Il potenziale terzo braccio dei soldati del futuro

Basta dare un’arma in mano ad un soldato, per fargli perdere immediatamente la sua umanità. E non mi sto riferendo, in modo particolare, al naturale senso d’empatia e pietà di tutte le persone verso gli altri esseri viventi, bensì alla caratteristica che più di ogni altra accomuna gli animali di questo pianeta: la simmetria. Poiché la natura stessa delle nostre limitazioni fisiche e sensoriali comporta una modalità d’impiego, per qualunque strumento in grado di far fuoco a distanza, che non può prescindere dalla piena attenzione di colui che intenda colpire il bersaglio. In altri termini non trova posto, fuori dal cinema d’azione, la figura del guerriero contemporaneo che impugna una pistola, o una mitragliatrice per ciascuna mano, poiché in tal caso la sua efficienza in battaglia risulterebbe drasticamente ridotta. Ma caso vuole che neppure l’impiego di un’arma singola, in se stesso, risulti del tutto ideale. Poiché noialtri abbiamo due occhi, e due mani situate in posizione diametralmente opposta, mentre un fucile è uno strumento oblungo che si tiene in modo perpendicolare al corpo. Avete presente la prospettiva usata nei primi videogiochi FPS? Pensate a Doom: con la pistola vista da dietro, perfettamente situata al centro della visuale. Una totale impossibilità allusiva ad a una mano e dito sul grilletto che, in qualche maniera, scaturivano dal petto stesso del protagonista. Eppure all’epoca, difficile negarlo, tale artificio grafico ci appariva “corretto”. Per una sola e semplice ragione: si trattava di una condizione ideale, che ci rendeva quasi fisiologicamente incapaci di sbagliare il bersaglio.
L’oplita spartano, all’epoca dei feroci conflitti tra città stato del Peloponneso, era visto come il soldato perfetto: una lancia, uno scudo, l’elmo e la corazza bronzea in grado di rappresentare il non-plus-ultra delle convenzioni guerriere del mondo antico. Sarebbe stato del tutto impossibile, per lui, deviare dalla normalità, poiché era proprio la natura coerente della sua panoplia rispetto a quella dei compagni, a renderlo una forza inarrestabile dai barbari del Settentrione e gli imperi d’Oriente. Con l’evolversi del concetto stesso di battaglia di fanteria, da due schieramenti che si affrontano a viso aperto in pianura a tattiche di diversione e guerriglia che tentano di avvantaggiarsi grazie alle condizioni del territorio, le priorità sono drasticamente cambiate. Occorre pensare fuori dagli schemi. Immaginate il re Leonida, alle Termopili, che avanza verso Serse per tentare d’infilzarlo con la sua lancia tenuta a due mani. E uno scudo per proteggersi, anche in assenza del compagno che secondo il concetto della falange avrebbe dovuto farsi avanti assieme a lui, se non che il nemico l’aveva già eliminato. A difendersi dai colpi, infatti, questa volta ci pensava lo stesso sovrano. Grazie a un terzo braccio spuntatogli per concessione divina dal fianco.
Magia, tecnologia, che differenza volete che ci sia? Facendo un balzo drastico in avanti, passiamo adesso all’opera maestra di Dan Baechle, ingegnere meccanico di ruolo presso l’Army Research Laboratory (ARL) istituzione militare che mira a fornire ai soldati americani gadget utili all’impiego nei campi di battaglia del mondo contemporaneo. Apparecchi come l’Esoscheletro Mobile per la Stabilizzazione della Mira (MAXFAS) da lui brevettato nel 2013, nient’altro che un’adattamento di una manica fisioterapica per stabilizzare un braccio infortunato, da lui adattata alla mansione di tenere ben stabile una bocca da fuoco. Eppure un tale arnese, in qualche maniera doveva essergli sembrato insufficiente, se proprio oggi possiamo assistere alla scena di un sergente armato che si applica nel celebre percorso d’addestramento degli Aberdeen Proving Grounds (Maryland) con una mano sull’impugnatura di un fucile M4, e un’altra sul calcio, e un’altra a lato della canna, per stabilizzarla. Ma forse “mano” nel terzo caso è un termine non appropriato, visto l’aspetto dell’arto in questione, notevolmente più sottile degli altri due, termina con una sorta di uncino interconnesso direttamente all’apposito aggancio. L’uomo corre, si getta a terra senza intralci, punta l’arma in tutte le direzioni. E se potessimo disporre dei dati relativi ai bersagli che gli è riuscito di colpire, noteremmo subito qualcosa d’importante: un drastico aumento di centri, rispetto alle sue prestazioni antecedenti a quando è entrato a titolo temporaneo tra le sparute schiere dei cyborg transumani, al tempo stesso molto più,  molto meno, di un onorevole guerriero spartano.

“Seguitemi miei prodi australiani, perché mia massima prerogativa sarà fare di voi, pescatori di uomini.” Con una canna sopra e un’altra sotto, interconnesse da una pratica lenza uncinata. Ma vuoi mettere, la precisione…

Il problema della stabilizzazione dell’arma da fuoco, permettendo di far fuoco con sicurezza nella più ampia e imprevedibile serie di situazioni, è da sempre stato al centro delle preoccupazioni di chi elabora o rappresenta i dati di guerra. Pensate, tanto per fare un esempio, alla soluzione dimostrata nella pellicola Aliens – Scontro Finale (1986) in cui tutti i soldati spaziali furono dotati di una ragionevole approssimazione del sistema usato per effettuare riprese stabili, la cosiddetta steadycam, integrato in quelle possenti mitragliatrici dalla mira automatica che la storia definiva M56 Smart Gun (non che tutto ciò servisse a molto contro la furia scorpionide dei mostracci xenomorfi del film). Ma basta trovare un moderno carro armato, autoblindo o altro mezzo bellico di terra, per trovare all’interno del suo sistema di puntamento un marchingegno simile. Perché mai, dunque, dovrebbe rinunciarvi la fanteria? Questo sembra aver pensato Dan Baechle, come già avevano fatto, prima di lui, i cervelloni della compagnia privata americana Advanced Accuracy Solutions, attualmente impegnati con un contratto per fornire all’esercito australiano il proprio sistema di stabilizzazione Reaper, diversa risposta alla problematica affrontata dal terzo braccio dei laboratori ARL. Presentato al pubblico nel 2016 con… Reazioni non propriamente positive. Il problema fondamentale di simili soluzioni è che vanno ad inficiare l’immagine stessa di quello che dovrebbe essere un soldato moderno: individuo altamente mobile, persino aerodinamico e in qualche maniera tacticool (neologismo americano che allude all’estetica attraente di molti equipaggiamenti militari) e non c’è proprio niente di affascinante, in un soldato che ha bisogno di un “aiuto artificiale” per impugnare correttamente il proprio fucile. Ma basta osservare un breve video dimostrativo del sistema Reaper, in cui la strana canna da pesca agganciata al giubbotto antiproiettile viene impiegata per far fuoco dalla posizione in piedi con mitragliatrici dal peso di oltre 10-12 Kg, munizioni escluse, ed un rinculo facilmente immaginabile, per capire che se una cosa sembra stupida, ma funziona… Aveva ragione Forrest Gump.
Il fatto che il sistema statunitense del terzo braccio sia un’evoluzione successiva tuttavia, può essere compreso dalle implicazioni della sequenza d’addestramento ad Aberdeen, in cui il sergente non si limita a star fermo e colpire il bersaglio. Il problema della stabilizzazione con un sostegno sopra la testa, in realtà mutuata anch’essa direttamente dal mondo cinematografico (c’è un sistema concorrente della steadycam che funziona nello stesso identico modo) è l’impaccio che questi aggiunge al già oberato soldato in guerra. Il quale, man mano che la tecnologia ha permesso di ridurre il peso del proprio equipaggiamento, se n’è visto aggiungere su normativa delle alte sfere ancora ed ancora, affinché il suo addestramento fisico trovasse piena applicazione nella versatilità prima e dopo l’effettivo conflitto a fuoco. Ma aggiungete a tutto questo ambaradàn anche il bastone verticale sopra la testa, ed alcuni movimenti diventeranno pressoché impossibili: ad esempio muoversi all’interno di stretti corridoi, o entrare al volo in un veicolo mentre si tenta di restare indifferenti al fuoco nemico.

L’esoscheletro ONYX della Lockheed Martin è una soluzione ancora diversa: se il soldato si stanca e non riesce a prendere la mira, non facciamolo stancare affatto. Potenziando le sue gambe con un sistema esoscheletrico, in grado di assecondare i suoi movimenti muscolari. Un po’ come succedeva in Fanteria dello Spazio (il romanzo di Heinlein, non il film semi-serio di Verhoeven)

Mentre ogni aspetto del Terzo Braccio, tutt’ora stranamente privo di un acronimo o soprannome accattivante, è stato concepito per non inficiare la mobilità innata dell’utilizzatore. Costruito in materiali compositi come la fibra di carbonio, tra le competenze primarie dell’ideatore Dan Baechle fin dall’epoca del suo MAXFAS, non presenta servomeccanismi o altro tipo di motori, intervenendo esclusivamente grazie alla forza meccanica dei propri ingranaggi per eliminare, al momento in cui si prende la mira, ogni movimento involontario o tremore dovuto alla stanchezza dell’utilizzatore al termine degli spostamenti veloci. Il che potrebbe anche portare, prima o poi, ad un’effettivo impiego sui campi di battaglia.
La base di ogni considerazione in merito, ad ogni modo, è sempre la stessa: superare la natura simmetrica dell’essere umano, per introdurre elementi capaci di potenziare la sua resa in determinate situazioni, ormai tutt’altro che naturali. Una naturale progressione che dovrà condurre, ormai è cosa praticamente certa, ad uno scenario bellico futuro in cui il ruolo della fanteria tornerà quello dell’antica falange oplitica: avanzare impavida, sotto l’assalto spietato del nemico, rispondendo colpo su colpo fino al raggiungimento dell’obiettivo. So parlando, se non fosse già chiaro, di robot corazzati giganti. Ma questa infernale visione, tutto considerato, potremo anche approfondirla nel prossimo episodio…

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