne fermato ben prima di poter arrivare a una tale fase. Per una serie di fattori che culminarono, probabilmente, con il fatidico incidente subìto dal secondo prototipo nel 1769, poco dopo che una prova pratica su terreno accidentato fu dichiarata impraticabile, a causa delle prestazioni insufficienti di quanto era stato, effettivamente, realizzato fino a quel momento.
Successivamente liberato dopo aver scontato i suoi percepiti crimini, continua la storia tutt’altro che ufficiale di questo remoto precursore di Karl Benz e Henry Ford, l’inventore della Lorrena fu perseguitato anche durante la Rivoluzione del 1789 per spodestare quel sistema di cui egli stesso, a suo modo, si era trovato a far parte. Temendo per la sua vita scappò quindi in Belgio, dove visse in povertà fino all’età di 70 circa. Finché Napoleone Bonaparte stesso, o almeno così viene riportato da taluni storici, non firmò un decreto per ristabilire la sua pensione, permettendo all’anziano costruttore della prima automobile di fare ritorno in patria. Dove morì nel 1804, quasi un secolo prima che qualcun altro, in Germania, scegliesse di approcciarsi alla soluzione dello stesso problema.

Alcune parti dell’esemplare originale custodito presso il Museo delle Arti e Mestieri di Parigi sono state ricostruite per mantenere l’aspetto autentico del veicolo, ma NON la caldaia. Su cui compaiono graffi ed ammaccature che potrebbero anche risalire, per quanto ne sappiamo, al fatidico schianto che pose fine al sogno di Cugnot.

La storia dell’ingegneria è piena di momenti fatidici, biforcazioni nella strada della Storia che avrebbero potuto anticipare, o ritardare di svariati secoli particolari fasi del nostro progresso collettivo su questa Terra. Ben più di mere scelte politiche, o persino epocali spargimenti di sangue.
Poiché risulta giustificato affermare, come in molti furono propensi a fare, che la figura di un re come Luigi XV potesse fare ben poco per arginare l’odio represso del popolo nei confronti di un regime percepito come antico ed ingiusto, alla base d’ingiustizie e disuguaglianze lungamente acclarate. Mentre con un impiego oculato delle sue considerevoli risorse finanziarie e la capacità d’influenzare vento dei propri tempi, usati per dare spazio alla cultura e la creatività, avrebbe fornito terreno fertile per quelle possenti radici che molto presto, avrebbero cambiato la relazione stessa del mondo con la natura e la scienza applicata, permettendo il trionfo dell’Illuminismo. E che l’automobile non dovesse fare parte di tutto questo, con oltre due secoli d’anticipo, fu forse una mera trascuratezza, o semplice scherzo del destino: il fatto che nessuno, a quell’epoca, avesse ancora pensato a inventare i freni.

Su YouTube è possibile reperire questa ricostruzione del primo incidente d’auto della storia, talmente realistica da far pensare che nella Francia del XVIII secolo esistessero anche delle impossibili cineprese. Nessuno, d’altra parte, sembra sapere da dove provenga esattamente il misterioso spezzone in bianco e nero.

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